La Dottrina sociale della Chiesa: l’ordine economico deve tendere al bene comune

Il confronto tra punti di vista anche opposti è sempre utile

Già dai primi atti del governo Draghi si è delineata una “terza via” di sviluppo economico, quella sociale della Chiesa, capace di creare una società che sia allo stesso tempo sintesi e superamento del dualismo fra socialismo e liberismo, allontanandosi dal pensiero di ispirazione keynesiana che difende l’interventismo dello Stato e un’economia mista con un forte settore pubblico produttivo e dal liberismo economico che propugna un intervento statale minimo nel mercato.

Lo Stato deve garantire pari opportunità a tutti i cittadini, fornendo loro i mezzi per lo sviluppo ottimale delle loro capacità. Negli anni passati, il capitalismo finanziario, speculativo e deregolato (dovuto alla globalizzazione), rivolto in maniera preminente all’accumulazione del profitto, oltre a generare il fallimento di banche e a provocare, con effetto domino, gravi problemi per molti Paesi, ha oscurato aspetti sociali ed ecologici imprescindibili della qualità della vita civile.

Il Trattato di Lisbona sull’Unione Europea (2007), pone tra i suoi obiettivi «la stabilità dei prezzi e un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione» (art. 3). Nel gennaio 2012, i vescovi della Commissione degli episcopati della Comunità Europea hanno deciso di partecipare al dibattito sul modo di perseguire e configurare un tale obiettivo mediante una Dichiarazione dal titolo Una Comunità Europea di solidarietà e di responsabilità. Va, tuttavia, precisato che l’espressione «economia sociale di mercato» (da non confondere con quella che è caratterizzata dalle attività senza scopo di lucro) non risulta dal magistero pontificio elaborato fino a Benedetto XVI, mentre è chiaramente presente nella citata Dichiarazione.

Ma che cosa intendono i pontefici per realizzazione di un’economia sociale? Per Leone XIII, che in ciò era in sintonia con alcuni economisti dell’Ottocento, economia sociale significa un orientamento dell’ordine economico secondo termini di libertà e di giustizia, da ottenersi mediante un congruo intreccio tra economia di mercato, forme solidaristiche fra lavoratori dipendenti e ceti popolari, e legislazione sociale statale. Più precisamente, la scuola economica cristiana si è opposta alla lotta esasperata e all’odio di classe, sostenendo il criterio del giusto compenso alla fatica, all’equo salario spettante al lavoratore manuale ed intellettuale, del controllo della distribuzione dei redditi, compreso il compenso al capitale, fecondo di benessere anche per i lavoratori quando sia giustamente amministrato l’uso della sua utilità.

La Chiesa promulgò con questo spirito la Rerum Novarum e indicò la via cristiana all’organizzazione moderna della società, lasciando salvo il principio della libera iniziativa, del diritto di proprietà, del giusto compenso a chi sa risparmiare e mette a disposizione di altri il capitale come mezzo di produzione, della collaborazione di classe e dell’amore verso i poveri. Tale pensiero è stato riproposto, secondo un’edizione meno timida e con legami più forti, da Pio XI, il quale mirò a un intervento statale più massiccio a livello economico (sia a forme dirette di imprenditorialità che mediante un’azione di «razionalizzazione» più etica che tecnica), previdenziale e assistenziale.

Egli raffigurò, inoltre, un’organizzazione più compatta della società, sulla base di un ordinamento corporativo delle professioni, col fine di ottenere, in una società segnata da gravi disparità economiche, una più equa distribuzione della ricchezza prodotta da tutti. Pio XII, riprendendo l’insegnamento del suo predecessore sul tema della distribuzione della ricchezza nazionale, propose anch’egli un’economia che sappia conciliare libertà e giustizia sociale, ovvero a servizio della persona, della sua crescita globale e della società intera. Si tratta di un’altra economia, sia rispetto a quella liberista, al servizio di pochi, sia rispetto a quella totalmente pianificata, posta forzatamente al servizio di tutti, al prezzo troppo alto dell’annichilimento della libertà.

L’economia sociale di mercato potrebbe essere un modello obiettivo da adottare nell’àmbito post-pandemico, quando saranno ridotti i sostegni pubblici connessi all’emergenza sanitaria. A questi principi si ispiravano Einaudi e De Gasperi allorché idearono il processo di integrazione europea. I rigidi parametri del Fiscal Compact (i Paesi che hanno ogni anno un debito pubblico superiore al 60% della ricchezza creata: Pil, devono ridurre di 1/20 tale differenza per conseguire il pareggio di bilancio) non saranno, forse, come prima.

Giovanni Enna (pubblicato su L’Arborense n.27/2021)