San Francesco, patrono d’Italia. La festa riletta attraverso i Gosos.

Gosos. Meravigliose espressioni per descrivere il vero volto di San Francesco

De Cristos veru retrattu

Nella sua Cronaca o Storia delle sette tribolazioni dell’Ordine dei Minori, Angelo Clareno scrive: Pertanto, ammaestrato da Cristo e dal suo celeste angelo, per la virtù dello Spirito Santo, Francesco annunciava ai frati l’incomparabile dignità e l’arcana gloria e sublimità della imitazione umile e povera della vita di Cristo.

Francesco ha imitato in tutto il Cristo, fino a essere definito Alter Christus (un altro Cristo). Cristo è stato il modello di un Francesco, pittore così abile da dipingerlo perfettamente in sé. Forse era di questo avviso anche l’autore dei Gosos de su gloriosu Santu Franciscu de Assis che, in sa torrada, lo definisce Vivu retratu, et figura de Cristos crucificadu.

Se Francesco è stato un bravo pittore, lo deve all’abilità di quell’artista che l’ha dipinto, facendone una meraviglia: Betesit Deu su restu, pro dare a su mundu ispantu, fatende bos santu tantu, qui in bois solu hat formadu (strofa 1).

Il nostro autore mette in parallelo la vita di Francesco e quella di Gesù. Inizia con la nascita umile, infatti come Gesù è nato in una condizione povera, così anche Francesco: Bos desit nostru Señore su matessi nasquimentu, in su pius humile assentu pro istalla deputadu (strofa 2). Come il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo (Mt 8,20), Francesco sceglie di essere “nullatenente”, quando Su vestire li lassegis cun sos benes de sa terra (strofa 4). In questa strofa si sintetizza quanto scrive il francescano abruzzese Tommaso da Celano nella “Vita prima di San Francesco”: Comparso davanti al vescovo, Francesco non esita, né indugia per nessun motivo: senza dire o aspettar parole, si toglie tutte le vesti e le getta tra le braccia di suo padre, restando nudo di fronte a tutti (Cap. VI).

Francesco, come fa Gesù all’inizio del suo ministero (Lc 6,12-19), Doigui coadjutores cun bois hagis leadu (strofa 5). Come Gesù dà ai suoi il nome di “apostoli”, Francesco chiama i suoi cun su nomen de Minores. Col nome di “Minori” il Poverello di Assisi voleva ricordare ai suoi quella massima evangelica Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti (Mt 10,42-44).

Francesco e i suoi, come Gesù e gli apostoli, anche nell’annuncio del Vangelo e della penitenza per il Regno: cun cussos acometegis a su mundu totu interu (strofa 6) e de sa eclesia militante reparegis sa eminencia, convertinde a penitencia sas animas doñi istante (strofa 7).

Francesco, conforme a Cristo nella vita fu anche conforme a lui nella passione. A questo mistero così intimo del santo assisiate fa riferimento Tommaso da Celano quando scrive: Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza, ecco: nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo crocifisso (Vita Prima, II parte, III cap).

Altrettanto fa l’autore dei gosos che descrive così quel momento: Et pro esser totalmente conforme à su figuradu, in manos, pees, et costadu, Bos hat Deu Omnipotente sas piaes charamente impressu et manifestadu (strofa 13). Premio singolare, quello delle piaghe, per il cavaliere che sognava la gloria delle conquiste. Premio che lo rende “quasi” pari al suo Re.

Quello che esce da questi gosos è il ritratto di uomo allo stesso tempo humile, mansu, et modestu (strofa 1), ma che con la forza di Cristo è capace di intrare nudu in sa guerra, qui à Satanas intimegis (strofa 4). Francesco, in questi tempi di identità confuse, ci ricorda che il cristiano ha chiara la propria: Gesù il Cristo.

Francesco, col suo esempio, ci dice parlate, dialogate, accogliete come Gesù avrebbe fatto. Francesco, uomo umile, ci insegna che il Vasaio può riplasmarci e farci vasi più belli.

A cura di Giovanni Licheri.

Pubblicato su L’Arborense n.33/2020