Natale del Signore. L’approfondimento della Parola.

Luce e Parola: due binari dell’itinerario del discepolo.

Siamo immersi nella festa della luce che rischiara e permette di vedere. Storicamente era la festa romana del Sole, che i cristiani riconobbero nella persona di Gesù che illumina le genti ed è gloria del suo popolo. La Messa del giorno invita a guardare a un altro aspetto: la Parola. Il prologo del vangelo di Giovanni fissa lo sguardo sul Verbo e sulla testimonianza al Verbo: è Parola pronunciata, è voce che proclama, è soffio articolato che annuncia.

La voce, non solo il tono ma anche il modo di parlare, è il tratto distintivo della persona. Gli ipovedenti, oltre al tatto, sviluppano in modo formidabile l’udito e riconoscono dalla voce. Tutti ci facciamo emozionare da una voce più o meno profonda, da una parola di senso che ci viene rivolta. Pensiamo a una madre che sente pronunciare per la prima volta mamma dal proprio figlio; il significato del ti amo tra due fidanzati o sposi; sentire chiamare il proprio nome durante un momento importante o per un riconoscimento ufficiale e pubblico.

In una società, non solo quella odierna, che ci travolge di parole, che si caratterizza per verbosità, che cerca di sostituire l’incontro personale con il rapporto attraverso i social, Giovanni ci ricorda il buon annuncio che invade l’uomo e la storia: Il Verbo si è fatto carne e si stabilisce tra noi. Quindi, l’itinerario di annuncio iniziato da Dio che chiama le creature all’esistenza trova il suo culmine nella Parola attraverso il Figlio, stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.

La Parola, grammaticalmente il verbo presuppone un soggetto e un’azione, non solo visita l’umanità, ma con l’Incarnazione il Figlio diventa prossimo dell’uomo. L’espressione greca ricorda il fissare una tenda in un accampamento di nomadi: Dio sceglie di stare col popolo, di non ricevere posti d’onore ma condividere totalmente l’esperienza della fragilità. Ricordare tutto ciò ci immerge nella celebrazione del Natale di un infante (in-fans: chi non sa parlare), che è la Parola attesa, cercata, sperata.

Nei processi di riabilitazione dopo una paresi, un ictus o nei casi peggiori a causa di SLA o Parkinson capiamo quanto la capacità di parlare sia fondamentale e identitaria per l’umano. Dio ha scelto di comunicare e comunicarsi, di essere vicino, chiaro. La possibilità di parlare ci differenzia dalle altre creature, sebbene riescano a trasmettere tra loro in altro modo.

Eppure, quella parola pronunciata ci distingue. In un mondo ormai abituato a messaggi scritti, a parole crittografate in chat anonime e ambigue, una chiamata sembra un grande dono. Dio ci chiama, spende tempo per noi, invia il suo Figlio per non invitarci a un evento o a un dialogo di gruppo, ma a una conversazione autentica e personale.

In questo periodo Cantate inni, acclamate, gridate ed esultate! Niente può sostituire la meraviglia di Isaia: Come sono belli i piedi del messaggero di lieti annunci. Pertanto, la luce e la Parola sono un unico sguardo di bellezza che sfolgora nel cielo dell’esistenza. Chi vorrebbe vivere con la luce e senza parola? Chi il contrario? Chi le vorrebbe entrambe?

A cura di Michele Antonio Corona

Pubblicato su L’Arborense n.45/2020