Omelia del Giovedi Santo

09-04-2020

OMELIA GIOVEDI SANTO 2020

 SUORE GIUSEPPINE, ORISTANO

L’evangelista Giovanni ci ha abituato ad un vangelo ricco di simboli, di chiaroscuri, di immagini che sembrano a prima vista immediate ma hanno bisogno di essere meditate, pregate, lette e rilette attentamente perché possano far scaturire la loro luce e il messaggio profondo per noi.

Proprio nel giorno in cui la Chiesa ricorda con affetto e venerazione l’istituzione dell’Eucaristia e del mandato sacerdotale ai discepoli, il testo che viene proposto nella Liturgia, secondo il vangelo di Giovanni, non parla dell’Eucaristia.

Ma noi sappiamo che è proprio l’evangelista Giovanni a darci il discorso di Gesù sul “pane di vita”. “Io sono il pane di vita disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno… e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. (GV 6, 51) In quel discorso, Gesù è estremamente esplicito nel parlare di sé stesso (della sua carne e sangue, per dire tutta la persona) come Pane di vita.

Allora ci dobbiamo domandare: perché Giovanni non mette nell’ultima cena il racconto dell’Istituzione dell’ Eucaristia che pure troviamo nei vangeli sinottici e che san Paolo ci riporta come tradizione consolidata?

Siamo invitati a guardare nel gesto di Gesù della lavanda dei piedi, oltre la sua superficie di gesto di umiltà, che pure è presente, un modo drammatico di annunciare quello che nell’Eucaristia è significato e detto: Sono io che mi dono a voi per sempre!

Cerchiamo di calarci nella scena che ci riporta il vangelo: si tratta di un momento solenne della vita di Gesù e dei suoi discepoli. Una cena pasquale che precede la sua passione, morte e Resurrezione. Dunque Gesù trascorre la cena in un contesto di intimità amicale, con i suoi, i discepoli che sono anche suoi amici.

Cosa ci dice Giovanni: che Gesù sapeva che era giunta la sua ora. Questa espressione significa che Gesù sa che sta per affrontare il momento decisivo della sua vita: la prova di obbedienza al Padre.

Ricordate come all’inizio del vangelo (nei sinottici) quando il diavolo ha tentato invano Gesù, si dice “che si allontanò “per ritornare al momento dell’ora. L’ora significa il momento decisivo per la vita di Gesù. È questo: di passare al Padre. Di fare “pasqua” che vuole dire passaggio. Gesù sa che è un passaggio doloroso, difficile, fatto di tradimenti, di abbandono degli amici.

Sta di fatto che quando Gesù capisce che Giuda è cambiato nel cuore, quando lo vede uscire nella notte… la notte, inizia per lui il cammino verso il calvario.

Allora fa un gesto impensabile per un maestro: lavare i piedi ai discepoli. Sappiamo che questo servizio era riservato ai servi. A volte i discepoli zelanti lo facevano per rispetto al proprio maestro, oppure il padrone di casa, ma come gesto eccezionale.

Ecco allora il simbolismo di San Giovanni: Gesù il figlio di Dio, Dio Egli stesso cosa fa “si alzò da tavola, depose le vesti”.  Leggiamo questo gesto alla luce di quanto scriverà san Paolo nell’Inno ai Filippesi:” Egli, pur essendo di natura divina… umiliò se stesso, spogliò sé stesso, assumendo la forma di servo”…

C’è un profondo rimando all’Incarnazione, alla spogliazione di Gesù figlio di Dio. Gesù servo che manifesta in profondità la sua natura di servo del Signore. E se ci pensiamo bene, l’Eucaristia è anch’essa l’abbassamento di Gesù, la sua umiltà.

Lo diceva san Francesco d’Assisi parlando della Eucaristia: Il Signore, ogni giorno si umilia per noi, quando dal Trono regale, scende per le mani del sacerdote in un piccolo pezzo di pane”.

Gesù che si mette il grembiule, che lascia le sue vesti di Signore. Come non vedere in questo gesto di Gesù un invito per tutta la Chiesa, per ciascuno di noi, iniziando dal vescovo, ai sacerdoti ai religiosi a tutti i cristiani: quello di mettersi a servire l’umanità.

Diceva mons. Tonino Bello “La Chiesa del grembiule”. Papa Francesco ci invita ad essere questo tipo di Chiesa e spogliarci di tanta mondanità spirituale e metterci al servizio dei piccoli e poveri. Gesù dunque traduce la sua umiltà, il dono di sé in questo gesto della lavanda dei piedi. Lo fa concretamente ai discepoli, agli apostoli, a coloro che sono inviati, perché essi a loro volta lo insegnino, lo facciano con gli altri cristiani. Si tratta del “contagio” del Cristo servo.

L’apostolo Pietro rappresenta tutta la comunità apostolica e in fondo ciascuno di noi. Egli non capisce questo gesto del Maestro.  Così come non è stata accettata facilmente l’Eucaristia: questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?

Pietro dice: non sia mai!! Non gli piace che il Signore sia umile, che si doni, che accolga il cammino della croce. Già un’altra volta Pietro aveva cercato di spingere il maestro su altra strada: quando Gesù parlava della sua passione e morte: non sia mai Signore, questo non ti può accadere! Gesù lo aveva rimproverato quella volta aspramente: Vai dietro a me Satana… Questa volta Gesù non rimprovera Pietro, ma cerca di fargli capire il suo gesto: se non entri in questa logica del servizio, non puoi seguirmi; se non ti laverò, non avrai parte con me…

Dunque, il Maestro sta facendo capire ai discepoli tutto quello che succederà dopo: il dono di sé stesso, l’abbassamento volontario, l’amore verso l’umanità sporca e impolverata e ferita nel suo camminare nella storia e anche il programma di cammino per i discepoli.

Quello che ho fatto io dovete fare anche voi: lavatevi i piedi gli uni gli altri. Cosa significa? Innanzi tutto prendere consapevolezza che siamo impolverati, che abbiamo bisogno del Signore che ci curi, che ci rimetta in cammino. Poi il gesto di Gesù ci dice che è Lui che per primo che ci ama, senza aspettare il nostro amore. Non siamo noi che ci chiniamo, ma lui che si veste il grembiule e viene a noi. La grazia di Dio ci sorprende e sorpassa.

Una volta riconosciuto il nostro limite e bisogno, accogliendo l’amore di Dio che ci libera e salva, possiamo a nostra volta farlo con i fratelli: accoglierli nelle loro ferite, aiutarli a camminare, sanarli, incoraggiarli, aiutarli ad affrontare i momenti difficili.

Dove incontriamo e troviamo la forza? Proprio nella presenza di Gesù nella Eucaristia. Lui ha detto: io sono con voi sino alla fine del mondo, e il suo dono di presenza è l’Eucaristia. Da essa – che noi riceviamo e dobbiamo ricevere con consapevolezza, attenzione, preparazione – traiamo la forza per andare avanti, per metterci il grembiule e servire la chiesa e i fratelli. Così sia, Amen.

+Roberto Carboni, arcivescovo