III Domenica di Quaresima. L’approfondimento della Parola.

Gesù denuncia la compravendita del sacro e della relazione col Padre

L’interruzione della lettura liturgica di Marco attraverso la pagina dirompente tratta dal vangelo di Giovanni ci interroga fortemente. Ci viene presentato un Gesù determinato, rigoroso, esigente.

Fin dal Mercoledì delle Ceneri la liturgia ci ha mostrato l’assoluta riluttanza di Gesù per i professionisti del sacro, per i teatranti del culto, per la religiosità di facciata. La parola d’ordine è intimità.

Senza questa sincera e profonda relazione col Padre, le manifestazioni della fede possono rappresentare solo esibizionismo spiritualistico o, ancor peggio, perversione voyeristica del sacro.

Per evidenziare questo rischio e l’assoluto e impellente bisogno di conversione, Giovanni ci racconta l’azione plateale che Gesù compie al tempio: ribalta i banchi del mercato spirituale, caccia i mercanti di servizi religiosi e annichilisce, gettando a terra, il profitto della compravendita del culto. Già Amos, Isaia, Geremia e altri profeti denunciarono l’utilizzo del culto e della fede, soprattutto nel tempio, a favore del profitto e come conseguenza di oppressione e sfruttamento dei più piccoli.

Gesù va al cuore stesso della questione: il tempio, da luogo di intimità e di invocazione al Padre, è divenuto lo spazio dei traffici, dei profitti, degli interessi. La faziosità con cui si usa la fede in Dio non può essere in alcun modo motivata, compresa e giustificata. È necessario un totale ribaltamento di questa logica, che relega Dio al ruolo di calcolatore tra meriti e grazia.

Gesù non lo chiama Dio, ma Padre: Padre mio. La relazione diretta e fiduciosa è totalmente scardinata dalla logica della compravendita del sacro. Gesù lo denuncia senza mezzi termini e senza salvare alcun aspetto di questa dinamica guasta, pervertita e tenacemente orchestrata. Nella prima lettura abbiamo la versione dell’Esodo delle dieci  parole, in cui il comando del sabato è il più dettagliato ed esteso.

Non è un mero giorno di riposo, né tantomeno uno stacchetto temporale nella settimana da dedicare al rito, ma è lo spazio e il tempo delle relazioni, della libertà, della comunità, della persona, della rappacificazione con la pesantezza del lavoro e con l’ansia del guadagno, della creazione e delle creature, della benedizione accolta, dell’intimità ritrovata con Dio.

Fermarsi dal proprio lavoro, interrompere per un giorno alla settimana la corsa al possesso, staccare la propria esistenza dall’occupazione, per non identificarsi con essa, è l’occasione costante per riconoscere la debolezza della nostra condizione umana e confessare la forza di Dio. Paolo ricorda che quando sono cosciente di essere debole, mi posso riconoscere forte, alla luce di Gesù Cristo divenuto debolezza per mostrare la forza di Dio, la forza d’amore di Dio. Così, questo gesto di Gesù e la sua parola dirompente, che mostra in filigrana il mistero pasquale che passa dal suo corpo, ci permette di acclamare col salmista: il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi.

A cura di Michele Antonio Corona

Pubblicato su L’Arborense n. 8/2021