Omelia per il conferimento dei ministeri ai seminaristi del Pontificio Seminario Regionale Sardo

Cagliari, 24 novembre 2018
24-11-2018

Eccellenze reverendissime, cari confratelli nel sacerdozio, cari fratelli e sorelle in Cristo,

la memoria liturgica di oggi venera i santi martiri vietnamiti Andrea Dung-Lac e compagni. Il martirologio romano scrive che “Con un’unica celebrazione si onorano centodiciassette martiri di varie regioni del Viet Nam, tra i quali otto vescovi, moltissimi sacerdoti e un gran numero di fedeli laici di entrambi i sessi e di ogni condizione ed età, che preferirono tutti patire l’esilio, il carcere, le torture e l’estremo supplizio piuttosto che recare oltraggio alla croce e rinnegare la fede cristiana”. La pagina del Vangelo che accompagna questa memoria presenta Gesù che entra nel confronto tra la posizione dei sadducei, che, non credendo alla risurrezione, vedevano nel benessere terreno la benedizione di Dio e la realizzazione messianica, e dei farisei che, credendo nella risurrezione, proiettavano nell’eternità la ricompensa dell’osservanza della Legge.Ai sadducei che negano la risurrezione, Gesù dice: “Non siete voi forse in errore dal momento che non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio”(Mc12,24), che “non è un Dio dei morti, ma dei viventi?” (Mc12,27). Con la risposta all’irridente provocazione dei Sadducei, Gesù definisce la natura dell’esistenza nella vita eterna e motiva la nostra speranza nella risurrezione.

Le letture scelte per il rito dell’ammissione ai ministeri del lettorato e dell’accolitato fanno memoria dei primi cristiani, che vivevano in piena armonia con Dio e con il prossimo, e dei discepoli di Emmaus, che i Padri Sinodali hanno adottato come filo conduttore del loro documento finale. Vorrei, allora, riflettere con voi sul racconto evangelico del cammino dei discepoli di Emmaus e presentarvi qualche indicazione di carattere spirituale. Questo cammino è simbolo delle speranze fallite e dei sogni infranti ma anche della conversione e del cambiamento. In una prima fase vediamo il cammino dei discepoli che tornavano a casa, pieni di delusione e di sconforto, incapaci di percepire la presenza di Gesù che camminava con loro. In qualche modo la loro reazione evoca quella di chi è deluso per piani pastorali falliti, per le attese tradite, per i progetti incompiuti. Evoca anche l’incapacità di leggere i segni dei tempi, perché i discepoli non riconoscono la presenza di Gesù, non prendono sul serio la testimonianza delle donne; sposano, invece, il pessimismo degli increduli. Non riescono più a sperare dopo la morte di Gesù in croce  e saranno imitati, in tempi recenti, da coloro che, dopo la tragedia dell’Olocausto, hanno scritto che non ci sarebbe stata più speranza né poesia e non si sarebbe più potuto parlare di Dio.

In una seconda fase, però, una volta giunti a casa e aver invitato Gesù a restare con loro per la cena, averlo riconosciuto nello spezzare il pane, i discepoli decidono di ritornare a Gerusalemme senza indugio, per raccontare ai fratelli l’incontro con Gesù Risorto. Il riconoscimento di Gesù avviene nello spezzare il pane e nel rendimento di grazie dell’ospite sconosciuto, ossia attraverso i chiari gesti eucaristici. È certamente molto significativo che i discepoli non abbiano riconosciuto Gesù quando egli spiegava loro il senso della Scrittura con tanta autorevolezza. Essi lo hanno riconosciuto, invece, nella ripetizione dei gesti eucaristici dell’ultima cena, che sono gli stessi compiuti nel miracolo della “moltiplicazione” dei cinque pani e due pesci, e che si riassumono nel prendere il pane, nel benedirlo, nel distribuirlo. Questo fatto ci insegna, tra le altre cose, che le spiegazioni e i ragionamenti anche più dotti ed eruditi sui misteri della fede spesso non sono sufficienti per convincere una persona della bontà della proposta cristiana. È necessario, perciò, passare dalla spiegazione al racconto, dalla dottrina alla testimonianza, dalla teoria alla pratica. Infatti, per riprendere le note parole di Paolo VI, il mondo di oggi ha bisogno più di testimoni che di maestri. Il migliore annuncio, quindi, è la testimonianza di una esperienza, di un incontro capace di cambiare una vita.

Il cammino di Emmaus nella seconda fase di ritorno a Gerusalemme dimostra indirettamente che annunciare Gesù risorto in modo efficace presuppone prima un suo incontro, una sua esperienza. Così è stato per le donne di ritorno dal sepolcro vuoto, per i discepoli che hanno mangiato e conversato con Lui, per l’apostolo Tommaso, che ha creduto solo dopo aver toccato le piaghe di Gesù risorto. È vero che noi non possiamo fare una esperienza corporale del Cristo risorto. Questa l’hanno potuta fare, duemila anni fa, i contemporanei di Gesù, i testimoni dei suoi miracoli e gli ascoltatori del suo insegnamento, impartito con allegorie, parabole, beatitudini. Noi facciamo parte della generazione di coloro che sono stati dichiarati beati, perché hanno creduto senza aver visto. Però noi possiamo fare esperienza del corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa. Questa fa incontrare il Cristo risorto nel suo ministero della grazia sacramentale, nella celebrazione dell’Eucaristia, nella pratica della carità. Se una comunità ecclesiale, quale è la parrocchia, non porta ad incontrare il Cristo, si riduce ad un’agenzia umanitaria o ad una associazione di volontariato spirituale. La missione primaria della Chiesa è rendere presente Gesù, farne incontrare la sua Persona. Le attività culturali, sociali, umanitarie sono tutte subordinate e legate all’efficacia dell’incontro con il Cristo risorto.

Infine l’annotazione del racconto evangelico secondo cui  i discepoli “partirono senza indugio” per tornare dai propri fratelli, mette in evidenza anche un altro aspetto molto importante di questo cammino. I discepoli, cioè, prima raccontano la loro esperienza ai propri fratelli e dopo la raccontano anche agli “altri”. Questo semplice fatto fa vedere bene come l’evangelizzazione ad extrapresupponga l’evangelizzazione ad intra. Solo gli evangelizzati possono portare un annuncio credibile e efficace del Vangelo. Solo i perdonati possono parlare del perdono con onestà personale e motivazione di fede. Solo una comunità ecclesiale riconciliata e unita può parlare di riconciliazione e di unità all’esterno. Se un sacerdote non perdona le offese ricevute e gli eventuali torti subiti non può predicare la riconciliazione. Qualora lo faccia, recita una parte ma non annuncia la Parola di Dio. L’annuncio della Parola, sia ai credenti che ai non credenti e ai cosiddetti lontani, va fatto più con testimonianze concrete di esemplarità evangelica che con vuoti ragionamenti di circostanza.

Cari accoliti e lettori,

siate grati al Signore per il ministero di spezzare il pane della Parola e portare il Pane della vita a chi cerca Dio con cuore sincero. Ricordatevi di essere evangelizzati per poter evangelizzare, nutriti del Pane della vita per nutrire il popolo in cammino, in pace con Dio per donare pace agli uomini di buona volontà. Amen.