Sacramento della Penitenza. Le tre forme rituali.

Un unico mistero di riconciliazione

La celebrazione del Sacramento della Penitenza è passata, nella storia, da una forma pubblica a una forma strettamente personale, vissuta in modo riservato e chiamata sacramento della Confessione.

Il Concilio Vaticano II, per rispondere a una serie di istanze provenienti da molte parti della Chiesa, già nei decenni precedenti, volle sottolineare con forza la dimensione ecclesiale di questo Sacramento: non bisogna mai dimenticare la matrice ecclesiale del peccato e del perdono, che costituisce il contesto vitale. Infatti, è la comunità cristiana il luogo in cui si rende presente lo Spirito, il quale rinnova i cuori nell’amore di Dio e fa di tutti i fratelli una cosa sola, in Cristo Gesù.

Ecco allora che non basta chiedere perdono al Signore nella propria mente e nel proprio cuore, ma è necessario confessare umilmente e fiduciosamente i propri peccati al ministro della Chiesa. Nella celebrazione di questo sacramento, il sacerdote non rappresenta soltanto Dio, ma tutta la comunità, che si riconosce nella fragilità di ogni suo membro, che ascolta commossa il suo pentimento, che si riconcilia con lui, che lo rincuora e lo accompagna nel cammino di conversione e maturazione umana e cristiana. La Penitenza è proprio questo nuovo annuncio dell’amore di Dio per il suo popolo e non principalmente per l’individuo.

Il nuovo Ordo Paenitentiae (Rito della penitenza) voluto dal Vaticano II

Conoscendo tutte le carenze del passato i padri del Vaticano II chiesero che si rivedessero il rito e le formule della penitenza in modo da esprimere più chiaramente la natura e l’effetto del sacramento (SC 72).

Il nuovo Rito della Penitenza fu pubblicato il 2 dicembre 1973. La traduzione italiana fu predisposta l’anno successivo. È da notare che nel suo insieme il Rituale s’appoggia, in particolare nelle premesse dottrinali, sull’insegnamento della Lumen Gentium (nn. 8 e 11) riguardo alla dimensione ecclesiale del sacramento della Penitenza, grazie al quale il peccatore è riconciliato con tutta la Chiesa nel momento in cui ottiene il perdono di Dio. Il rituale ricordando l’invito del Vaticano II a una celebrazione comunitaria dei sacramenti ogniqualvolta sia possibile (cf. SC 27), presenta i tre Riti della Penitenza:

  1. Rito per la riconciliazione dei singoli penitenti;
  2. Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuali;
  3. Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione generale.

Riguardo ai tre Riti della Penitenza, bisogna notare subito, il Rituale del 1974 vi insiste e il nuovo CIC ancor di più, che non si tratta di tre possibilità offerte alla libera scelta e da considerare come complementari, ma che il ricorso all’Assoluzione generale (o collettiva) è autorizzato solo nel quadro di strette (per non dire rigide) regole disciplinari. Al contrario, tale restrizione non vale per la seconda forma, i cui due soli limiti sono che richiede un numero sufficiente di confessori e obbliga ciascun penitente a non prolungare il dialogo della confessione. Le regole liturgiche indicano all’evidenza che il sacramento deve essere realmente celebrato, e che, al pari delle altre azioni liturgiche, una celebrazione sbrigativa non sarebbe favorevole o indifferente alla fruttuosità dell’atto sacramentale.

I tre riti uno per uno

Il V capitolo del Rituale illustra i tre Riti.

Anzitutto il Rito per la riconciliazione dei singoli penitenti che risulta così suddiviso: la preparazione del sacerdote e del penitente (preghiera); l’accoglienza del penitente; la lettura della Paola di Dio (che non bisogna mai tralasciare); la confessione dei peccati e l’accettazione della soddisfazione (chiamata anche penitenza); la preghiera del penitente e l’assoluzione del sacerdote; il rendimento di grazie e il congedo del penitente. Vi è poi illustrato anche un Rito abbreviato. Strettamente parlando il rituale fa capire che questa forma resta il modo ordinario grazie al quale i fedeli si riconciliano con Dio e con la Chiesa. Le motivazioni sono profonde: Cristo agisce in ogni sacramento, si rivolge personalmente a ciascun peccatore; è il medico che si china su ogni singolo ammalato che ha bisogno di lui per guarirlo; lo rialza e lo reintegra nella comunione fraterna. La confessione personale è quindi la forma più significativa della riconciliazione con Dio e con la Chiesa (CCC 1484).

Segue quindi il  Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale, in buona sostanza si tratta della celebrazione comunitaria, chiamata anche Liturgia Penitenziale (cfr. CCC 1482). Il percorso rituale consiste: nei riti iniziali ai quali segue la Liturgia della Parola che termina con l’omelia del presidente; segue un tempo di silenzio quindi il rito della riconciliazione comunitaria con la proclamazione della formula: Confesso a Dio, la recita del Padre nostro e le confessioni individuali, la preghiera conclusiva e il congedo dell’assemblea.

Infine è descritto il Rito per la riconciliazione di più penitenti con la Confessione e l’Assoluzione generale; (cfr. CCC 1483). In questa celebrazione tutto si svolge come nel II rito e cioè: la celebrazione prende avvio coi riti iniziali, ai quali segue la Liturgia della Parola che termina con l’omelia del presidente; a questo punto occorre avvertire i fedeli che intendono ricevere l’assoluzione dei propri peccati che si dispongano spiritualmente a riceverla con umiltà e verità e si impegnino a confessare, a tempo debito, i singoli peccati gravi di cui al momento non è possibile fare l’accusa, venga inoltre proposta una soddisfazione o penitenza, che tutti dovranno fare, i singoli penitenti potranno (sottolinea il rituale nelle rubriche) eventualmente aggiungere qualche cosa. A questo punto i penitenti si pongono in ginocchio e il sacerdote che presiede, stendendo le mani sui penitenti, proclama la forma del Sacramento.

La formula sacramentale proposta è molto bella, teologicamente e liturgicamente solenne, ampia e trinitaria, come opzione è proposta la formula classica dell’Assoluzione sacramentale che ben conosciamo. Ecco il testo della prima formula dell’Assoluzione Generale: Dio nostro Padre non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva; egli che per primo ci ha amati e ha mandato il suo Figlio per la salvezza del mondo, faccia risplendere su di voi la sua misericordia e vi dia la sua pace. E tutti rispondono: Amen. Il presidente continua: Il Signore Gesù Cristo si è offerto alla morte per i nostri peccati ed è risorto per la nostra giustificazione; egli che nell’effusione dello Spirito ha dato ai suoi Apostoli il potere di rimettere i peccati, mediante il nostro ministero vi liberi dal male e vi riempia di Spirito Santo. I penitenti rispondono: Amen.

Il presbitero prosegue: Lo Spirito Paràclito ci è stato dato per la remissione dei peccati e in lui possiamo presentarci al Padre; egli purifichi e illumini i vostri cuori e vi renda degni di annunziare le grandi opere del Signore, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce. L’assemblea dei penitenti proclama: Amen. Quindi il sacerdote tracciando un segno di croce dice: E io vi assolvo dai vostri peccati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. E tutti rispondono: Amen. Segue il ringraziamento, con un canto adatto, e dopo aver benedetto l’assemblea congeda il popolo.

Da tutto ciò appare chiaro che questo Sacramento sia davvero importante e vitale nel cammino dei singoli discepoli e dell’intera comunità ecclesiale.

A cura di Tonino Zedda

Pubblicato su L’Arborense n.8/2021