Sas virtudes sagradas. I gosos di Corpus Domini

Sacramentadu Deus, amorosu e benignu, Signore, non so dignu, ch’intres in corpus meu. Basterebbero queste poche parole de sa torrada a descrivere la solennità del Corpus Domini.

Sono parole che dicono la povertà della nostra umanità davanti alla ricchezza dell’amore gratuito di Cristo. Questi gosos, intitolati Pro sa Comunione Generale (Gosos e Ternuras, I, p. 350), hanno il gusto combinato del Vangelo e della Liturgia. Si cumbenit Signore ch’intres in domo mia, apparatos imbia de divinu valore, pro tenner su favore chi tenzesit Zaccheu (strofa 1). In questa strofa i riferimenti fatti dall’autore sono diversi e intrecciati.

Sono prima di tutto evangelici e, come nei vangeli, troviamo un dialogo fra il peccatore e Gesù. C’è il richiamo alla frase del centurione a Gesù che visita il servo malato: Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito (Mt 8,8). Frase ripresa nell’Ordo Missae: Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea. C’è poi il richiamo a Zaccheo di Gerico, capo dei pubblicani e ricco (Lc 19,2) che un giorno si sente dire da Gesù: Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua (Lc 19,5). Questo desiderio di Gesù di alloggiare da un peccatore (Lc 19,7) è un atto d’amore che non guarda al peccato anche se diventato un impleu: Si s’amore divinu movet tanta grandesa, est sobrada finesa de me tristu meschinu, chi in peccare continu happo postu s’impleu (strofa 2).

Il peccatore non si sente adatto a una visita tanto importante perché ha s’alma male assentada (strofa 3). La parola assentada (aggiustata, ben messa), mi ricorda un po’ quando da bambini i nonni o i genitori, che magari ci vedevano disordinati nel vestire, ci dicevano: Beni innoi, assentadì! Anche se velato, possiamo intravedere un legame con la parabola evangelica delle nozze. In modo particolare col punto in cui: Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì (Mt 22,11-12). L’interno del peccatore non è cristallino e puro, ma buio e oscuro: Cussos cristallos puros, non cuncordant Segnore, de custu peccadore cun sos buiosos muros, fattu los hat oscuros su dimoniu Asmodeu (strofa 4).

In questa strofa possiamo leggere il riferimento alla condizione in cui viene lasciata l’anima di un peccatore quando il demonio vi prende dimora: Quando lo spirito immondo esce dall’uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell’uomo diventa peggiore della prima (Lc 11,24-26). La negatività di tale condizione è rafforzata dal riferimento al demone Asmodeo. Noi conosciamo questo cattivo demonio (Tb 3,8;17), dalla storia di Tobia che ce lo presenta come un assassino (Tb 3,8) e che verrà sconfitto e messo in ceppi dall’arcangelo Raffaele (Tb 8,3). Nella demonologia ebraica è considerato demone della distruzione e dell’ira.

Ma se l’interno della casa è ridotto a uno scempio, non c’è nessun problema: l’importante visitatore provvederà alla sua ristrutturazione. Leggiamo infatti nella strofa 6: Batti tapezzeria de tela ricamadas, in virtudes sagradas raient a porfia, pro ch’intro a s’alma mia incontres riccu asseu. C’è qui il ribaltamento di quello che dice Sant’Agostino nelle Confessioni: ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te (1,1-5).

L’atteggiamento giusto per questo incontro fondamentale è proprio quello dell’umiltà, come ci ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica: Davanti alla grandezza di questo sacramento, il fedele non può che fare sua con umiltà e fede ardente la supplica del centurione: Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea (O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa: ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato). Nella divina liturgia di san Giovanni Crisostomo i fedeli pregano con lo stesso spirito: O Figlio di Dio, fammi oggi partecipe del tuo mistico convito. Non svelerò il mistero ai tuoi nemici, e neppure ti darò il bacio di Giuda. Ma, come il ladrone, io ti dico: Ricordati di me, Signore, quando sarai nel tuo regno (CCC 1386).

L’esperienza della presenza dell’amato è forte e appagante, ma così importante che il peccatore non la vuole bruciare: Amante Soberanu, ritiradi pro como a sa dorada domo, e torra cras manzanu ca tes tenner a manu palmas de su trofeu (strofa 7).

A cura di Giovanni Licheri

Pubblicato su L’Arborense n. 20/2021