I Gosos della Quaresima: in sa rughe pro nois.

Gosos. Dalle espressioni poetiche emergono sentimenti e verità profondamente evangeliche.

Nei gosos per Sa Quarta Dominiga de Caresima, l’autore del XVIII secolo tratta, in maniera più approfondita che nelle altre setti- mane, il tema della morte in croce di Gesù per i peccati degli uomini. L’argomento della croce non è di facile comprensione, anzi come scrive San Paolo: La parola della croce, infatti, è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio (1Cor 1,18).

Per alcuni “stoltezza”, “follia” o “scandalo”; per noi invece strumento di salvezza e degno di adorazione. San Giovanni Damasceno così spiega l’importanza della croce, quale strumento di salvezza: È lo strumento per risollevare coloro che giacciono, il puntello a cui si appoggia chi non sta in piedi, il bastone degli infermi, la verga per condurre il gregge, la guida per quanti si volgono altrove, il progresso dei principianti, la salute dell’anima e del corpo, il rimedio di tutti i mali, la fonte d’ogni bene, la morte del peccato, la pianta della risurrezione, l’albero della vita eterna.

Questo legno davvero prezioso è degno di venerazione, perché, su di esso, Cristo si sacrificò per noi, perciò deve giustamente divenire oggetto della nostra adorazione, giacché fu come santificato dal contatto con il santissimo corpo e sangue del Signore (Esposizione della fede ortodossa 4,11).

Ma di chi è la responsabilità della croce? Il Catechismo della Chiesa Cattolica, quando analizza il Credo, nell’articolo 4, Gesù Cristo patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, al paragrafo 2 così si esprime: La Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non ha mai dimenticato che ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento delle […] sofferenze del divino Redentore.

Tenendo conto del fatto che i nostri peccati offendono Cristo stesso,a Chiesa non esita ad imputare ai cristiani la responsabilità più grave nel supplizio di Gesù (CCC n. 598). Seppur lontane nel tempo, queste testimonianze, potrebbero essere sintetizzate in una strofa dei nostri gosos: Po sos peccados e vizios de su peccadore ingratu, cuddu Re supremu e attu est in rughe crucifissu, in paga de su benefiziu li dàs morte e passione (strofa 4).

L’autore non cerca scusanti: noi peccatori abbiamo causato la morte del Gran Re. Su questa riga, troviamo altre espressioni che accusano la mancanza di riconoscenza dei peccatori verso il gesto gratuito di Gesù: Tue ancora no cuntentu Li has apertu su costadu, fele e aghedu li has dadu po su potremu dolore (strofa 5); Mira chi in rughe est pendente po ti dare salvazione (strofa 3); O cantu s’est umiliadu pro te, oe su Salbadore (strofa 6). Veniamo messi, come i bambini, davanti al “disastro” che abbiamo combinato; ma è un “disastro” che serve a “ti dare salvazione”.

Che atteggiamento dobbiamo avere? Cosa dobbiamo fare? Tottus cun veru dolore pianghemus sos peccados, e a Deus umiliados torremus cun contrizione (sa torrada). Queste parole rieccheggiano del bellissimo salmo davidico Miserere: Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi (Sal 50,9). Se noi peccatori non siamo fedeli, Lui rimane fedele e Nos ispettat a penitenzia cun giustos giudizios certos, giughinde sos brazzos apertos (strofa 2).