Omelia per la Messa del 12° anniversario di Ordinazione Episcopale

Cattedrale di Oristano, 25 giugno 2018
25-06-2018

Cari fratelli e sorelle,

la parola di Dio che è stata proclamata ci chiede di evitare due comportamenti: il peccato di idolatria e quello dei giudizi ipocriti. Per quanto riguarda il primo comportamento, va ricordato che l’idolatria era la più grave offesa a Dio da parte del popolo di Israele. Dio lo aveva liberato dalla schiavitù in Egitto, lo aveva accompagnato lungo il cammino verso la Terra Promessa, lo aveva protetto da pericoli di ogni genere. Era un Dio vicino, un Dio alleato (cfr. Dt 4, 7-8). Nessun altro popolo dell’antichità aveva un Dio così vicino. Per cui, l’affidamento a divinità straniere era un peccato gravissimo. Tanto più grande e numerosi erano i segni di attenzione e di premura da parte di Dio e tanto più grande era il peccato di ingratitudine e di rottura del rapporto di amicizia da parte del popolo.

Ora, anche nella nostra vita di cristiani si possono verificare casi di idolatria. Non parlo del rifiuto pubblico di Dio e della Chiesa per seguire altre divinità. Questa forma di idolatria, per nostra fortuna, non è molto diffusa tra la nostra gente. Ci sono, però, i piccoli peccati di idolatria, quelli sotto traccia, che possiamo commettere senza neppure rendercene conto. Poco alla volta, quasi inconsapevolmente, si colloca Dio ai margini della propria vita: si lascia la frequenza a celebrazioni religiose, si trascura la preghiera personale, si accettano compromessi morali. Ma quando Dio muore nascono gli idoli. Si passa dal Deus ex machina alla machina ut Deus. Si divinizza la tecnica, il consumo, le forze della natura, il profitto. Si moltiplica il ricorso agli oroscopi, nella vana ricerca di sicurezza e di controllo della vita presente e degli eventi futuri.

Ma gli idoli non possono prendere il posto di Dio! Secondo i sociologi si sarebbe passati progressivamente da una società “con Dio” ad una società “contro Dio”, ad una società “senza Dio”. Il nuovo capo di governo spagnolo, il leader socialista Pedro Sanchez, per la prima volta nella storia della democrazia spagnola, non ha prestato giuramento davanti alla Bibbia e al Crocefisso. La novità è stata subito interpretata da qualcuno come se, ormai, la vita politica e sociale si voglia o si debba emancipare da un legame religioso. Ma non è facile vivere senza Dio, perché si sente la necessità del sacro anche nell’età del disincanto. In realtà, noi potremmo anche vivere senza Dio, ma Dio non è mai senza di noi. Secondo S. Agostino, Dio è più intimo di quanto non lo siamo noi a noi stessi. Purtroppo, si da il nome di Dio a tanti miti, a tanti idoli. Su un muro della metropolitana di New York, qualcuno ha scritto: “Dio è la riposta”. Dall’altra parte del muro, un altro ha replicato: “qual è la domanda”? Evidentemente, è troppo semplicistico affermare che Dio è la risposta a tutto. Bisogna vedere che cosa si chiede a Dio e perché lo si chiede a Lui e non ad altri. In altri termini, bisogna educare la domanda e purificare il concetto di Dio, prima di decretarne la sua assenza o la sua morte.

