Pentecoste e Liturgia. L’approfondimento.

Un dono che fortifica per essere testimoni nel mondo

Con la solenne celebrazione memoriale del dono dello Spirito Santo, la Pentecoste, si conclude il ciclo delle feste pasquali. Grazie alla nostra, anche se insufficiente, familiarità con la Sacra Scrittura abbiamo imparato che i fenomeni naturali che più impressionano l’uomo (come il fuoco, la folgore, l’uragano, il terremoto, i tuoni) sono impiegati nella Bibbia per narrare le manifestazioni di Dio.

Anche per presentare l’effusione dello Spirito Santo la Parola di Dio ricorre a immagini forti: la Bibbia dice che lo Spirito è soffio di vita (nel racconto della creazione aleggia sulle acque); pioggia che irrora la terra e trasforma il deserto in un giardino (Is 32,15; 44,3); forza che ridona vita (Ez 37,1-14), rombo dal cielo, vento che si abbatte gagliardo, fragore, lingue di fuoco (At 2,1-3). Tutte immagini vigorose che suggeriscono l’idea di un’incontenibile esplosione di forza. Dove giunge lo Spirito succedono sconvolgimenti e trasformazioni, cadono barriere, si spalancano porte, tremano le torri costruite dalle mani dell’uomo, ma anche con la venuta dello Spirito scompare la paura, la passività, e si sviluppano programmi e scelte coraggiose.

Quando ci sentiamo insoddisfatti e aspiriamo al rinnovamento del mondo allora possiamo contare sullo Spirito: nulla resiste alla sua forza. Gesù ha promesso ai discepoli che non li avrebbe lasciati soli e che avrebbe mandato dal cielo lo Spirito (Gv 14,16.26).

Ecco, la Pentecoste nella Chiesa è esattamente questo memoriale: celebriamo il dono del Signore Risorto alla comunità dei credenti. Leggendo il brano degli Atti rimaniamo stupiti di fronte ai numerosi prodigi accaduti in quella prima Pentecoste: tuoni e vento impetuoso, fiamme che scendono dal cielo, gli apostoli che parlano tutte le lingue. Ci domandiamo: perché il Risorto ha atteso cinquanta giorni prima di mandare sui discepoli il suo Spirito? Secondo l’evangelista Luca la discesa dello Spirito avviene nel cinquantesimo giorno dalla Pasqua, eppure, il vangelo di Giovanni racconta che Gesù ha effuso lo Spirito al momento della morte in croce e, successivamente, nel giorno della sua apparizione come Risorto.

Come si spiega questo mancato accordo sulla data? Mi pare che la Liturgia di questo giorno facendo riferimento alle parole di Gesù chiarisca che: il mistero pasquale è unico. Morte, Risurrezione, Ascensione e dono dello Spirito sono avvenuti nel medesimo istante, nel momento della morte di Gesù. Raccontando ciò che è accaduto sul Calvario in quel venerdì santo, Giovanni dice che, chinato il capo, Gesù diede lo Spirito (Gv 19,30). Perché allora quest’unico, sublime, ineffabile mistero pasquale è stato presentato da Luca come se fosse accaduto in tre momenti successivi? Lo ha fatto per aiutare a comprenderne i molteplici aspetti. Giovanni ha posto l’effusione dello Spirito nel giorno di Pasqua per mostrare che lo Spirito è dono del Risorto. Luca la colloca nel contesto della festa di Pentecoste.

Diciamo subito che la Pentecoste non è stata inventata da Gesù o dalla Chiesa delle origini. Era una festa ebraica molto antica, celebrata cinquanta giorni dopo la Pasqua: commemorava l’arrivo del popolo di Israele al monte Sinai. Tutti ricordiamo cosa è accaduto in quel luogo: Mosè è salito sul monte, ha incontrato Dio e ha ricevuto la Legge da trasmettere al suo popolo. Gli israeliti erano molto orgogliosi di questo dono: dicevano che, prima che a loro, Dio aveva offerto la Legge ad altri popoli, ma questi l’avevano rifiutata, preferendo continuare con i loro idoli.

Per ringraziare Dio di questa predilezione, gli israeliti avevano istituito una festa: la Pentecoste. Dicendo che lo Spirito era sceso sui discepoli proprio nel giorno di Pentecoste, Luca vuole insegnare che lo Spirito ha sostituito la Legge antica ed è divenuto la nuova legge per ogni discepolo del Risorto.

A cura di Tonino Zedda