XIII Domenica del Tempo Ordinario. L’approfondimento della Parola

Sensibile nei confronti delle nostre sofferenze, Gesù vuole guarirci

Un racconto a intrecci che unisce, un doppio miracolo che crea comunione, un parallelo desiderio di Dio che connette. Il racconto evangelico di questa domenica, molto noto, ci narra di due donne con differenze e somiglianze, che hanno bisogno di qualcosa di importante. Non si tratta di piccole necessità, ma di esigenze di vita: una ha bisogno della guarigione, una addirittura della vita. Una può chiedere per se stessa, l’altra ha bisogno del padre. Il destinatario è sempre e solo Gesù, che non si rifiuta e si mostra accogliente davanti a questa necessità.

Quanti di noi oggi sentono il bisogno di chiedere l’intervento del Signore? Quanti vorrebbero prendere il Signore al bavero e imporgli di intervenire? Quanti sentono la frustrazione di chi segue il Signore, nella fede e nella pratica della fede, ma non vengono esauditi?

Dentro questa pagina si rimane attoniti davanti alla forza di Giairo e alla tenacia della donna con le perdite di sangue. Non vorrei chiamarla emorroissa per non continuare a intensificarla con la sua malattia. Questa la ha atterrita per dodici lunghi anni, ma il Signore Gesù l’ha liberata e noi non dobbiamo continuare a tormentarla come i medici che le hanno fatto spendere tutto.

La donna ha toccato il mantello di Gesù come fosse un amuleto, alla faccia del nostro modo razionalista, distaccato, puritano di intendere la fede. Una donna che ha il coraggio di rubare la potenza del Signore, perché crede in essa. Spesso noi ce ne stiamo alla larga, con le nostre grandi motivazioni spirituali, teologiche, ecclesiali. Giairo chiede, lei prende; Giairo invita, lei approfitta; Giairo accetta i tempi del Maestro, lei li forza. Che bella questa pagina!

Per avvicinare il Signore non è previsto un galateo formale, ma ognuno lo fa con la propria personalità. Com’è scritto nella prima lettura, tratta dal libro della Sapienza: le creature del mondo sono portatrici di salvezza. Quella salvezza richiesta dalle due donne è già inscritta nella loro persona, poiché Dio è operatore di salvezza. Il Figlio la dona e la mostra, la rievoca e la opera, la rende presente e la realizza. In queste donne ci siamo noi coi nostri mali e i nostri desideri, con le fragilità e i sogni, con le speranze e le pesantezze della nostra esistenza.

Il Tempo Ordinario ci ricorda la nostra quotidianità, ci manifesta la nostra vita col suo ritmo alterno e vivo. La seconda lettura con la sua solita pregnanza tipica di Paolo ci parla di una comunità cristiana ricca di talenti e abitata da grandi fragilità. Chi potrebbe dirsi solamente forte? Chi riuscirebbe a mostrare di non avere alcun dono? Siamo nella più vera uguaglianza.

Non si tratta di livellare la comunità con una semplice comunanza di pregi e difetti, ma accogliersi come si è, con estrema verità, con profonda sincerità, con verace serenità. Le due donne si raccontano (per la ragazza ci pensa il padre) come sono, anche con la massima paura. Essere veri con se stessi è una delle fatiche maggiori, ma è l’unica strada per accostare il Signore senza tergiversare. A noi la scelta se continuare a fare melina, come si diceva una tempo nel calcio, o andare dritti verso la porta coi rischi di scoprirsi e subire il colpo.

A cura di Michele Antonio Corona

Pubblicato su L’Arborense n. 23/2021