La Veglia. Nella notte più santa riscopriamo la nostra identità

La Veglia pasquale della notte santa è il culmine dell’intero Triduo pasquale, cioè di quello spazio di tempo che prende nome dall’evento principale che è la risurrezione di Gesù, la sua Pasqua. Triduo non vuol dire tre giorni in preparazione alla festa di Pasqua, quanto piuttosto la festa di Pasqua che dura tre giorni.

Tre giorni in un solo giorno, perché nella Pasqua di Cristo, morte e risurrezione sono inseparabili, Sant’Agostino stesso afferma: Il sacratissimo Triduo di Cristo crocifisso (venerdì), sepolto (sabato), risorto (domenica). Vediamo anzitutto quando inizia il Triduo pasquale. Il Triduo pasquale comprende il venerdì santo, il sabato santo e la domenica di resurrezione. Dato però il carattere pasquale della Cena del Signore, entra nella celebrazione del triduo anche la messa vespertina del Giovedì santo. La domenica è insieme l’ultimo giorno del Triduo, e il primo del tempo di Pasqua. (dalla Liturgia delle Ore).

Il giovedì nella Messa in Coena Domini, noi celebriamo la pasqua rituale, memoria dell’Istituzione dell’Eucaristia, o, per meglio dire Istituzione della memoria, cioè celebriamo l’Istituzione del memoriale, per questo troviamo i paramenti bianchi, i fiori e si canta il Gloria. Il Giovedì sera dunque celebriamo l’anticipazione di quel processo che è durato tre giorni, da quando lo Sposo è stato arrestato nel Getsemani e ci è stato tolto, fino alla sua risurrezione. Il Venerdì e il Sabato sono i giorni in cui la Chiesa non celebra i sacramenti (un tempo neanche la Penitenza perché si diceva che in questi giorni la Chiesa non generava sacramenti), sono i giorni in cui lo Sposo non c’è e allora si digiuna, sostando in preghiera presso il sepolcro, in attesa del suo ritorno.

La Veglia pasquale da sempre è chiamata Madre di tutte le Veglie. La Veglia pasquale, in cui gli Ebrei attesero di notte il passaggio del Signore che li liberasse dalla schiavitù del Faraone, fu da loro osservata come memoriale da celebrarsi ogni anno; era la figura della futura vera Pasqua di Cristo, cioè della notte della vera liberazione, in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro.

Quindi, per antichissima tradizione, questa è la notte di veglia in onore del Signore: se Dio non ha potuto dormire per noi, perché noi non possiamo stare svegli per lui, in attesa con tutto il creato? Vegliare è un imperativo che spesso incontriamo nel Vangelo: Vigilate perché non sapete quando il padrone di casa ritornerà (Mc 13,35), Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Vegliare significa tenere la lucerna accesa, non farsi trovare addormentati, essere sentinelle sveglie e protese nell’attesa di Dio, tenute deste dai morsi del digiuno e dalla sete profonda dell’attesa di ciò che deve venire e che dà senso alla vita, Cristo Gesù, il Risorto.

La Veglia pasquale è composta da quattro parti: la liturgia della luce, quella della Parola, quella della liturgia battesimale e quella eucaristica. Il Lucernario (dal latino lucernarium) risale alla Pasqua ebraica. In uso nella Chiesa cristiana primitiva fino al IV sec., era il rito dell’accensione della lucerna, con il quale si iniziavano quotidianamente le preghiere della sera o che si celebrava settimanalmente all’inizio della notte tra il sabato e la domenica come segno di Cristo che con la sua risurrezione accende la luce e nasconde le tenebre per sempre.

Da questa tradizione nella nostra Veglia pasquale troviamo un accenno di lucernario: la celebrazione comincia nel sagrato, si spengono le luci della chiesa che deve rimanere vuota e al buio. Viene acceso un grande fuoco la cui fiamma deve essere tale da dissipare veramente le tenebre e illuminare la notte (n° 82), è il fuoco nuovo di Pasqua. Il popolo si raduna intorno al fuoco che divampa, si avvicinano il sacerdote con il diacono e gli altri ministri, uno dei quali porta il cero pasquale.

Il sacerdote fa una breve esortazione, che può essere anche spontanea, poi viene benedetto il fuoco nuovo dal quale si accenderanno i carboni del turibolo e il cero pasquale. Il sacerdote prende il cero pasquale e lo accende al fuoco nuovo. La notte pasquale è caratterizzata dal passaggio dalle tenebre alla luce, l’accensione del cero dà la totalità simbolico-rituale alla celebrazione di questo mistero, per questo deve essere di cera e non di plastica come purtroppo succede talvolta. Accendere il cero è proclamare la nostra vera fede pasquale.

A cura di Tonino Zedda

Pubblicato su L’Arborense n. 12/2021