Anno Speciale. La triplice paternità di San Giuseppe

Con l’indizione dell’Anno speciale di San Giuseppe, iniziato in occasione del 150° anniversario della dichiarazione di san Giuseppe patrono della Chiesa universale, papa Francesco ha pubblicato la Lettera apostolica Patris Corde: Giuseppe ha amato Gesù Con cuore di padre. Giuseppe, come ogni padre, non è un’icona da collocare su un altarino, ma un uomo che si è trovato a gestire una situazione familiare tutt’altro che semplice. Il suo valore di padre nasce dalla capacità con cui ha saputo gestire le sorprese e le avversità che è stato chiamato ad affrontare. Il santo Padre declina il sostantivo padre in modo da fare risaltare dall’esperienza di Giuseppe una paternità dalle svariate sfaccettature umane, generate dalla sua adesione alla volontà di Dio.

Il tema si sviluppa su tre aspetti della paternità che sono complementari tra loro e che indicano il motivo per cui all’Anno Speciale dedicato a san Giuseppe sia stato dato un particolare risalto anche alla famiglia con la proposta di dedicare attenzione all’enciclica Amoris Laetitia. Anno di San Giuseppe e Anno della Famiglia hanno evidentemente un collegamento strettissimo. Una paternità da riscoprire e interpretare continuamente, per imparare e imitare, appunto, come scrive il Papa nella sua Lettera apostolica: Giuseppe come l’uomo della fiducia in Dio, del dono alla moglie e al Bambino Gesù. Padre, non padrone, egli è uno che non agisce mai nella logica dell’uso dell’altro, della lamentela, dell’egoismo, bensì nella logica del dono, dell’altruismo, della dedizione totale al benessere spirituale e materiale della vita domestica.

Giuseppe ha tante caratteristiche a cui i papà e le mamme di oggi dovrebbero ispirarsi. Giuseppe è un uomo buono e giusto, fedele e premuroso, saggio e creativo, attento e silenzioso. Virtù, queste che servono tanto in una famiglia. Soprattutto in quelle del nostro tempo. Per esempio: l’attenzione alla propria sposa, perché nel rapporto di coppia nulla sia dato per scontato e tutto sia un camminare insieme; la tenerezza e la cura verso i figli, perché tutto sia integrato nel progetto familiare; la premura che non fa mancare mai niente in famiglia, così come la capacità di insegnare ed educare efficacemente i figli, perché godano dell’essenziale. Giuseppe insegni a tutti, in particolare agli uomini, a essere il decoro della vita domestica! Ogni genitore nella carne e nello spirito, a imitazione di Giuseppe di Nazareth, sia felice nello spendersi e nel donare se stesso agli altri! Dobbiamo sperare che quest’anno speciale, dedicato al nostro Santo, sia l’occasione per riscoprire modelli evangelici capaci di insegnare il bene.


La paternità adottiva: Giuseppe genitore esemplare

Il primo aspetto della paternità di Giuseppe passa attraverso una laboriosa spiegazione dei termini. La verità della maternità divina, verginale, di Maria, per la fede cattolica, ha nella figura di Giuseppe, vero padre, anche se non naturale, una dimensione paterna importante. Per spiegarlo, si ricorre a un’analogia teologica: come per il grande amore che ci ha dato il Padre, siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo davvero (1 Gv 3,1), così Giuseppe, sposo di Maria di Nazareth, nel cui seno si è incarnato per opera dello Spirito Santo (l’unigenito del Padre) e si è fatto uomo, è vero padre. Gesù è indicato come figlio non generato da un uomo, quindi Giuseppe accoglie il figlio di sua moglie, senza esserne il padre! Un atto d’amore per Dio, per Maria e per Gesù, che accoglie, protegge e cura come se fosse suo figlio biologico e, forse anche di più, una paternità dentro e oltre quella legale, putativa, adottiva. Infatti, se il matrimonio ne è fondamento, agli occhi della gente, il bambino è considerato suo figlio naturale (Mt 13,55). Ciononostante, la paternità legale di Giuseppe, rivendica tutti i diritti propri ed esalta la responsabilità diretta sul figlio della sposa, accolto non come uno da adottare, ma assunto pienamente come figlio, perché nato nel contesto di un matrimonio ineccepibile per intervento divino.


La paternità affettiva: fu un vero padre

Questo secondo aspetto è conseguente all’essenziale consapevolezza del padre vero e della madre naturale di Gesù, attraverso l’esercizio di responsabilità dei due: Giuseppe e Maria, armonicamente collaboranti per il bene della prole, a partire dal diritto del padre vero di porre il nome Yeshu’a al figlio, come si evince dal Vangelo secondo Matteo (1,21). È stato l’evangelista Marco a informarci, nella narrazione dell’agonia del Getsemani, che Gesù si rivolgeva al Padre con il titolo abbà (14,16), ossia la stessa forma aramaica enfatica popolare con la quale i bambini chiamavano il loro padre, espressione che equivale al nostro papà! Gesù aveva appresa quella parola nella sua famiglia, dove Giuseppe veniva appunto chiamato con la sua qualifica di padre, come ne fa testimonianza la stessa madre Maria, la quale, rivolgendosi a Gesù dopo il suo ritrovamento nel tempio, gli disse: Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo (Lc 2,48). E poiché ogni paternità nei cieli e sulla terra è da Dio (Fil 3,15), i sentimenti e i gesti di affetto che Giuseppe riserva al Bambino, in persona del Padre, hanno i tratti di una paternità, tanto più forte, quanto più casta, libera da affetto possessivo, perciò fedele e felice, per quella beatitudine evangelica della consapevolezza di appartenere al Padre, mediante la presenza nella casa di Nazareth del Figlio fatto uomo.


La paternità educativa: un modello da imitare

Questo è forse l’aspetto meno presente nei discorsi su Giuseppe, padre vero, nel senso che è pienamente nel suo ruolo o missione, che vive ed esercita. Se si pensa quanto oggi la psicologia mette in risalto i condizionamenti dell’ambiente in cui un figlio vive e cresce, per i meccanismi di conoscenza umana, tra intelligenza e sensi, possiamo intuire quanto in tale apprendimento si deve alla fiducia. Anche Giuseppe e Maria sono stati riferimento e strumento di valori educativi nella crescita umana di Gesù. Giuseppe ha la responsabilità pedagogico-fattiva del padre che educa con il suo essere silenzioso, con l’esempio dell’amore per la verità, nelle parole che dice, mostrando di starvi dentro da autentico uomo giusto, nei gesti prima che nelle parole, cioè fedele al volere di Dio, perché lo riconosce per esperienza diretta e pratica. Il suo modo di essere, di stare nel suo ambiente dentro le sue proporzioni umane, religiose, sociali, culturali ed economiche, se da un lato sembra renderlo un esempio evidente di umiltà e silenzio, dall’altro gli permette di esercitare un magistero di fatto, come lezione permanente di vita sapiente e santa. Una vita dentro e oltre il ruolo che la tradizione gli ha ritagliato, ossia quello di guardiano e custode di Gesù; il ruolo di padre affettuoso e di educatore di Gesù, riscoperto e unito a quello impareggiabile della sposa e madre, ha una tale densità ed elevatezza di sentimenti, vissuti e offerti in silenzio, da essere una forma di vita. Addirittura, per Gesù il Padre è Vangelo vivo, ispiratore e icona di qualche parabola, come quella del tesoro nascosto e del commerciante di perle preziose (Mt 13,44-45).


A cura di Suor Nolly Jose Kunnath, FSG