Omelia per il solenne Pontificale di Natale

Cattedrale di Oristano
25-12-2018

Cari fratelli e sorelle,
nella celebrazione della festa del Natale di Gesù, uno dei gesti principali è sicuramente il dono. Riceviamo e ricambiamo tanti doni, da bambini e da adulti, da singoli e da istituzioni, da gente ricca e gente povera. Il rischio è che i doni secondari, fatti col cuore o per dovere sociale e istituzionale, ci facciano dimenticare il vero festeggiato e il vero dono, cioè Gesù. Dobbiamo, perciò, prestare attenzione affinché Natale non sia uno spreco di sentimenti, ma un occasione di riflessione e di riscoperta della dignità di ogni uomo e ogni donna. In realtà, il Signore non è con noi solo un giorno all’anno, il 25 dicembre. Egli garantisce e assicura la sua presenza “tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Il Natale, infatti, non è propriamente una data di compleanno, perché storicamente è stata scelta per sostituire la festa romana del Dio sole invitto, che si celebrava il 25 dicembre. Per noi cristiani, il Natale è uno stile di vita per tutte le stagioni, quelle della gioia come quelle del lutto, quelle del successo come quelle della sconfitta. D’altra parte, una coppia che si vuol veramente bene, non si scambia l’affetto solo il giorno del compleanno, ma tutti i giorni dell’anno. Se, perciò, celebriamo la festa del Natale, non possiamo vivere ed operare come se Dio non esistesse e come se Gesù non fosse mai venuto. Il nostro agire deve testimoniare che Dio esiste e che Gesù è venuto. Questo esige la nostra fede. Questo deve dimostrare la nostra vita.
La liturgia della Parola che anima la nostra celebrazione ci aiuta a vivere nel modo giusto il Natale di Gesù. Il profeta Isaia chiama “belli i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, del messaggero di bene che annunzia la salvezza (Is 52, 7); assicura che con la nascita del Messia “tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio” (Is 52, 10). Certo, se ci guardiamo attorno dobbiamo ammettere che non tutti, in verità, sperimentano la salvezza di Dio. I cristiani battezzati sono appena il 17 per cento della popolazione mondiale; essi, in numero assoluto, sono poco più di un miliardo; i musulmani hanno superato ormai il numero dei cattolici. Sembra, quindi, che la promessa del profeta non sia stata mantenuta. Per esempio, il Natale di Gesù Cristo non si celebra in tutte le parti del mondo. In alcune scuole si moltiplicano i calendari interculturali che affiancano al Natale, cioè alla data che ha diviso la storia in prima di Cristo e dopo Cristo, le feste che cadono nello stesso giorno o nella stessa stagione. In molti paesi, come gli Stati Uniti d’America, si vorrebbe cancellare la stessa parola di “natale” e la si vorrebbe sostituire con quella di “buone feste” o “buona festa della luce d’inverno.” Per non andare molto lontano, una parte della nostra gente, in questo giorno, compra e consuma panettoni, simbolo della festa natalizia, ma non partecipa alla celebrazione dell’Eucaristia, simbolo della presenza reale di Gesù, nato per la nostra salvezza. E’ vero che la promessa di Dio esprime una speranza e una tensione verso il compimento futuro; che aspettiamo cieli nuovi e terra nuova alla fine dei tempi; che le vie per giungere a Dio sono sconosciute. Ma se prendiamo sul serio la Parola di Dio e la riteniamo valida anche per il discernimento del nostro tempo, non possiamo non porci domande su questa situazione. Esse interpellano la nostra responsabilità di uomini e donne che hanno ricevuto il dono della fede cristiana senza alcun merito e che la devono condividere e professare senza alcuno sconto.
L’evangelista Giovanni chiama Gesù il Logos, la Parola, e la Lettera agli Ebrei ribadisce che Dio ha parlato a noi per mezzo di questa Parola. Ma questa Parola ha bisogno di essere pronunciata ancora. Gesù deve essere annunciato ancora. S. Agostino scrive, a proposito del Precursore, che si definì come una voce che grida nel deserto: “Giovanni Battista era la voce, Gesù è la Parola. Mentre la voce colpisce l’udito, la Parola penetra nel cuore”. Ebbene, oggi noi siamo invitati ad essere la voce di Gesù che penetra nel cuore. Ciò comporta che dobbiamo evitare di dare voce a parole senza significato, a un vocabolario di vuoti luoghi comuni, a promesse consolatorie ed ingannatrici. Ricordiamoci che è la Parola Gesù che ci salva, il Verbo di Dio fatto carne che dà il senso alle cose. Gesù, con le sue azioni e il suo insegnamento, dà significato alla vita e alla morte, alla gioia e alla sofferenza, al presente e al futuro. “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto” (Gv 1, 16).
Il Natale “è sempre nuovo, perché ci invita a rinascere nella fede, ad aprirci alla speranza, a riaccendere la carità”, ha detto il Papa nel suo discorso ad artisti e organizzatori ricevuti nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico. “Quest’anno, in particolare, ci chiama a riflettere sulla situazione di tanti uomini, donne e bambini del nostro tempo – migranti, profughi e rifugiati – in marcia per fuggire dalle guerre, dalle miserie causate da ingiustizie sociali e dai cambiamenti climatici. Per lasciare tutto – casa, parenti, patria – e affrontare l’ignoto, bisogna avere patito una situazione molto pesante!”. Anche Gesù, ha sottolineato il Papa, “proveniva “da un altro luogo” e quando l’ira violenta di Erode si abbatté sul territorio di Betlemme, la Santa Famiglia di Nazareth visse l’angoscia della persecuzione e, guidata da Dio, si rifugiò in Egitto. Il piccolo Gesù – ha detto il Papa – ci ricorda così che la metà dei profughi di oggi, nel mondo, sono bambini, incolpevoli vittime delle ingiustizie umane”.
A “questi drammi”, ha detto ancora Papa Francesco, “la Chiesa risponde con tante iniziative di solidarietà e assistenza, di ospitalità e accoglienza. C’è sempre molto da fare, ci sono tante sofferenze da lenire e problemi da risolvere”. In effetti, la Chiesa non è mai rimasta a fare la dirimpettaia di fronte alle povertà e alle miserie della gente. Si è sempre presa cura dei poveri e dei bisognosi. Per grazia di Dio, accanto alle controtestimonianze di tanti ecclesiastici che si sono macchiati del crimine orrendo della pedofilia, o di altri ecclesiastici che si sono arricchiti con i soldi dei poveri, abbiamo anche fulgidi esempi di altri ecclesiastici che hanno speso la loro vita nel servizio agli umili, agli emarginati, ai senza tetto, ai profughi. La nostra Chiesa Diocesana ha dimostrato sempre una grande sensibilità e generosità nelle diverse situazioni di bisogno della gente. In particolare, la Caritas Diocesana, i parroci, le diverse associazioni caritative non risparmiano energie e tempo nell’alleviare, per quanto è possibile, le sofferenze della povera gente.
Cari fratelli e sorelle,
sono molto grato per l’aiuto che le nostre strutture caritative offrono a tante famiglie, vittime di vecchie e nuove povertà. Faccio appello perché si vincano le tentazioni dell’indifferenza e dell’individualismo. Non ci salviamo da soli. O ci salviamo insieme o non ci salviamo affatto. Non aspettiamo Dio sul divano di casa. Usciamo fuori e portiamo lo “spirito del Natale” nelle famiglie, nelle scuole, nelle istituzioni anche domani e dopodomani.
Buon Natale.