III Domenica di Pasqua. L’approfondimento della Parola

Se non credi nella risurrezione della (tua) carne la tua fede è vana.

Davanti a questo brano evangelico e ai suoi paralleli si gioca l’essenza della nostra fede cristiana: la risurrezione di Gesù. È il vero fondamento del rapporto con Dio, il basamento solido sul quale stabilire il nostro rapporto con Lui, la roccia stabile di ogni esistenza cristiana. Senza la fede nella risurrezione vana è la nostra fede, ci dice Paolo.

Ma che tipo di risurrezione è quella prospettata dai vangeli e dalla fede cristiana? Molti credono nell’immortalità dell’anima e ritengono che si vivrà in Dio attraverso la presenza di un’anima che non muore. Tertulliano scriveva che quelli che credono solo nell’immortalità dell’anima credono in una risurrezione dimezzata. Nel Credo professiamo: credo la risurrezione della carne. Un sondaggio di qualche decennio fa presentò una percentuale bassissima riguardo alla convinzione personale su questo punto.

Alcuni credono in una sorta di rincarnazione, altri in una risurrezione teorica, altri in una immortalità disincarnata, altri in una vita eterna eterea. Noi cosa crediamo quando pronunciamo risurrezione della carne? Gesù è confuso dagli apostoli come un fantasma perché riesce a entrare nel cenacolo a porte chiuse, ma contemporaneamente mangia e si fa toccare, mostra piedi e mani, prepara lui stesso il cibo.

Scriveva Luis Ladaria, attuale prefetto della Congregazione della dottrina della fede: nella fede nella risurrezione dei morti si proclama che ciò che Dio ha fatto per il nostro bene è per sempre, e abbraccia il nostro essere intero. Siamo davanti alla risurrezione di Gesù e ci viene presentata la nostra. Contemplare il risorto significa accogliere il mistero della nostra risurrezione. Gesù mostra le ferite nel corpo risorto, non teme di farsi riconoscere attraverso le cicatrici della morte per annunciare la sua risurrezione.

Grande è questo mistero! Ma senza di esso non siamo cristiani, senza se e senza ma. Se non crediamo che Cristo sia risorto, la nostra fede è vuota; se crediamo che lui sia risorto, ma noi non partecipiamo a tale mistero con lui e per lui, siamo solo dei poveri illusi. Su questo punto non ci sono e non ci possono essere mezze misure. Il nostro corpo, anche se martoriato, colpito, limitato, è opera di Dio e Dio non fa cadere nessuna sua opera che ha considerato molto buona. In una società che ci tempesta di iper-attenzione al corpo, alla salute, al benessere fisico, dobbiamo avere lo sguardo di fede sul nostro corpo redento, trasfigurato, immerso già ora nella morte e risurrezione di Cristo.

Quindi non temiamo di guardare Cristo che mangia e si mostra ai suoi discepoli e pensare al dono della salvezza operato da Dio che ci supera e ci coinvolge allo stesso modo. Commentava in modo fulgido Cirillo di Alessandria: Nessuno faccia obiezioni alla risurrezione. Sebbene tu senta che la Scrittura dice che il corpo umano è seminato quale corpo fisico ma è risorto quale corpo spirituale, non rinnegare il ritorno dei corpi umani all’integrità.

Anche se attendiamo la risurrezione per l’ultimo giorno, il Nuovo Testamento insegna che il battezzato ha già partecipato alla morte e risurrezione di Gesù.

A cura di Michele Antonio Corona

Pubblicato su L’Arborense n.13/2021