Omelia per il Convegno Catechistico Diocesano

Oristano, Parrocchia San Giuseppe Lavoratore
07-10-2018

Cari fratelli e sorelle,

abbiamo sentito come l’evangelista San Marco racconti che un giorno alcune persone condussero da Gesù dei bambini affinché li benedicesse e i discepoli tentarono di allontanarli. Gesù s’indignò e impose loro di lasciare che i bambini si accostassero a lui. Poi aggiunse: “Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso” (Mc 10,13-16). Poco prima, proprio a questi stessi discepoli aveva detto: “A voi è stato confidato il mistero del Regno di Dio” (Mc 4,11). Ora li avverte che essi, respingendo i bambini, in realtà, si stanno chiudendo la porta d’ingresso al Regno di Dio per il quale hanno lasciato tutto!

Ma che cosa significa “accogliere il Regno di Dio come un bambino”? Una lettera dalla Comunità di Taizé di qualche decennio fa ha scritto che in generale il detto di Gesù si comprende in questo modo: “accogliere il Regno di Dio come lo accoglie un bambino”. E, in effetti, questo risponde ad un altro detto di Gesù riportato dall’evangelista San Matteo: “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei cieli” (Mt 18,3). L’esperienza umana ci dice che un bambino si fida ciecamente, senza riflettere. Per lui non esiste che suo padre o sua madre non possano rispondere ad una domanda. E’ chiaro che la sua fiducia non è atto di virtù, ma, semplicemente, una realtà naturale. Questa realtà naturale ci insegna che, per incontrare Dio, il mezzo più diretto e immediato è avere un cuore di bambino che osa domandare, e chiede di essere amato.

Però, si può comprendere il detto di Gesù anche in quest’altro modo: “accogliere il Regno di Dio come si accoglie un bambino”. Infatti, il verbo greco che viene utilizzato ha il senso concreto di “accogliere qualcuno”, come si può constatare da qualche versetto prima in cui Gesù parla di “accogliere un bambino” (Mc 9,37). In questo caso, Gesù paragona all’accoglienza di un bambino l’accoglienza della presenza di Dio. C’è una forte corrispondenza tra la disposizione per entrare nel Regno di Dio e il comportamento umile e fiducioso di un bambino.

Accogliere un bambino vuol dire accogliere una promessa. Papa Francesco, nel suo discorso al Sinodo dei giovani, ha citato una poesia di Hölderlin che dice: “l’uomo mantenga quello che da bambino ha promesso”. In realtà, un bambino cresce e si sviluppa. E così avviene con il Regno di Dio. Anche esso è una promessa, una dinamica, una crescita . Poi i bambini sono imprevedibili. Nel racconto del Vangelo, essi arrivano senza preavviso, e, a quanto sembra, per i discepoli non è un buon momento. Tuttavia Gesù insiste che, poiché si sono avvicinati, bisogna accoglierli. Lo stesso avviene con la presenza di Dio. La dobbiamo accogliere quando si manifesta, sia un momento favorevole o sia un momento difficile. Accogliere il Regno di Dio come si accoglie un bambino significa vegliare e pregare per accoglierlo quando viene, sempre all’improvviso, a tempo e fuori tempo.

Chiarita questa realtà, ci possiamo chiedere anche: perché Gesù ha mostrato un’attenzione particolare ai bambini? “Gesù mostra un’attenzione particolare ai bambini perché vuole che i suoi abbiano un’attenzione prioritaria per quanti mancano del necessario. Costoro sono i suoi rappresentanti sulla terra. Quel che si farà a loro,  lo si farà a Lui, il Cristo (Mt 25,40). I “più piccoli dei suoi fratelli”, quelli che contano poco e che si trattano con superiorità e sufficienza perché non hanno potere né prestigio, sono la via, il passaggio obbligato, per vivere in comunione con Lui”.

Cari catechiste e catechisti,

il Vangelo ci dà un orientamento preciso di come dobbiamo stabilire il nostro rapporto con Dio e con Gesù. Questo deve essere, anzitutto, un rapporto personale di fiducia e non una semplice condivisione d’una dottrina o di un insegnamento. In secondo luogo, esso deve essere un rapporto mediato dalla testimonianza credibile della carità verso i poveri e gli umili. In un recente videomessaggio per il Congresso Internazionale sulla Catechesi, Papa Francesco ha sottolineato che il catechista non deve “fare” il catechista ma deve “essere” catechista, ossia, il catechista non deve fare un mestiere ma testimoniare la propria vocazione cristiana con la vita. Di conseguenza, ha precisato il Papa, il catechista non deve assumere il ruolo di un insegnante che fa la sua lezione di dottrina cristiana, ma deve comunicare e testimoniare un’esperienza di vita. “Essere un catechista, aveva ribadito in un’altra occasione, “non è un lavoro o un’attività esterna alla persona ma una “missione”, “una vocazione di servizio nella Chiesa”.

I Vescovi italiani negli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia hanno precisato che cosa vuol dire “essere catechista” e non “fare il catechista”. Hanno scritto che il catechista è un credente che si colloca dentro il progetto amorevole di Dio e si rende disponibile a seguirlo; come testimone di fede.

Il catechista:

  • vive la risposta alla chiamata dentro una comunità, con la quale è unito in modo vitale, che lo convoca e lo invia ad annunciare l’amore di Dio;
  •  è capace di un’identità relazionale, in grado di realizzare sinergie con gli altri agenti dell’educazione;
  •  svolge il compito specifico di promuovere itinerari organici e progressivi per favorire la maturazione globale della fede in un determinato gruppo di interlocutori;
  • con una certa competenza pastorale, elabora, verifica e confronta costantemente la sua azione educativa nel gruppo dei catechisti e con i presbiteri della comunità;
  •  armonizza i linguaggi della fede – narrativo, biblico, teologico, simbolico-liturgico, simbolico-esperienziale, estetico, argomentativo – per impostare un’azione catechistica che tenga conto del soggetto nella integralità della sua capacità di apprendimento e di comunicazione;
  •  si pone in ascolto degli stimoli e delle provocazioni che provengono dall’ambiente culturale in cui si trova a vivere.

Cari catechiste e catechisti, siate fieri di essere i nostri collaboratori primari nell’annuncio del Vangelo. La comunità diocesana ha bisogno di voi ed è orgogliosa del vostro ministero. Vi ringrazio per la vostra opera generosa e intelligente, e vi assicuro preghiera, condivisione, amicizia. Amen.