Omelia per la Messa del XXV del Settore per il Catecumenato

Roma, Chiesa di S. Girolamo, 29 aprile 2018
29-04-2018

Cari fratelli e sorelle,

vorrei presentare tre brevi riflessioni suggerite dalla Parola di Dio di questa celebrazione eucaristica. La prima ci viene proposta dal racconto degli Atti degli Apostoli. Da questo racconto, sembra che San Paolo non godesse di molta buona fama ed abbia avuto bisogno, perciò, d’una specie di referenza, ossia di qualcuno che garantisse l’autenticità della sua persona e della sua predicazione. Barnaba, un levita cipriota, stimato dagli Apostoli, perché aveva donato loro il ricavato dalla vendita del suo campo, accreditò Paolo di fronte a loro, così che egli poté continuare la sua predicazione. Il ruolo di Barnaba nella vita di San Paolo, quindi, richiama in qualche modo quello dell’accompagnatore nel ministero dell’evangelizzazione e nella conduzione all’incontro con Dio.

E’ chiaro che le vie di Damasco per incontrare Dio, secondo il Concilio, sono tante e sono tutte conosciute da Lui. Dice il Concilio: “Cristo infatti è morto per tutti, e la vocazione ultima di ogni uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di essere associati, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale”(GS, 22). E’ chiaro anche che la prima via di evangelizzazione è la testimonianza personale dell’evangelizzatore. Romano Guardini ha scritto che si insegna prima per quello che si dice, poi per quello che si fa e, infine, per quello che si è. Ma è anche vero che spesso c’è bisogno di un accompagnatore per favorire l’incontro con Dio. La Scrittura, per esempio, dà molta importanza al ruolo dell’amico nella vita spirituale. Basta pensare che l’amicizia viene presentata come un dono divino. Dio premia il giusto dandogli un amico: “Un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova, trova un tesoro. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è peso per il suo valore. Un amico fedele è un balsamo di vita, lo troveranno quanti temono il Signore” (Sir 6, 14-16). Gesù, poco prima della sua passione e morte, si manifestò ai suoi non come un fratello ma come amico. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15, l3-16). Infine, è noto che S. Agostino, nella sua ricerca della verità, è giunto alla conversione attraverso l’amicizia di S. Ambrogio.

La seconda riflessione ce la suggerisce San Giovanni quando scrive: “Dio è più grande del cuore umano e conosce ogni cosa”. L’affermazione evangelica ci dice, indirettamente, che il rapporto tra Dio e l’uomo è asimmetrico, perché i pensieri di Dio non sono i pensieri dell’uomo. “Come i cieli sono più alti della terra, così le mie vie sono più alte delle vostre vie e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri” (Is 55, 9). L’uomo giudica. Dio perdona. Quanto più grande è il peccato dell’uomo tanto più grande è la misericordia di Dio. Per San Paolo, “laddove è abbondato il peccato è sovrabbondata la grazia” (Rm 5, 18). E guai se non fosse così. Non avremmo  motivo di sperare nella nostra salvezza. Può darsi che il nostro rapporto con Dio sia talvolta mercantile, tutto teso a presentargli il conto delle nostre buone opere per averne la dovuta ricompensa con il successo negli affari, il dono della salute, il conforto degli affetti. La risposta dei discepoli alla chiamata di Gesù, data senza spiegazioni ed assicurazioni, ossia senza la richiesta d’una contropartita, invece, è l’opposto del sistema dei rapporti che si hanno nella società mercantile, dove ogni azione e transazione è compiuta pensando ai relativi costi e ricavi.

Il nostro rapporto con Dio è fondato sulla gratitudine, perché veramente “tutto è grazia”, secondo  il detto di Teresa di Lisieux, divulgato da Bernanos ne Il diario di un curato di Campagna. S. Agostino, nelle Confessioni, attribuiva alla grazia di Dio anche tutto il male che non aveva commesso. Francesco ha introdotto nel lessico italiano la voce primeare, per indicare che Dio, nella vita della grazia, ci precede sempre. Nell’Amoris Laetitia, egli ha condannato gli scribi della morale familiare e riconosciuto il primato del discernimento nel giudizio delle vicende umane. “Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che “un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà”. (305) Dando, infine, la risposta al bambino della parrocchia romana di Corviale ha aggiunto che, per il cuore di Dio, è molto più meritorio far battezzare i figli, da ateo, che farli battezzare, da credente.

La terza riflessione ce l’offre l’allegoria della vite e dei tralci. Secondo me, il cuore di questa allegoria è l’invito di Gesù: “rimanete in me ed io in voi”. Indirettamente, è un invito alla fedeltà. L’amicizia con Gesù non può essere occasionale o a intermittenza. D’altra parte, senza la sua amicizia, in ordine alla salvezza, non si può fare nulla. Non solo si può far poco o farlo male. Non si può fare nulla. Perciò, nell’epoca in cui le relazioni si possono cancellare con un tasto del computer, siamo esortati a rimanere, a restare, a perseverare. Nella vita, sono belle le emozioni ma sono necessarie le motivazioni, perché le partite si vincono al secondo tempo e talvolta anche ai tempi supplementari. In patientia vestra possidebitis animas vestras: con la vostra perseveranza salverete le vostre anime, ci insegna Gesù (Lc 21, 19).

Ai discepoli che gli chiedono dove egli abiti, Gesù risponde facendo appello alla fiducia non al ragionamento (cfr. Gv 1, 38-39). La fiducia precede il ragionamento. D’altronde, l’incontro più bello e più profondo di due persone si verifica non quando esse condividono le idee, ma quando si donano il futuro. Alla cultura della sfiducia che domina nella società contemporanea e che si insinua consapevolmente o inconsapevolmente anche nelle nostre comunità ecclesiali, il cristiano deve opporre la “pedagogia della fiducia”. Se non si può vivere senza dare e ricevere fiducia, è necessario fare ogni sforzo di fantasia e di volontà per creare questa fiducia, incrementarla e renderla sempre più credibile sia nei comportamenti degli individui che in quelli delle istituzioni. La pedagogia della fiducia fa credito anzitutto a Dio, che vuole il bene dell’uomo in misura maggiore di quanto non lo voglia l’uomo stesso (cfr. Mt 6, 25-33). In secondo luogo, fa credito al prossimo e al bene che c’è in lui, al di là di ogni evidenza. Gesù credeva nel bene che c’è nel cuore dell’uomo. Si è autoinvitato a casa di un pubblicano come Zaccheo; si è fermato a parlare con una donna come la Samaritana.

E’ vero che, per Ernest Hemingway, i bivi più importanti della vita sono senza segnaletica. Ma è anche vero che noi cristiani disponiamo d’una segnaletica particolare. Questa, però, non è scritta sui muri. E’ una persona che da sempre ha insegnato a vivere e a morire, a lottare e a sperare. Ancora oggi può insegnarci a vivere, a sperare, a osare. Lo può fare perché ha combattuto ogni forma di male, ha vinto la morte, è risorto, è nostro contemporaneo. Diamogli fiducia. Gliel’hanno data i santi ed hanno avuto fortuna. Gliela possiamo dare anche noi. O no? Amen.