Correzione fraterna: “Il chiacchiericcio è una malattia più brutta del covid”.

Non ha dubbi, Papa Francesco, nel condannare l’abitudine di parlar male delle persone. Il chiacchiericcio, il pettegolezzo sono come le bombe del terrorismo aveva detto nel marzo di tre anni fa. E incontrando la Curia romana, Natale 2014, aveva parlato delle chiacchiere come malattia grave “che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere, e si impadronisce della persona facendola diventare ‘seminatrice di zizzania’ (come satana), e in tanti casi ‘omicida a sangue freddo’ della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche, che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle”.

Proprio non vanno giù, a papa Francesco, chiacchiere e pettegolezzi, perché una parola chiave nella vita del credente è proprio comunione. Diceva Sant’Agostino: dimentica l’offesa ricevuta, non la ferita di un tuo fratello. Accostare le chiacchiere al covid ci porta anche a riflettere su un termine che ormai è entrato nel parlare comune: distanziamento sociale. Cioè invito a essere asociali, prendere le distanze dall’altro, quasi rifiutarlo. Non sarebbe stato meglio parlare di distanza fisica, distanza fra persone. Ma tant’è.

Ma torniamo al Vangelo di domenica. Facile amare una persona cara, che ci vuole bene, con la quale condividiamo pensieri e gesti; meno facile quando l’altro è distante da noi per parole, gesti; difficilissimo quando da questa persona riceviamo un’offesa. Papa Benedetto XVI, all’angelus di settembre del 2011, ricordava che “tutta la legge di Dio trova la sua pienezza nell’amore, così che, nei nostri rapporti con gli altri, i dieci comandamenti e ogni altro precetto si riassumono in questo: amerai il tuo prossimo come te stesso”.
Il comandamento dell’amore non conosce distanze: non c’è un prossimo da amare e un altro da tenere distante, da non amare. Questa è la grande sfida cui il cristiano è chiamato, e in questo amore reciproco il cristiano scopre il potere della misericordia divina; scopre che il fratello non può essere abbandonato. In questo amore che supera il rifiuto, che si apre all’altro, si sgretolano tutti i muri e crollano le barriere che noi stessi abbiamo eretto.

Nelle parole prima della preghiera dell’Angelus, papa Francesco commenta il brano di Matteo, che contiene il cosiddetto discorso ecclesiale, comunitario, che mette in evidenza alcune difficoltà che già si presentavano nelle prime comunità cristiane. È il brano della correzione fraterna, dice Francesco, della “duplice dimensione dell’esistenza cristiana: quella comunitaria, che esige la tutela della comunione, cioè dell’unità della Chiesa, e quella personale, che impone attenzione e rispetto per ogni coscienza individuale”.

Così Gesù suggerisce una “pedagogia del recupero”, per correggere il fratello che ha sbagliato, che si articola in tre momenti: vi è innanzitutto l’incontro personale, cioè “non mettere in piazza il suo peccato”, ma “andare dal fratello con discrezione, non per giudicarlo ma per aiutarlo a rendersi conto di quello che ha fatto”. Se questo non basta, mai dire “si arrangi, me ne lavo le mani. No, questo non è cristiano”. Il secondo passo è presentarsi a lui con una o due persone: “i due testimoni – precisa il Papa – sono richiesti non per accusare e giudicare, ma per aiutare”. Se anche questo non basta ecco il terzo passo: dirlo alla comunità. “Gesù aggiunge”, ricorda Francesco: “se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano”. Una frase, ha spiegato, “in apparenza così sprezzante, in realtà invita a rimettere il fratello nelle mani di Dio: solo il Padre potrà mostrare un amore più grande di quello di tutti i fratelli messi insieme”.
Andare incontro all’altro, dunque, non chiacchierare alle sue spalle, non raccontarlo agli altri.

Dice il Papa: “quando noi vediamo uno sbaglio, un difetto, una scivolata, in quel fratello o quella sorella, di solito la prima cosa che facciamo è andare a raccontarlo agli altri, a chiacchierare. E le chiacchiere chiudono il cuore alla comunità, chiudono l’unità della Chiesa. Il grande chiacchierone è il diavolo, che sempre va dicendo le cose brutte degli altri, perché lui è il bugiardo che cerca di disunire la Chiesa, di allontanare i fratelli e non fare comunità”.

A cura di Fabio Zavattaro, Agensir