I Gosos. Cun trassa miraculosa.

Gosos. Madonna d’Itria: anche nella nostra Arcidiocesi la venerazione per questo titolo è largamente diffusa.

Prosegue sul nostro sito il percorso di approfondimento liturgico fatto attraverso la lettura dei Gosos a cura di Giovanni Licheri e pubblicato sulle pagine de L’arborense. In fondo all’articolo, in allegato, tutte le pubblicazioni precedenti.


Cun trassa miraculosa

“Maria è la stella del mattino perchè annunzia il sole. Non brilla di luce propria, per se stessa; splende in lei però il riflesso del suo e nostro Redentore; e in questo modo glorifica e annuncia lui”… così San John Henry Newman spiegava uno dei titoli mariani nelle “Meditazioni sulle litanie lauretane”.

Il grande dottore della Chiesa, San Bernardo di Chiaravalle, scriveva in una sua preghiera: Respice stellam, voca Mariam. Le stelle precedono il ritorno del sole, preparano l’aurora e, nel buio, mostrano la strada. Questo è il senso di un titolo mariano caro ai cristiani d’Oriente e d’Occidente quello di Odigitria (dal greco odòs, via, e ago, guidare), quindi colei che mostra la strada. È Maria che indica Gesù, la Via.

Il suo culto è chiaramente di origine bizantina. Con questo titolo gli abitanti di Costantinopoli chiamavano un’immagine della Vergine, la cui realizzazione, seguendo la tradizione di San Giovanni Damasceno, si attribuiva all’evangelista san Luca. Questa immagine, nel 450, fu inviata dall’imperatrice in esilio, Eudossia, all’imperatrice regnante, Pulcheria affinché fosse venerata nella capitale imperiale, già consacrata da Costantino alla Madre di Dio.

Per essa venne costruito un santuario i cui monaci erano chiamati odeghi in quanto vi accompagnavano i pellegrini, spesso, ciechi che si recavano lì per chiedere la guarigione. Il suo culto è diffuso in tutte le regioni del Sud Italia che un tempo erano sotto la dominazione bizantina (pensiamo a Bari e alla Sicilia che l’hanno eletta a propria patrona), e non di meno nella nostra Sardegna.

La Chiesa Arborense può vantare diverse comunità che celebrano Maria Odigitria o d’Itria: la città di Oristano, il martedì dopo la solennità di Pentecoste, la ricorda con una solenne processione; Paulilatino ospita la chiesa de sa Itiri, infatti i paulesi, sin dal XVII secolo, tributano riconoscenza alla Vergine per la fine della peste; Gesturi e Sorgono, nelle chiese dedicate alla Vergine, testimoniano di una devozione antica e sentita nelle loro popolazioni.

Sebbene essa venga talvolta rappresentata con Gesù bambino in braccio e appoggiata su una cassa portata da due monaci basiliani, in Sardegna la rappresentazione più diffusa contempla, vicino alla Vergine, un moro ed uno schiavo. La comprensione di questo aspetto iconografico può essere illuminata dai Goccius in onori de sa B. Virgini Maria de Itria, raccolti da don Dore. Liberestis de Turchia unu iscrau cristianu, cun poderi soberanu, sacratissima Maria: su Turcu ddu tenia intr’e una cascia oscura (strofa 8). In questa strofa notiamo un clichè che abbiamo incontrato anche in altri gosos (specialmente quelli della Mercede): la liberazione dei cristiani fatti schiavi dai turchi o mori.
L’autore poi ci fornisce una dritta che potrebbe spiegare la scelta del martedì come giorno della festa in diverse comunità:
Dogna martis fittianu giaunendi Os servesit po su cali menescesit
de soberana manu poniriddu in portu planu cun libertadi segura
(strofa 9). Lo schiavo cristiano, ogni martedì, digiunava in onore della Vergine che lo ricompensa con la possibilità di fuggire.

Alla strofa 10 troviamo un altro miracolo compiuto da Maria che ascolta il grido di un’altra mamma: Su fillu iscrau tenia una mamma sventurada, e, torramì, supplicada, a fillu miu, o Maria, e de issu luego s’est bia abbrazzada cun premura. E il turco? La sua rappresentazione serve solo a ricordare un secolare conflitto fra civiltà? Cussu iscrau chi portestis in manus bostas gososa cun trassa miraculosa de isclavitudini boghestis; e su Turcu illuminestis cun tali strana ventura (strofa 13).

Nell’ultima parte della strofa si fa riferimento alla conversione di un moro. La leggenda narra di un musulmano che si sarebbe convertito al Cristianesimo e, messo dentro una cassa e gettato in mare dal proprio padrone, avrebbe trovato la salvezza gazie all’intervento di Maria. Solitamente la vicenda del cristiano e quella del moro sono separate, qui l’autore le collega facendole dipendere l’una dall’altra.

Possiamo pregare la Vergine di mostrarci il cammino, come quella mamma, o come il moro convertito: Pregai po nosu, Signora, de Itria Virgini pura.

A cura di Giovanni Licheri. Pubblicato su L’Arborense del 31 maggio 2020.


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