Pasqua, cuore e sorgente dell’anno liturgico

Ci siamo preparati, abbiamo riflettuto, abbiamo cercato motivazioni e ragioni profonde nell’intenso cammino quaresimale e ora, giunti ai piedi della santa montagna, al cuore della nostra fede e del nostro discepolato, siamo chiamati non tanto a guardare il cammino fatto ma a celebrare il suo divino sacrificio; siamo cioè chiamati, come comunità dei discepoli, a fare memoria (qui e ora) del suo immenso sacrificio pasquale.

Per comprendere la profondità di questo memoriale dobbiamo coglierne la simbologia e decifrarla. Pasqua è la festa più importante per la Chiesa perché è la celebrazione della Risurrezione di Gesù, fondamento della nostra fede. Dice san Paolo: Se Cristo non è risorto vana è la nostra fede! Dopo la pandemia, finalmente abbiamo potuto accendere un fuoco fuori della chiesa per attirare l’attenzione dei fedeli. Sacerdote e popolo di Dio sono usciti dalla chiesa, lasciata completamente al buio, senza luci né candele accese, dal Venerdì santo. Una volta fuori dalla chiesa, raggiunta la catasta di legno, il presbitero benedice il fuoco.

La preghiera del Messale Romano che accompagna la benedizione del fuoco, mi appare eccezionalmente significativa: O Padre, che per mezzo del tuo Figlio ci hai comunicato la fiamma viva della tua gloria, benedici questo fuoco nuovo, fa’ che le feste pasquali accendano in noi il desiderio del cielo, e ci guidino, rinnovati nello spirito, alla festa dello splendore eterno. Nell’anno liturgico, se esiste una celebrazione il cui inizio è un vero gioco simbolico di luce, questa è la Veglia pasquale. Il popolo, riunitosi nell’oscurità, così come ho accennato, vede la nascita del fuoco nuovo da cui si accende il cero pasquale, simbolo di Cristo (mistero poi solennemente proclamato da letture e azioni sacramentali della più solenne tra le notti) e ciò è già sinteticamente espresso in questo concreto linguaggio del fuoco nuovo, intorno al quale si riunisce la comunità.

Il diacono (o il presbitero), portando il cero acceso, comincia la processione che entrerà in chiesa, intonando per tre volte il grido gioioso Lumen Christi (La luce di Cristo). Il cero pasquale, infatti, è il segno del Cristo risorto, luce vera del mondo che illumina ogni uomo; è la luce della vita che impedisce di camminare nelle tenebre; è il segno della vita nuova in Cristo che, strappandoci dalle tenebre, ci ha trasferito con i santi nel regno della luce; Cristo brillò su di noi che eravamo tenebre, ma ora siamo luce nel Signore. È il segno che ci permette di vivere come figli della luce, di abbandonare per sempre le opere delle tenebre, di restare in comunione con Dio, di conservare l’amore con i nostri fratelli. È anche segno di fedeltà a Dio e vigilanza nella preghiera e nell’attesa. Durante la processione del cero i fedeli accendono la loro candela e diffondono la fiamma agli altri fedeli. L’accensione delle candele sta a simboleggiare il fatto che i cristiani restano contagiati dalla luce di Cristo e questa si espande sempre di più. Quando la processione giunge al presbiterio si accendono le luci della chiesa, il Cero viene intronizzato nel candelabro e incensato, quindi viene cantato l’inno più importante dell’intera eucologia liturgica il Preconio Pasquale: si tratta di un brivido caldo di fede alla Luce del Signore Risorto misticamente adombrata e realizzata dal Cero.

Non credo serva aggiungere molte spiegazioni: il simbolismo della luce in questa Veglia è diretto e coglie il cuore dei fedeli. La sua intenzione è evidente, tanto da contagiare e avvolgere i credenti, comunicando loro con la sua forza espressiva l’entusiasmo del mistero celebrato: Questa notte fonte di luce sconfigge il male, lava le colpe, restituisce la gioia agli afflitti…  Cristo è la luce serena che vive e regna nei secoli dei secoli.

A cura di Tonino Zedda

Pubblicato su L’Arborense n. 14 del 2022