Il commento al vangelo della XXVI Domenica del Tempo Ordinario

Il vangelo di questa domenica racchiude brani che mi hanno spesso confuso per le loro rivoluzionarie idee che, oggi, potremmo definire politicamente non corrette.

In un primo momento ci troviamo di fronte a una presa di posizione di Giovanni e degli Apostoli, quasi infastiditi per essere stati scavalcati da uno sconosciuto che faceva prodigi e, cosa ancora più grave, neanche li seguiva. Gesù non incoraggia minimamente i loro schemi mentali ma indica che l’amore è il criterio primario per seguirlo, senza esclusioni! È sufficiente un solo bicchiere d’acqua dato nel suo nome.

A questo punto il testo prosegue con una serie di frasi fra le più sconvolgenti del Nuovo Testamento per la durezza e spietatezza, come la macina al collo per chi scandalizza i piccoli e le amputazioni del corpo per evitare di finire nella Geènna. A questo punto mi trovo in difficoltà e mi chiedo quale sia il filo conduttore che lega queste parti del testo, ma soprattutto mi domando che cosa ha da dire a noi oggi.

Ho preso il vangelo di Marco nella parte che precede il brano in esame e ho trovato in esso una chiave di lettura stimolante. A mio parere, il brano ci mette in guardia dalle minacce del potere. Esso, infatti, può facilmente essere esercitato per fini personali e senza tener conto del bene comune. È interessante notare che, immediatamente prima di questo brano, gli Apostoli discutono su chi sia il più grande, con la risposta di Gesù che identifica la grandezza esclusivamente col servizio. È proprio questo che i suoi Apostoli ancora non afferrano quando emarginano chi non è uno di loro, come se seguire Gesù fosse un primato esclusivo di un gruppo chiuso, di privilegiati.

Anche questo è uno dei meccanismi del potere da combattere. Quello cioè di creare una casta autoreferenziale che si alimenta dall’interno con la pretesa di bastare a se stessa. Il rischio della casta c’è per tutti: la politica, la religione, i sistemi educativi chiusi, lo sport d’élite ristretto delle grandi potenze economiche fino alle piccole dinamiche sociali che viviamo ogni giorno. Il potere esercitato con egoismo e prepotenza crea inevitabilmente sofferenza e ingiustizia, crea scandalo e, spesso, chi lo esercita non si rende completamente conto delle conseguenze negative anche su se stesso. Egli si dissocia progressivamente dalla vita vera e dalla propria stessa anima.

Ecco perché per entrare nella vita e nel regno di Dio occorre tagliare tutti gli atteggiamenti e comportamenti, mano, piede, occhio, che ci allontanano dalla nostra vera natura. Perché siamo stati creati per amare e non per dominare sugli altri. Questo messaggio è universale. Per questo non devono seguire il messaggio di Gesù solo i credenti ma è opportuno che tutti maturino questo senso di potere di servizio affinché la nostra vita più autentica non venga annichilita da un inferno di relazioni senza empatia (Geènna) che noi stessi abbiamo contribuito a creare.

Filippo Scalas, docente di religione

Pubblicato su L’Arborense n. 32/2021