Corpus Domini. L’approfondimento della Parola

Dopo aver ascoltate le tre letture proposte dalla liturgia nell’anno B, non sarebbe innaturale ipotizzare che la solennità potrebbe essere chiamata Sanguis Domini, più che Corpus Domini, dal momento che la menzione del sangue è volutamente il tratto di unione dei testi di Esodo, Ebrei e Marco.

Non si tratta solo di un vezzo terminologico, ma di una sfumatura importante per la comprensione della celebrazione. Il sangue è l’elemento distintivo della vita e della morte, dell’esperienza umana, della comunione di vita. Ancora oggi, si usa l’espressione fare un patto di sangue per definire un accordo profondo e infrangibile. Inoltre, avere un’unione di sangue evidenzia un rapporto molto forte.

La voce (il richiamo) del sangue indica il riconoscimento e l’amore che si nutre per i propri parenti, anche ignoti. Il sangue è ancora segno di vita, richiamo di esistenza, cifra della profondità dell’essere personale e comunitario.

La liturgia offre alla nostra riflessione e preghiera il brano dell’ultima cena secondo la versione di Marco. Il giovedì santo trova ulteriore respiro nella solennità in cui pane e vino sono Corpo e Sangue. Non solo ricordo, rappresentazione, simbolo, ma pienezza e verità di vita. Pane e vino, elementi cardine della vita quotidiana, spesso solo desiderati dalle classi più povere, richiamano l’essenzialità dell’esistenza e la profondità dell’ordinario.

La solennità di Corpus Domini è davvero essenza del quotidiano che è diventato mistero indicibile nella persona del Signore Gesù. Quel pane spezzato diviene il senso della condivisione e della comunione della Chiesa; il vino donato rinforza l’anelito di dono e di dedizione per il Regno. Gli imperativi che innervano la narrazione evangelica (andate, seguitelo, dite, preparate, prendete) richiamano direttamente il compito assunto da Israele di fronte all’alleanza proposta da Dio attraverso Mosè: quanto ha detto il Signore lo eseguiremo e lo ascolteremo.

L’ascolto della parola di Gesù che permette di accogliere il dono gratuito del corpo e del sangue muove i discepoli (e tutti noi, moltitudine sterminati che non si può contare) a seguire il Signore. In che modo? La solennità del Corpo e del Sangue ci invita a non avere misura, a essere sovrabbondanti, a smetterla di fare i contabili dell’amore. Siamo spesso tentati di dare nella misura in cui abbiamo ricevuto e negare se non ci è stato dato. Gesù manifesta un amore esagerato, che supera, che esagera, che trabocca, che arriva fino alla fine.

Cibarsi di quel pane e dissetarsi a quel vino significa farsi trasformare in Cristo. Alzerò il calice della salvezza per invocare il nome del Signore. Chi avrebbe mai potuto ipotizzare che Dio non solo scegliesse di salvarci o farsi vicino, ma che si sarebbe dato per sempre a noi come nutrimento di salvezza? Chi avrebbe osato di pensare che Dio si sarebbe fatto pane di pellegrini? Chi poteva sperare in un Dio che manda suo Figlio come gesto di amore supremo e che rimane con noi, per noi, dentro di noi?

A cura di Michele Antonio Corona

Pubblicato su L’Arborense n. 20/2021