XVII domenica del Tempo Ordinario. L’approfondimento della Parola

Non siamo chiamati a essere diversi da come siamo, ma solo migliori.

Cinque più due sta a cinquemila, come la generosità dell’uomo sta al dono di Dio. Capiamo tutti che una equazione del genere è paradossale, assurda, illogica, evidentemente fuori norma. Ecco, dunque, un modo per interpretare le letture domenicali: assurde!

Il vangelo ci racconta una tra le versioni possibili della moltiplicazione dei pani e dei pesci: Gesù non trasforma pietre in pani (come il diavolo aveva prospettato nelle tentazioni), ma moltiplica ciò che qualcuno possiede. In altre parole, non si tratta di inventare o di creare, compito già attuato dal Padre, ma di rafforzare ciò che già esiste. Una verità che ci aiuta anche esistenzialmente: non siamo chiamati a essere diversi da ciò che siamo, ma migliori di come siamo. Non dobbiamo inventarci una natura diversa, ma perfezionare quella che ci è data. Non dobbiamo trasformare pani e pesci in brioches e cappuccino, ma condividere ciò che abbiamo tra le mani.

Se questo sembra essenzialmente normale nel racconto evangelico, lo è sempre meno nell’esperienza quotidiana della nostra vita. Troppo spesso ci perdiamo nell’illusione del cambiamento radicale, del capovolgimento della vita come segno di una salvezza ormai raggiunta e, invece, ci scontriamo con la dura realtà: siamo sempre uguali o peggiori di noi stessi. Quando constatiamo un miglioramento, ravvisiamo sempre la nostra natura e ci rattristiamo.

Dovremmo essere felici che l’impronta della nostra persona, voluta e amata da Dio, non si cancella e non è barattata con immaginari fasulli, utopici e mercantili. Gesù alza gli occhi e vede una folla che ha bisogno di lui, ha bisogno di cibo, è affamata e assetata. Una vera folla che cerca, desidera, si dimena nella vita. Gesù non la idealizza, non la allontana, non la rende inutile. La folla è viva, perciò anche affamata, stanca e desiderosa. Quante volte noi cerchiamo di essere apatici, atarassici, abulici? Cioè cerchiamo di mostrarci fuori dalla realtà per essere più santi, per rassomigliarci agli asceti, per identificarci coi mistici. Di contro, essi sono stati tali perché si sono ancorati al quotidiano, hanno saputo condividere cinque pani e due pesci, hanno accettato la loro essenzialità per sfamare generosamente tutti.

Al termine del vangelo Gesù si mostra icona dell’essenziale: sapendo che venivano per farlo re, si ritirò di nuovo. Sbalorditivo! A noi che siamo affamati e assetati di successo, di gloria, di riconoscimento, di fama, di ampollosità, Gesù mostra come sia meglio nascondersi. Non si tratta di una falsa umiltà o di una cessione disumana di auto riconoscimento; bensì, è la maturità di chi sa rispettare i tempi, di chi si stima, di chi sa accettare il ritmo della propria esistenza. Parafrasando Paolo agli Efesini: Gesù è perno di chi sa che bisogna essere uno, e non centomila o nessuno (Pirandello). Chi vuole essere due o più di due perde se stesso/a e perde tutto.

Chi accetta di essere saziato dal Signore, attraverso il talento che ha ricevuto, colma ogni vorace bisogno di rivalsa sugli altri e su se stesso/a.

A cura di Michele Antonio Corona

Pubblicato su L’Arborense n. 27/2021