Il Beato fra Nicola da Gesturi

Beato Nicola da Gesturi

Nel nostro viaggio verso l’incontro coi quattro figli di San Francesco nati nell’Arcidiocesi di Oristano, dopo il Campidano di Oristano dove abbiamo incontrato fra Nicolò da S. V. Milis e dopo il Guilcer per mons. Giovanni Sotgiu da Norbello, stavolta facciamo tappa nella Marmilla e più precisamente a Gesturi.

Il paese, collocato ai piedi de Sa Jara Manna, conta poco più 1100 abitanti e confina con Barumini, l’unico centro della Sardegna ad annoverare un sito Unesco: Il Nuraghe Su Nuraxi (XVI-XIV secolo a.C). Gesturi, insieme a Genoni e Tuili, deve invece la sua fama al ricco patrimonio naturalistico e faunistico della Giara. L’altopiano, che in alcune parti raggiunge i 600 metri s.l.m, geologicamente risale a 2,7 milioni di anni fa.  Lungo i suoi dodici chilometri racchiude un ecosistema con animali e piante rare, tanto da essere annoverato dal 1995 tra i siti d’interesse comunitario. Chi da Gesturi s’inerpica sino a Sa Jara, s’immerge in un luogo abitato dal silenzio, dove il frastuono e le parole umane tacciono per lasciare spazio alle voci e al canto della natura e dei suoi abitanti speciali: i cavallini selvatici. Se ne contano ancora 700 e non è difficile vederli correre da un Pauli all’altro ad abbeverarsi. Sono il simbolo della libertà per eccellenza. In questo scenario incontaminato e d’incanto, la forza del vento sferza incessante, modellando le querce e le sugherete. Le piega quasi a porle in ginocchio, in atteggiamento di lode al Creatore.

Ebbene, è proprio ai piedi di questo contesto naturalistico unico che Giovanni Angelo Salvatore Medda, il 4 agosto 1882, viene alla vita nella casa ora trasformata in museo, meta incessante di pellegrini provenienti da ogni dove dell’Isola. Pochi giorni dopo, nella parrocchiale Santa Teresa d’Avila, riceve il battesimo. A 4 anni, la cresima. Ai 13 anni, è orfano di entrambi i genitori. A 14 anni riceve la prima comunione. E Gesturi sarà la sua casa, la sua patria e la sua culla nella fede per quasi sei lustri. Da ragazzo e giovane, come quasi tutti i suoi coetanei, si forgia col lavoro e la fatica nei campi; al contempo, però, quel ragazzo si dimostra recettivo alla Grazia, permettendo che essa dissodi il terreno della sua vita, per immettervi il seme della vocazione affinché fruttifichi.

E Giovanni si fa sempre più attento alle cose di Dio: la sua vita si nutre di pane ma non di meno della preghiera e dei sacramenti. Avviene così la gioiosa e sapiente scoperta che Dio concede ai semplici e agli umili, a chi conta meno di niente ed è ignorato se non disprezzato. L’orecchio del cuore di Giovanni si fa raffinato per la vita spirituale. Lui ascolta, custodisce e apprende, come insegna la prima donna dottore della Chiesa, Teresa d’Avila, patrona della sua comunità, che nella vita Dio solo basta e chi lo possiede, non manca di nulla. Un’evidenza accolta e maturata a tal punto che, dopo un tempo di 45 giorni di malattia, all’età di 29 anni, Giovanni lascia Gesturi per raggiungere Cagliari dove bussa alla porta del Convento della famiglia cappuccina. Dice addio per sempre a Gesturi e a Sa Jara Manna, dove non il vento ma lo Spirito lo spinge per essere pure lui libero come i cavallini per offrire tutta la sua vita come sacrificio di lode gradito a Dio nella preghiera e nel silenzio così da lasciar parlare nella sua vita unicamente il suo Signore.

E nel dicembre 1911, come Vincenzo Peis nel 1721 e ancor prima Fra Nicolò nel 1651, bussa alla porta del Convento dei cappuccini di Cagliari. Tra le poche cose che porta con sé, una lettera di presentazione del rettore Vincenzo Albano, parroco di Gesturi (1907-1921), che getta su quel giovane una luce celestiale come quella del colore dei suoi occhi. Le parole che egli spende su di lui attestano in maniera inequivocabile la bellezza interiore che si cela in Giovanni. Si evince che si tratta di una conoscenza che tutti, da un lato, possono vedere e riconoscere in Giovanni per le sue scelte di vita e di pratica religiosa che ogni giorno compie e, dall’altro, per l’esperienza che solo un sacerdote appura nel segreto come guida spirituale e nel sacramento della riconciliazione. E il rettore, sa di poter smettere ogni umana prudenza per attestare le ottime qualità morali di Giovanni, il quale è stato sempre di continua edificazione per tutti non solo per la sua spiccata pietà, ma anche per la sua illibatezza della vita e per l’austerità nei costumi.

Giovanni è un giovane puro e integro, donato già a Dio in toto. Il non averlo più a Gesturi, non sarà una perdita ma un investimento, arrecherà un bene ancora maggiore alla Chiesa perché produrrà una volta trapiantato nei giardini ubertosi di San Francesco, frutti più abbondanti e squisiti. E così, infatti, sarà. Lo Spirito Santo aiuterà Giovanni a permanere in ginocchio, come le querce dell’Altopiano, non in segno di resa e disfatta, ma per adorare Dio e ricevere la forza e la gioia di mendicare per 34 anni e servire i fratelli e le sorelle lungo le strade della sua Cagliari. Nulla lo turbò e nulla lo spaventò. E così andò avanti, come aveva fatto Ignazio e ancor prima Nicolò, sino a quell’8 giugno 1958, quando non solo i suoi occhi ma la sua anima si aprirono al cielo, per gustare e vedere la fonte e la bellezza dell’amore che non muta, perché tutto passa.

Ignazio Serra