Sacra Famiglia. L’approfondimento della Parola.

Nella domenica dedicata alla festa della Sacra Famiglia (Gesù, Maria e Giuseppe) la liturgia della Parola ci offre un largo ventaglio di forme con cui poter fare famiglia.

Sebbene i protagonisti siano i due giovani sposi col loro figlio nella visita al tempio, la prima e la seconda lettura sottolineano il ruolo di una coppia anziana (Abramo e Sara) che riceve in dono da Dio una discendenza ormai non più sperata.

Il brano tratto da Genesi evidenzia lo sforzo del capostipite di trovare strade alternative per realizzare la promessa di Dio: non potendo – per vecchiaia – avere figli, nominò erede il suo servo, Eliezer. Un modo umano per non rendere vana la parola di Dio. Ma Dio non ha bisogno di essere difeso, poiché si è sempre ricordato della sua alleanza, parola data per mille generazioni (Sal 104).

Noi vogliamo spesso trovare scorciatoie alle promesse di Dio e costruiamo percorsi alternativi alla strada che Giovanni ci ha invitato di appianare. Dio dice ad Abramo: Non temere, io sono il tuo scudo (Gen 15,1). Un linguaggio bellico, ma anche di grande familiarità e protezione. Dio custodisce l’uomo come fa con la sua Parola che non cade, non cede alle lusinghe dei trucchetti.

In questo senso la Lettera agli Ebrei evidenzia che la realizzazione della promessa di una discendenza in Abramo non ha coinciso col momento di maggiore vitalità del patriarca, bensì da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza (11,12). Addirittura si cita la morte come sorgente della vita. Ciò che avverrà nel mistero della croce di Gesù era sotteso nella carne di Abramo.

Così, dopo averci presentato una coppia di sposi anziani e sterili – visitati però dalla vita dirompente di Dio – il vangelo di Luca presenta un anziano giusto e pio (forse single) e un’anziana profetessa vedova.

Di fianco alla famiglia di Nazareth, altre forme per essere davvero famiglia. Anzi, si presenta un panorama composto da famiglia di famiglie che si stringono intorno alla discendenza e, ancora più, al Figlio promesso, al Messia donato per la risurrezione e la caduta di molti, segno di contraddizione (Lc 2,34).

A chi crede di incasellare l’opera di Dio in schemi prefissati e rigidi, Simeone testimonia che tutto si gioca nel contemplare un bambino. La sua lunga attesa di vedere la salvezza – i racconti dell’infanzia sono da leggersi alla luce della morte e risurrezione di Gesù – trova già piena realizzazione nel poter tenere in braccio il bambino e osservarlo: i miei occhi hanno visto la tua salvezza.

Quando anche noi abbiamo pronunciato e potremo pronunciare queste parole con pienezza di significato per la nostra vita? Quando avremo il coraggio di lodare il Signore per aver visto realizzata la sua salvezza? Forse che la croce e il dono totale di Cristo non sono già promessa avverata?

La profetessa Anna, dopo una vita in attesa della redenzione, alla vista del bambino si spalanca alla lode e al ringraziamento. Un’esistenza irrorata di speranza, innervata dalla presenza del Signore che si mostra e si dona. Simeone e Anna ci mostrano che non basta vivere tanti anni per giungere alla maturità e alla verità, ma dipende da come questi anni sono vissuti. Da vecchi si diventa ciò che si è vissuto durante gli anni. Maria e Giuseppe si stupivano delle cose dette di lui (Ant. alla comunione).

Dunque, la Sacra Famiglia ci mostra uno stupore grato e riconoscente all’opera di Dio che apre alla gioia, alla fiducia, alla lode e all’intimità con un Dio che non smette di dire: Non temere, sono io il tuo scudo.

A cura di Michele Antonio Corona