La figura di Sant’Antonio attraverso i Gosos

Antoni abate diciosu

Già chi sezis poderosu in chelu sublimadu siedas nostru avvocadu Antoni Abate diciosu (Fonte Su Cuncordu ‘e Chida Santa di Silanus). In questa torrada due aggettivi dicono l’importanza del santo che presentiamo oggi: poderosu e diciosu.

Un personaggio potente e famoso: Antonio Abate, eremita e padre del deserto. Eremita, come ci ricordano i gosos cantati a Mores: <Medas annos est bistadu remitanu in su desertu, cun su coro sempr’abbertu Isse a tottu had’aggiuadu e che Mastru had’insinzadu sa luttrina ‘e sa Chegìa (Strofa 3. Fonte Ass. Cul. Coro Lachesos).

Cosa spinge un uomo a voler sperimentare il deserto come Giovanni Battista e come Gesù? Ad Antonio non mancava nulla: possedeva infatti trecento campi molto fertili e ameni, perché non fossero motivo di affanno per sé e per la sorella (Sant’Atanasio, Vita di Sant’Antonio). A questa pagina si riferisce la strofa 1 dei gosos di Antonio Piras: Da famiglia benestante in s’Egittu che ses nadu dogni cosa fit bundante e su crasa asseguradu ma su ch’aisti ti l’as dadu a sa zente poberita (cfr. www.luigiladu.it).

Perché Antonio che En Egipto gran ciudad De nobles padres nacistes (strofa 1 dei Gozos del glorioso San Antonio Abad in Gozos. Trascrizione e commento di una raccolta di componimenti religiosi della fine del XVIII secolo, a cura di Giovanni Serreli e Maurizio Virdis, p. 327), lascia tutto? Ci risponde ancora Sant’Atanasio: Meditando su queste cose entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il vangelo e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli (Mt 19, 21).

Quello che gli ortodossi chiamano Antonio il Grande fa quello che il giovane nel Vangelo non ha il coraggio di fare: abbandona gli agi per vivere nel deserto la sequela di Cristo. Potremmo pensare che nel deserto c’è silenzio, pace e serenità, ma non è così. Viene spontaneo pensare al passo di Matteo: Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo (Mt 4,1). Antonio non è da meno del maestro: Su dimoniu tentadore milli ‘ortas t’at tentadu ma che l’as semper catzadu afrontande su dolore in su nom’e su Signore semper l’as dad’isconfita (Strofa 3 Piras).

Antonio, nonostante de su nomen bostru santu timen sos dimonios tantu (Strofa 8 Silanus), non cade nel tranello diabolico dell’orgoglio, ma basa ogni pensiero e azione su Gesù. In riferimento a questo lo stesso Antonio diceva: Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra, e dissi gemendo: Chi mai potrà scampare? E udii una voce che mi disse: L’umiltà (Vita e detti dei padri del deserto, Città Nuova, p. 8). Riguardo al rapporto col nemico, ricordo un racconto di mio padre, quando ero piccolo, su Sant’Antonio. Mi raccontava di come il grande santo, impietosito dal vedere gli uomini al freddo senza fuoco, si recò all’inferno e, vestito da viandante, riesce dopo diversi tentativi a farsi aprire la porta dai diavoli. Entrato, mentre si riscaldava, Antonio immerge il bastone di ferula nel fuoco. Senza che i diavoli se ne accorgessero, Antonio portò via il tizzone con cui regalò il fuoco agli uomini.

Questo racconto ci porta a un mito molto antico e analogo a questo: il titano Prometeo. Nei gosos troviamo riferita questa vicenda: A s’inferru ses faladu cun sa ferula a bacheddu cun s’azudu ‘e su porcheddu su dimoniu as coglionadu ei su fogu nd’as furadu dàndelu a sa terra frita (Strofa 4 Piras). Da qui il titolo di Santu Antoni de su fogu. In molti dei nostri paesi si accendevano le tuvas per ricordare e onorare Antonio il Grande.

Quest’anno la pandemia rende difficile anche la realizzazione di quest’atto non solo di aggregazione, ma anche di fede. Affidandoci alla preghiera d’intercessione del grande santo, potremmo chiedere la grazia di dire un bel alla domanda di Gesù: Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? (Lc 18,8).

A cura di Giovanni Licheri

pubblicato su L’Arborense N.1/2021