XXIX Domenica del T.O. Il commento al Vangelo

L’ultimo posto, quello dei servi, è sempre il migliore

Nelle righe precedenti al brano di questa domenica Gesù offre il terzo annuncio della passione, morte e resurrezione. Gli apostoli ascoltano, per logica dovrebbero essere sconvolti e distolti dal seguirlo: invece no! Vogliono avere i primi posti. Eppure Il Vangelo di Marco non fa sconti a quello che dovrà accadere a Gesù prima della sua risurrezione. Egli preannuncia sofferenza e morte scandalosa, i figli di Zebedeo, fanno a gara per stare al suo fianco, quasi incapaci di comprendere fino in fondo questo passaggio doloroso.

Gesù dice loro: Voi non sapete quello che chiedete cercando di risvegliarli dall’illusione di primeggiare. La sindrome da primi della classe, dove tutto si conquista senza fatica e doloroso sacrificio, è intrinseca in loro e in noi ogni volta che leggiamo falsamente l’esistenza, come una corsa a ostacoli e senza esclusione di colpi. In una società sempre più soggettivistica l’altro diventa un nemico che ci allontana dai nostri obiettivi più o meno moralmente ammissibili. Viviamo sempre più in un mondo in cui procede spietatamente la triste mentalità dello
scarto di chi non è più utile al profitto, la sempre maggiore propensione alla divisione e alla solitudine, la svalutazione dei diritti che ci preparano a nuove schiavitù e il deprezzamento della dignità umana globale.

Gesù ci propone la soluzione più illuminata e al tempo stesso più distante dalle logiche predatorie di oggi. Egli promette di riscattarci capovolgendo il nostro ego senza limiti. Con molta chiarezza ci dice che la grandezza della persona sta nel servizio. Questo significa che l’altro non è più oggetto di diffidenza e sopraffazione ma il centro della nostra cura e attenzione. Solo i grandi uomini sono in grado di transitare da una propensione naturale al dominio a un’esistenza utile di servizio agli altri.

Non illudiamoci, questo passaggio non è indolore. Chi vive nella logica del dominio tende spesso a opprimere chi non si trova in linea con la propria condotta. Gesù che ci riscatta ci indica proprio questo percorso, quello di una società dove chi comanda lo fa perché serve non solo nel senso di servizio ma anche perché è utile al bene e alla giustizia. Rendersi utili significa mettersi in discussione e rimboccarsi le maniche per una riabilitazione di chi sta ai margini e una redenzione della propria esistenza. In questo modo chi propone un riscatto sociale degli ultimi li recupera essendo, prima di tutto, uno di loro.

A ben pensarci nessun tiranno, piccolo o grande che sia, è stato utile alla società. Stare al fianco di Gesù non è quindi un privilegio ma una conquista. Egli ci ricorda che sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato. Le gerarchie non possono essere stabilite da lui ma dalla nostra inclinazione al produttivo servizio che ci dona il primato in umanità. Se è vero che viviamo per colmare il nostro bisogno di essere amati dobbiamo credere che il futuro è del servitore perchè chi domina è solo temuto ma mai realmente amato.

Filippo Scalas

Pubblicato su L’Arborense n. 35 del 2021