Scribi e farisei. Profondi conoscitori della Legge, vere guide del popolo d’Israele

Gli scribi e i farisei sono presenti diverse volte nei brani evangelici e in più occasioni Gesù si rivolge a loro. Ma chi erano e quale ruolo ricoprivano?

Lo scriba era, allo stesso tempo, teologo, avvocato, pastore e medico; una sorta di depositario di tutto il sapere accumulato nei secoli. Tutti lo rispettavano e lo ammiravano; quando passava in strada, austeramente vestito, coi filatteri sulla fronte e sulle mani, giovani e vecchi si alzavano in piedi in segno di ossequio. Durante le feste e nei luoghi pubblici, i posti migliori erano per lui. Durante l’Esilio in Babilonia, gli Ebrei sentirono per la prima volta che la loro sopravvivenza come nazione era legata all’osservanza della Legge da parte di tutti. Bisognava conciliare le necessità della vita quotidiana e gli imperativi religiosi, e dunque occorrevano prescrizioni concrete; necessitavano autentiche interpretazioni della Legge. Furono appunto gli Scribi a dar vita a questa giurisprudenza, promanante dal Libro Santo; a interpretare i precetti; a chiarire i casi controversi o difficili, specialmente in base alla situazione nuova in cui venivano a trovarsi nell’Esilio gli Ebrei.

E così, a poco a poco finirono per avere una funzione politica di primo piano anche dopo il ritorno in patria. Gli scribi risolsero i vari problemi prendendo decisioni dopo discussioni interminabili e molto accese. La loro rilevanza sociale fu sottolineata dal fatto che quelli più apprezzati risiedevano a Gerusalemme. Dopo la seconda metà del V secolo a.C. essi furono chiamati a far parte dei tribunali, come stimati consulenti. Ma il luogo e il momento in cui essi operarono con maggior successo furono le Sinagoghe, dove era necessario identificare la volontà divina nelle circostanze più umili della vita quotidiana. Ci sono stati pure conflitti dottrinali tra scribi e scribi. Il più importante fu quello che si verificò nel primo secolo a.C. e che divise l’intera Palestina in due partiti: quello di Hillel e quello di Schammai. La corrente di pensiero di Hillel, più flessibile, dava molta importanza ai rapporti umani; l’altra, invece, sosteneva con intransigenza l’osservanza rigorosa dei precetti. Il clamore suscitato da questa disputa dimostra la grande popolarità degli scribi a quel tempo. Il giudaismo posteriore alla distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) conserverà l’inflessibilità della loro religione.

Verso l’inizio dell’era cristiana, i Farisei rappresentavano uno degli orientamenti più importanti dell’ebraismo. Furono poco numerosi, pressappoco seimila su una popolazione di circa un milione di abitanti. Ma la loro presenza si avvertiva ovunque si discutesse della Legge, di come interpretarla e applicarla; provenivano dal ceto dei mercanti e degli artigiani, in contatto continuo con gli strati popolari più umili. I farisei (separati) vivevano di solito in comunità autonome e studiavano la Thorà, la Legge, che non poteva comprendere ogni sorta di situazione. I farisei dissentirono dalla religiosità ufficiale (II sec. a.C.). Era necessario proteggere la vita religiosa dell’ebreo e proclamare la Thorà, rivelazione della volontà divina. Il popolo diede fiducia ai farisei, negandola ai Sadducei (costoro ignoravano la resurrezione e l’immortalità dell’anima). La famosa invettiva di Gesù: Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti… (Mt 23,13), che sembra accomunare le due categorie, era rivolta verso una loro minoranza. È vero che gli scribi (Dottori della Legge) fraternizzavano col fariseismo; ma è altrettanto vero che alcuni scribi erano Sadducei. Gesù aveva buoni rapporti con alcuni farisei: Nicodemo e Giuseppe di Arimatea. Anche San Paolo era fariseo.

A cura di Giovanni Enna

Pubblicato su L’Arborense n. 40/2021