II Domenica di Natale. L’approfondimento della Parola

La buona notizia? Ri-scoprire, ancora una volta, di essere figli

Siamo tutti figli, e senza eccezioni. Chi potrebbe discutere questa verità? Chi le si potrebbe opporre? Sappiamo che ogni essere umano è figlio, altrimenti non potrebbe nascere. Si può non divenire padri o madri, ma certamente siamo figli e figlie.

La Parola di Dio in questa seconda domenica di Natale, che corrisponde alla festa del Santissimo Nome di Gesù, ci ricorda che siamo eredi e siamo figli predestinati nell’unico Figlio, amato.

In questi giorni di feste sottotono – in cui le riunioni familiari ci sono state vietate – abbiamo sperimentato la frammentazione della famiglia. Non di rado mi è capitato di sentire alcune persone dire: Quando erano vivi babbo e mamma (o magari anche solo uno dei due) trascorrevamo le feste e le vacanze insieme. Il clima era bello e gioviale. Eravamo ancora davvero una bella e grande famiglia. Alla loro (sua) scomparsa ci siamo persi di vista. Ognuno vive la festa in altro modo e non sentiamo più quella unione di allora.

Eccoci al punto. Ci si riconosce fratelli e uniti quando si ha un’origine comune, quando ci si riconosce in una radice condivisa. Gesù ci offre la più grande Buona Notizia che noi diamo per scontata: siamo figli! Siamo figli amati! Siamo figli amati e cercati!

Possiamo produrre tutte le più belle riflessioni teologiche ed esistenziali, possiamo conoscere la Scrittura a menadito, ma senza questa certezza – siamo figli amati – rischiamo il cortocircuito di Edipo o di Freud.

Il prologo di Giovanni (riproposto due volte in pochissimi giorni dalla liturgia) ci dice che il Verbo fatto carne ci ha dato il potere di diventare figli di Dio. Non figli di un ricco, di un potente, di un astro repentino del nostro mondo o di un influencer, ma di chi ha voluto il mondo e che si è speso per costruire una storia che fosse significativo per l’umano.

Il libro del Siracide, nella I lettura, sottolinea il cammino di avvicinamento della Sapienza alla persona. Noi pensiamo spesso che essere sapienti equivalga ad avere tante lauree o roboanti titoli di studio. Per la Scrittura il sapiente è colui che ha il polso della propria vita, chi riesce a gustare ogni momento della sua esistenza con consapevolezza e lucidità. Si può essere laureati e non laureati ma essere insipienti.

Non contano le medaglie, quanto la capacità di senso che diamo a noi stessi e sappiamo trasmettere. Ecco, dunque, il grande annuncio: Riconoscendoti figlio, cerca tuo Padre, fino a che non riuscirai a scorgere il suo volto. Un principio che sappiamo bene dall’esperienza tragica di tanti figli abbandonati da neonati, che non smettono di cercare la propria famiglia di origine.

A cura di Michele Antonio Corona