Sardegna verso Assisi. Il rito dell’accensione della lampada

La storia del lume: la fede illumini anche il nostro cuore.

Nella penombra della Tomba di Francesco si vede ardere, per tutto l’anno, una piccola luce. Non è invadente, è discreta: molti neppure la notano, non è fatta certamente per attirare l’attenzione. È la lampada votiva alimentata dall’olio che i Comuni d’Italia offrono annualmente attraverso la Regione, che a turno li rappresenta, in occasione della festa del Santo. Il 4 ottobre di ogni anno, la Basilica di San Francesco in Assisi diviene il cuore pulsante dell’Italia.

Alla presenza di una gran folla di fedeli e di alte personalità religiose e istituzionali, il sindaco del capoluogo di una Regione, scelta a turno in rappresentanza della Nazione, riaccende la lampada votiva posta nella cripta dove riposano le spoglie mortali di San Francesco. Per un anno intero la lampada arde con l’olio offerto, a nome di tutti gli italiani, dagli abitanti di quella regione. Il rito si ripete dal 4 ottobre 1939. Fu in quell’anno che il Papa Pio XII proclamò Francesco d’Assisi patrono primario d’Italia (18 giugno).

Il significato del lume è legato a quello di tutte le religioni che esprimono simbolicamente, nella mitologia, nel culto e nell’iconografia, l’idea della luce quale segno di presenza e benedizione divina. Il suo significato è testimoniato dall’uso rituale di lampade o candele nei templi, sugli altari, nelle tombe o vicino a esse, e davanti alle immagini sacre. La luce rappresenta la saggezza, poiché è per mezzo di essa che le cose sono visibili.

Francesco, all’inizio della vocazione, inginocchiato davanti al crocifisso, chiede a Cristo, Luce del mondo: Altissimo, glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio. Le lampade, accese nelle celebrazioni di Assisi, esprimono il desiderio profondo dell’uomo affinché il mondo esca dall’oscurità della violenza. Luce di San Francesco è anche il nome della lampada, un’opera che cerca di restituire l’essenzialità del messaggio francescano attraverso la scelta dei suoi elementi costitutivi: il vetro che simboleggia la purezza e la limpidezza; l’olio che rappresenta la medicazione, e incarna il desiderio di rinascita sociale, politica ed evangelica che in varie forme emerge dal cuore di tutti.

La storia della lampada votiva risale al 1937 quando all’architetto Ugo Tarchi fu affidato il compito di disegnarla. Nei primi giorni del settembre 1937, Tarchi inviò al padre Generale il disegno della lampada, con una dettagliata descrizione: La lampada votiva, di m. 1,20 di altezza, è tutta in bronzo lucido e argento. L’asse centrale, forgiato a croce, s’innalza dal centro della tazza che, nella sua forma semisferica simboleggia il mondo. In alto, la turrita corona d’Italia reca, nei quattro scudetti, lo stemma di casa Savoia, il Fascio Littorio, la Lupa Romana e lo stemma della città di Assisi. Sull’orlo della coppa staccano contro il fondo luminoso dell’alabastro le parole del verso dantesco: Altro non è che di suo lume un raggio.

Al di sotto della coppa la frase dedicatoria: I Comuni d’Italia al Santo. Al di sopra della tazza, tre colombe d’argento sostengono col becco una corona di ulivo, sovrano e universale simbolo di pace. Una riproduzione della lampada, riaccesa da tutti i Pontefici in visita al Sacro Convento di Assisi, è stata donata, negli anni, alle tante personalità politiche, culturali e della società civile che si sono recate pellegrine alla Tomba di San Francesco e che si sono contraddistinte per il loro impegno di pace, dialogo e accoglienza.

Tratto da San Francesco patrono d’Italia

Pubblicato su L’Arborense n.18/2021