Omelia per la Messa al Convegno Nazionale dell’ATISM

Alghero-Montagnese, 5 luglio 2017
05-07-2017

Cari fratelli e sorelle,

Il calendario dei santi fa memoria oggi di S. Antonio Maria Zaccaria. Questi visse la sua gioventù al tempo della Riforma di Lutero e avvertì molto chiaramente il bisogno di aiutare la Chiesa a riformare le sue strutture, ma soprattutto a riformarsi interiormente. La necessità di riforma della Chiesa, ovviamente, non è vincolata a nessuna stagione storica particolare, ma è un dovere costante della gerarchia e di tutti i fedeli. La biografia del fondatore dei Barnabiti ci riferisce, inoltre, che egli si dedicò alla formazione di gruppi di laici per rimediare alla carenza di sacerdoti. Anche questa esigenza di coinvolgimento dei laici nella vita della Chiesa non è una contingenza storica del passato ma una sfida alla nostra postcristianità occidentale, per cogliere il momento propizio della cosiddetta “ora dei laici” e renderli corresponsabili della vita della Chiesa, sia a livello di Chiesa locale che di Chiesa universale. Il modo più adatto di vivere la comunione e la corresponsabilità è senz’altro la sinodalità. Il Concilio, infatti, ha unito l’immagine della sinodalità a quella del popolo di Dio: la Chiesa è un popolo che cammina insieme nella storia, per essere segno del regno di Dio offerto a tutta l’umanità.

La radice ultima della sinodalità è il sacramento del battesimo, che consacra il cristiano e lo fa membro del popolo di Dio. Ogni battezzato fa parte di diritto di questo popolo. Il fatto che la parola sinodo sia abbinata per lo più ad adunanze di membri della gerarchia ecclesiale (Sinodo dei vescovi) può ingenerare l’idea che i “semplici” battezzati non siano abilitati ad un lavoro sinodale. E invece ogni assemblea liturgica è un sinodo, ogni riunione di Consiglio Pastorale, ogni preghiera comunitaria, ogni assemblea di catechisti e operatori pastorali, ogni momento di confronto e di dialogo sono un sinodo.

La memoria liturgica dei santi ci ricorda la necessità di proporre ai fedeli laici itinerari concreti di santità possibile. “In realtà, scrive Giovanni Paolo II nella “Novo millennio ineunte”, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale. Chiedere a un catecumeno: «Vuoi ricevere il Battesimo?» significa al tempo stesso chiedergli: «Vuoi diventare santo?». Significa porre sulla sua strada il radicalismo del discorso della Montagna: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).

Come il Concilio stesso ha spiegato, continua Giovanni Paolo II, questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni «geni» della santità. Le vie della santità sono molteplici, e adatte alla vocazione di ciascuno. È ora di riproporre a tutti con convinzione questa «misura alta» della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione. È però anche evidente che i percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone. Essa dovrà integrare le ricchezze della proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa” (n. 31). In definitiva, l’ideale della santità non è riservato alle fondatrici e ai fondatori delle Congregazioni religiose ma a tutti i battezzati che non si accontentato del sei politico di fedeltà evangelica ma rispondono con generosità umana alla generosità divina. In realtà, ci sono più santi senza altare che santi da altare.

La pagina del Vangelo che abbiamo proclamato riferisce l’intervento di Gesù per liberare due indemoniati e ridare loro la dignità, a scapito però dei poveri mandriani che vedono scomparire i loro beni. Allora non c’erano assicurazioni contro i miracoli, né avvocati che vivono a spese della litigiosità umana. Quello che compare, in pratica, in questo episodio, è la lotta della potenza del male, rappresentata dai due indemoniati, e la potenza del bene, rappresentata dall’intervento di Gesù. Gesù libera le persone dal male, sia fisico che morale, ma non dà mai spiegazioni del male, anzi, contesta le spiegazioni che del male si davano al suo tempo ed esorta alla conversione e alla fiducia nella potenza di Dio. Non si può, perciò, banalizzare l’esistenza del male, facendone risalire le cause ad improbabili e assurde punizioni divine, né promuovere una morale antievangelica di norme e divieti, che crea rimorsi nel cuore della gente, già afflitta dalla malattia e dalla sofferenza. Il male rimane inspiegabile. Se fosse spiegabile non sarebbe più male. L’esistenza di Dio non risolve ma complica il problema del male. Se, infatti, uno non crede in Dio, non avrebbe motivo alcuno di imputargli alcunché. Gli rimane solo la lotta contro la rassegnazione, il fatalismo, il cieco destino. Se uno crede in Dio, invece, gli rimane il coraggio della fiducia nonostante gli interrogativi aperti.

Nel racconto evangelico odierno, Gesù giunge all’altra riva dopo aver sedato la tempesta del lago (Mt 8, 27) ed entra nel paese dei Gadareni, dove forse nessuno si era ancora avventurato. Questo ci insegna che chi vuole seguire Gesù deve spesso percorrere anche strade insicure e fare scelte impopolari. D’altra parte, i cristiani, secondo Papa Francesco, amano, ma non sempre sono amati.” “In una misura più o meno forte, la confessione della fede avviene in un clima di ostilità. I cristiani sono uomini e donne “controcorrente”. È normale: poiché il mondo è segnato dal peccato, che si manifesta in varie forme di egoismo e di ingiustizia, chi segue Cristo cammina in direzione contraria. Non per spirito polemico, ma per fedeltà alla logica del Regno di Dio, che è una logica di speranza, e si traduce nello stile di vita basato sulle indicazioni di Gesù”.

Resta la domanda su come adempiere, allora, la missione dell’annuncio del Vangelo. Papa Francesco ha detto che “quando Gesù invia i suoi in missione, sembra che metta più cura nello “spogliarli” che nel “vestirli”! Ciò significa che chi ha la missione di annunciare il Vangelo non dispone di bisacce, borse, sandali, oro o argento. E’ solo rivestito di Cristo, che ha incontrato personalmente e gli ha cambiato la vita. Raccontare l’esperienza dell’incontro personale con Gesù vale più di ogni predica e conferenza. Vi auguro che nel vostro ministero di accompagnamento e discernimento spirituale possiate raccontare la bellezza e la gioia di questa esperienza.

Amen.