Migrantes. Armonizzare le differenze!

Il messaggio di papa Francesco per la 107a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato è in continuità con i messaggi precedenti, anzi, potremmo dire è uno slancio, un’ascesi, un guardare più in avanti e indicare un orizzonte più vasto per un comune itinerario in questo mondo. Il Papa parte dalla preoccupazione già espressa nell’enciclica Fratelli Tutti di una autoprotezione egoistica di ritorno al solo noi senza gli altri.

Tentazione sempre ricorrente specie nei momenti difficili della storia, come quello che stiamo vivendo per la pandemia. Noi è un cambiamento dal singolare al plurale, non più io da solo, ma insieme ad altri. Termine quindi di apertura, non di chiusura, destinato a progredire dall’io al tu, dalla coppia alla famiglia, alla cittadinanza, all’intera comunità umana. La giusta preoccupazione del Pontefice è quindi che, finita la crisi sanitaria, si ritorni, come se nulla fosse stato, a forme di nuovi, anzi di vecchi egoismi.

Il noi è all’inizio della storia dell’umanità, quando Jawhe benedice l’uomo e la donna, creati nella loro diversità e complementarietà a immagine di Dio perché possano moltiplicarsi nelle generazioni. Benedice poi Abramo e gli promette una discendenza grande come le stelle del firmamento; un noi quindi che riguarda l’umanità intera, un noi che sarà fino alla fine del mondo quando Cristo ricapitolerà tutta la storia nel disegno di salvezza del Padre. Purtroppo, però, e la storia ce lo insegna, rimane sempre forte la voglia di sgretolare questo noi con forme di individualismo più o meno radicale: vengono prima i miei interessi, i miei hobby, le mie cose, e mentre il mondo si globalizza, non c’è posto per me e per gli altri.

Dall’individuo il problema si allarga alle nazioni, con forme di sovranismo sempre più accentuate e aggressive per consolidare territori, rafforzare confini, creare muri e cortine di ferro, riproponendo corsi e ricorsi della storia. Chi ne fa le spese di questo essere altri sono sempre i poveri, gli emarginati della società, i migranti, coloro che fuggono dalle guerre; e non ci sono solo le guerre delle armi ma anche quelle della siccità, della carestia, della desertificazione, dell’odio tribale. Per questo il Pontefice ci richiama continuamente alla realtà che siamo tutti su una stessa barca e non ci si salva da soli! Tutti hanno diritto a una vita dignitosa, a un futuro migliore, per sé e per i loro figli. Entrando più nel dettaglio, il messaggio può essere ripartito in alcuni punti principali connessi al noi e destinati a un comune impegno di costruzione.

Papa Francesco si rivolge anzitutto a noi cattolici chiamati a realizzare il detto di S. Paolo agli Efesini un solo corpo, un solo spirito, una sola fede, un solo battesimo. La cattolicità e universalità non è solo un articolo del Credo da professare, ma una realtà da vivere in ogni epoca della storia, facendo comunione nella diversità. Armonizzando le differenze, senza mai imporre una uniformità che spersonalizza. Dalla comunità primitiva di Gerusalemme, alla nuova evangelizzazione di oggi, il dialogo e l’incontro interculturale continuano a essere una opportunità di crescita nella Chiesa. La comunione non cancella le diversità, ma nel rispetto, le valorizza.

Una chiesa vera, dice il Pontefice, è una chiesa in uscita. Espressione questa molto cara a papa Francesco: prospettiva per le comunità cristiane, chiamate a incontrare chi è emarginato, smarrito, deluso, abbandonato… senza proselitismi, ma per annunciare l’amore e la salvezza del Dio raccontato da Gesù, padre dell’umanità intera. Una chiesa in uscita presuppone di aver maturato il senso di accoglienza. Non il semplice fatto di accogliere, ma una cultura dell’accoglienza: il saper accettare l’altro nella sua diversità, il voler costruire insieme, il condividere gioie, ansie, difficoltà, speranze, la certezza che le diversità sono una opportunità di crescita, non un limite invalicabile.

L’incontro, il dialogo, l’accettazione diventano strade per una nuova evangelizzazione. Il Papa lo afferma ricordando un discorso ai nostri direttori della pastorale per i migranti: i flussi migratori contemporanei costituiscono una vera frontiera missionaria, un’occasione privilegiata per annunciare Gesù Cristo e il vangelo, senza muoversi dal proprio ambiente; di testimoniare concretamente la fede cristiana nella carità e nel profondo rispetto per altre espressioni religiose. Da questo impegno può sorgere un futuro migliore, un futuro, dice il Papa, a colori costruito in armonia tra tante diversità di popoli, da relazioni interculturali, che realizzano una differente concordia nell’interconnessione tra tutte le genti. L’augurio finale è un invito a sognare! A sognare insieme, come unica umanità, fratelli e sorelle tutti in questo mondo ove siamo chiamati a vivere la nostra storia, trasformandola quotidianamente in storia di salvezza.

Mons. Guerino Di Tora

Presidente emerito Commissione Episcopale per le Migrazioni della Cei e Presidente Fondazione Migrantes