La festa di San Marco attraverso i Gosos della tradizione sarda

In su mundu tenebrosu che celestiale iscrittore siades Marcu intercessore evangelista gloriosu. Sa torrada dei gosos di San Marco evangelista, riportati da don Josto in Goccius de Santus, introduce la riflessione su questo fondamentale personaggio della Chiesa primitiva.

Questo celestiale iscrittore ed evangelista gloriosu risponde bene alla parola di Gesù: << Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa >> (Mt 5,14-15).

Cosa ci dicono i gosos di Marco? Quale la sua origine? Quale rapporto con Cristo? Circa la sua provenienza leggiamo: De nazione fistis ebreu cun Barnaba in parentadu (strofa 1). La tradizione ci parla della parentela di Marco e Barnaba, mentre la Scrittura ci mostra il forte legame fra i due nella predicazione. Nel contesto del ritorno di Barnaba e Saulo ad Antiochia, gli Atti degli Apostoli ci dicono: << Intanto la parola di Dio cresceva e si diffondeva. Barnaba e Saulo poi, compiuta la loro missione, tornarono da Gerusalemme prendendo con loro Giovanni, detto anche Marco >> (At 12,24-25).

Non lo troviamo nominato nei Vangeli canonici fra i discepoli di Gesù, ma, come ricorda il noto biblista, card. Gianfranco Ravasi, in riferimento al giovane avvolto in un lenzuolo che scappa durante l’arresto di Gesù: Un commentatore del Vangelo marciano (e, con lui, molti altri) non ha avuto esitazione nello spiegare che si tratta di «quello che avviene in alcuni quadri celebri, quando c’è la tentazione da parte dell’autore di raffigurarsi in margine. Marco ha messo qui la sua firma. Questa giustificazione è suggestiva, anche perché appellerebbe a una sorta di testimonianza oculare (Famiglia Cristiana 6 aprile 2017).

Il rapporto di Marco con Gesù è da inquadrare nell’ambito della sua predicazione prima della Pasqua, dove il nostro autore presenta il Messia come frequentatore della sua casa: Connoschistis su Messia in sa sua predicazione, ed aggiunge un particolare importante su quella casa che viene trasformata nel cenacolo: cenacul’abitazione in domu bostra faghiat! A s’apostolica cumpannia destis chena prodigiosu (strofa 2). Dagli Atti conosciamo anche dello stretto rapporto con l’apostolo Pietro. Una prima traccia l’abbiamo nel racconto sulla prodigiosa liberazione di Pietro dal carcere: << Dopo aver riflettuto, si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in preghiera >> (At 12,14).

Da questo legame, come racconta anche il Martirologio Romano, nasce il suo Vangelo: << poi seguì i passi di san Pietro, che lo chiamò figlio; si tramanda che a Roma abbia raccolto nel Vangelo da lui scritto le catechesi dell’Apostolo >>. Troviamo conferma di queste notizie nella strofa 5: A Perdu puru parente cherfistis tantu chircare et a Roma accumpagnare ue predicat a sa gente accettende comunemente s’evangeliu sanadosu. Concludendo la presentazione dell’evangelista, il Martirologio riporta anche un’altra notizia: che abbia fondato la Chiesa di Alessandria.

I gosos non tralasciano di citare anche questa tappa della predicazione marciana: De continu predichende in Alessandria d’Egittu cun s’evangeliu iscrittu sa fide fistis donende sacerdotes ordinende in iscola santa famosu (strofa 9). Grazie agli indizi che ci fornisce il nostro autore, potremmo definire San Marco un testimone pasquale di Cristo. Testimone perché Marco subirà il martirio: Gasi sa gente accegada bos faghet mortale gherra su samben curret in terra de sa carre santa pistada (strofa 11).

Pasquale in quanto viene inserito nel contesto della Pentecoste: Cand’a su chel’alzesit Cristos giai resuscitadu a totu s’apostoladu Spiritu santu mandesit in su cenaculu falesit consolandebos donosu (strofa 2). San Marco è patrono della città di Venezia, il cui simbolo è il leone alato. A questo simbolo potrebbe far riferimento l’ultima strofa dei nostri gosos: Bois de grandes rughidos sezis che forte leone de sa sagrada visione (strofa 12).

Giovanni Licheri