Per quanto riguarda il secondo comportamento, sappiamo che i giudizi ipocriti, le calunnie, le maldicenze sono molto diffusi. Troppo spesso, infatti, giudichiamo gli altri senza prima giudicare noi stessi e le nostre azioni. E’ chiaro che non si può non giudicare. Il giudizio è la facoltà umana fondamentale. La capacità di giudizio è la cartina di tornasole del grado di maturità umana che si possiede. Però fa differenza se giudichiamo con gli occhi di Dio o con i nostri occhi. Se, infatti, guardiamo la realtà nostra e degli altri con gli occhi di Dio, che è più grande del cuore dell’uomo (cfr. 1Gv 3, 20.21) e ha pensieri diversi dai nostri pensieri (Is 55, 8), cambia tutto! Con Dio o senza Dio cambia tutto! Per giudicare correttamente il nostro prossimo, bisogna superare sia “la sindrome del fratello maggiore” della parabola del Figliol prodigo (cfr. Lc 15, 11-32), ossia di colui che si ritiene perfetto e rivendica promozioni e riconoscimenti, sia “la sindrome della prima fila” per ottenere la visibilità della televisione e la citazione del quotidiano locale. Per la verità, un pezzo di fariseo che si autopromuove c’è in tutti noi. Dobbiamo fare in modo d’avere anche un pezzo di pubblicano che tiene gli occhi bassi e chiede l’aiuto della grazia. L’uomo, infatti, non nasce perfetto, ma perfettibile, e non è grande colui che non cade mai, ma colui che ha il coraggio di rialzarsi dopo la caduta.

Sul versante interno, il tema delle calunnie e della chiacchiere dentro e fuori la Chiesa è ricorrente nella predicazione di Francesco, anche perché quando egli stava a Buenos Aires ha subìto in prima persona la costruzione di dossier per screditarlo agli occhi della Santa Sede. La procedura, osserva Francesco, è più o meno sempre la stessa. E’ cominciata dai tempi di Cristo, è stata adottata con le persecuzioni degli ebrei nel secolo scorso, e arriva fino ai giorni nostri con l’“adulterazione” della democrazia. Si parte dalla calunnia, e “dopo aver distrutto una persona o una situazione con una calunnia”, si giudica, si condanna e, molto spesso, si prepara il terreno all’instaurarsi di una dittatura. Una “comunicazione calunniosa” distrugge uomini, istituzioni e sistemi. Questa è stata la sorte di Gesù Cristo, del protomartire Santo Stefano, dei tanti testimoni di fede nel corso dei secoli.

Sul versante esterno, nel mondo dell’economia, una parola sbagliata brucia i capitali degli speculatori. Nel mondo delle relazioni umane, una parola sbagliata distrugge la vita d’una persona. Bisogna, allora, trovare le parole giuste, per lodare e incoraggiare il nostro prossimo. Per il filosofo Ferdinand Ebner, “la parola giusta è sempre quella che dice amore e che ha in sé il potere di abbattere le muraglie cinesi. Ogni sventura umana sulla terra dipende allora dal fatto che gli uomini non sono sempre in grado di pronunciare la parola giusta. Se ne fossero capaci, si risparmierebbero la disgrazia e la pena delle guerre. Non esiste sofferenza umana che non potrebbe essere evitata grazie alla parola giusta, e non esiste nelle varie disgrazie di questa vita alcuna consolazione autentica, se non quella che viene dalla parola giusta. La parola detta senza amore è già un abuso umano del dono divino della parola”.

Cari fratelli e sorelle,

per noi cristiani la parola giusta è il Vangelo. Come Pastore di questa Diocesi mi sono posto al suo servizio, dopo aver cessato d’insegnare teologia dalla cattedra universitaria per annunciare il Vangelo dalla cattedra episcopale. Spero di aver usato sempre parole di vita e di Vangelo, in questi dodici anni di fedeltà a Dio e all’uomo. Dal carcere di Tegel, il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer ha scritto: “Dio e la sua eternità devono essere amati da noi pienamente. Ma questo amore non deve nuocere a un amore terrestre, né affievolirlo”. Dopo la sua morte, nella sua cella hanno trovato la Bibbia e Goethe, ossia testi di sapienza evangelica e di sapienza umana, la passione per il cielo e la passione per la terra. Auguro a tutti voi di coltivare sempre queste passioni dell’anima per piegare il cielo sulle lacrime e le gioie della terra.

Amen.