Omelia per la Messa della Notte di Natale

24-12-2021

O Dio che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo. Così fa sintesi del mistero della Nascita del Salvatore l’orazione di Colletta che abbiamo pregato all’inizio di questa celebrazione. La liturgia della Parola per ben due volte ci parla della notte, di tenebre. Quando il Signore è venuto in questo mondo c’era oscurità, non solo l’oscurità fisica della notte di Betlemme, ma piuttosto l’oscurità dei cuori che non sapevano in chi confidare, in quale direzione andare, chi ascoltare. Con la nascita di Cristo si è accesa la luce; è scaturita la possibilità per l’umanità di tutti i tempi di comprendere sé stessa, il significato della sua esistenza sulla terra e l’indicazione del percorso da fare: il ritorno alla casa di quel Padre che ci ha voluti e amati. Eppure, la luce donata con tanta abbondanza, ha bisogno, ancora una volta, di essere riaccesa nel nostro cuore e nel cuore dell’umanità.

Infatti, è sempre attuale e presente la tentazione di scegliere la notte, di preferire le tenebre alla luce, come ci ricordava san Giovanni nel suo Prologo: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Quali sono le tenebre che ancora ci avvolgono? È la quotidianità intrisa di violenza che ancora ferisce il nostro mondo; l’indifferenza per i poveri e i piccoli; l’abuso di potere; lo sfruttamento dei lavoratori; la disattenzione ai malati e alla sanità nel nostro territorio segnato da tante povertà. La disattenzione per la cosa pubblica e per tanti territorio trascurati della nostra Sardegna, le gravi ferite inferte alla natura. Ma anche fuori dalla nostra terra e dalla nostra nazione ci sono le tenebre che costringono bambini, uomini e donne a lasciare le loro case, a camminare per mesi, ad affrontare il freddo e i pericoli di ogni genere, nella speranza di una vita migliore, di accoglienza, di dignità, di pace.

Quelle tenebre di cui parliamo sono anche la tentazione ricorrente di ridurre il fatto Gesù a pura favola, ad avvenimento mitico, a un indistinto spirito del Natale che non sappiamo cosa sia e che rischia di risolversi piuttosto in commercio e spreco, dove la bontà, la giustizia, il rispetto, l’accoglienza sembrano legati principalmente al bere e mangiare, al comprare e consumare tanto da farci perdere il senso vero di questa celebrazione.

Come cristiani dobbiamo riappropriarci del Natale del Signore nel suo significato più profondo. È certo che viviamo in questo momento storico e in questa cultura, e per questo riconosciamo e rispettiamo tante persone che non condividono la nostra fede e vivono il Natale solo come una festa senza particolari significati. Non è negativo fare festa, farsi regali, adornare le città di luci, programmare divertimenti. Ma per noi, accanto a tutto questo, anzi prima di tutto questo, deve rimanere ben chiaro il motivo della nostra allegria per il Natale: è Gesù Cristo, e senza Gesù Cristo non c’è Natale. Per noi cristiani la radice profonda della gioia è che L’invisibile si è fatto Visibile.

I nostri occhi dirà san Giovanni, lo hanno contemplato. L’intoccabile, si è fatto toccabile. Prima di Lui eravamo smarriti, nel buio, desolati per una esistenza che inizia e finisce senza significato. È Lui che ha acceso in quella notte e per tutte le notti, e lo fa per noi anche stanotte, la luce che ci guida: illumina il nostro percorso e dà significato alla nostra vita. Ecco allora che non dobbiamo avere timore di dire: in primo luogo il Natale è una Persona. È la Parola che Dio ha pronunciato per noi e che è venuta in mezzo a noi! È lui che accende la nostra speranza, che invita a riconsiderare il nostro essere uomini e donne aperti e disponibili agli altri. Non abituiamoci alla stravolgente novità di questo fatto! Riappropriamoci dello stupore di questa buona notizia che possiede il volto e il sorriso del bambino di Betlemme. Di fronte alla grotta lasciamo risuonare nel nostro cuore l’inno di Paolo ai Filippesi: spogliò sé stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini.

Il segno di Dio è la semplicità. Il segno di Dio è il bambino. Il segno di Dio è che Egli è piccolo per noi. Questo è il suo modo di governare. Viene come un bambino, indifeso e bisognoso del nostro aiuto. Non vuole imporsi con la forza. Egli ci toglie la paura della sua grandezza. Chiede il nostro amore: per questo diventa bambino. Egli non vuole nient’altro da noi se non il nostro amore, attraverso il quale impariamo spontaneamente a entrare nei Suoi sentimenti, pensieri e volontà, impariamo a vivere con Lui e anche a praticare con Lui l’umiltà della rinuncia, che fa parte dell’essenza dell’amore. Dio si è fatto piccolo perché potessimo capirlo, accoglierlo, amarlo.

Infine, fratelli e sorelle, il Natale è luce e speranza! È questo il mio augurio per ciascuno di voi in questa Santa Notte. Nell’Incarnazione del Signore noi celebriamo la Speranza e siamo chiamati a renderci noi stessi speranza per quanti incontriamo. Rendiamo così attuali e veri gli auguri che ci scambiamo in questi giorni. Diamo, nella nostra quotidianità, speranza a quanti sembrano averla perduta: una parola, uno sguardo amichevole, un aiuto economico; offriamo gratuitamente accoglienza che riscaldi il cuore, un po’ di tempo per dare amicizia e ascolto.

Gesù nel Natale non ci ha portato altro che sé stesso! Anche noi portiamo agli altri il dono di noi stessi. Auguri.

+ Roberto, arcivescovo