Omelia per la professione perpetua di sei Figlie di San Giuseppe

08-12-2021

Carissimi….

Il Salmo responsoriale della celebrazione ci ha invitato a Cantare un canto nuovo perché il Signore ha fatto meraviglie. La celebrazione di stasera, nella solennità dell’Immacolata, è davvero tra le meraviglie che fa il Signore, un avvenimento straordinario, perché sei giovani donne che arrivano dall’India e dal Brasile, dell’Istituto delle Figlie di San Giuseppe di Genoni, faranno di fronte alla comunità cristiana, nelle mani della Madre Generale, la professione perpetua, cioè quella promessa solenne, importante, perpetua, di donare sé stesse a Dio, di consacrarsi e di esser consacrate da Lui, nella vita religiosa.

Questa chiesa cattedrale ha ospitato in quest’ultimo anno la celebrazione solenne di diverse vocazioni: ho consacrato qui i diaconi, ordinato due sacerdoti, ho celebrato il matrimonio di alcune coppie di sposi e oggi presiedo a questa solenne celebrazione nella quale le nostre Sorelle faranno la loro professione perpetua nella vita consacrata. Si manifesta in questo modo la ricchezza delle vocazioni che formano la Chiesa, in cui ciascuna dona qualche cosa all’altra; testimonia i vari modi di rispondere alla vocazione cristiana e manifestare la presenza del Signore. Questa è la profonda natura di ogni vocazione nella Chiesa: non chiudersi in sé stessa, non essere autoreferenziale, ma vivere in pienezza la testimonianza per far crescere tutta la comunità cristiana con la luce del proprio carisma, con la particolarità di ogni vocazione. Le realtà umana sono belle, ricche, affascinanti, buone e vanno apprezzate, ma ciascuna di esse, per realizzarsi in pienezza deve lasciar irradiare la luce che illumina ed è la preminenza di Dio che dà significato e senso alle varie vocazioni.

Ciò che sorprende nella vita religiosa sono innanzi tutto queste parole che verranno dette anche oggi: per tutto il tempo della mia vita! Non siamo più abituati a queste espressioni: oggi la nostra cultura è piuttosto la cultura delle cose passeggere, dell’usa e getta, del part-time, del cambio repentino, della fedeltà a tempo. Dire pubblicamente per tutto il tempo della mia vita è una provocazione per tutti noi, una sfida e un invito alla riflessione: infatti a chi si può veramente e consapevolmente promettere per tutto il tempo della propria vita, se non a chi al tempo stesso si dona a noi per sempre? A Colui che rimane fedele. Sappiamo che le promesse umane sono labili, fragili, incostanti. Ma non le promesse di Dio il quale, nella sua fedeltà, fa che anche noi siamo fedeli, se confidiamo in Lui. Promette fedeltà e chiede fedeltà. Si potrebbe parafrasare la frase di S. Agostino che diceva: Signore dammi ciò che comandi e comanda ciò che vuoi! Gli chiediamo di essere fedeli ma al tempo stesso sappiamo che la nostra fedeltà e perseveranza è sempre un dono suo che va chiesto ogni giorno.

Le nostre giovani sorelle oggi faranno solennemente i voti di povertà, castità e obbedienza. Una pazzia per un mondo che ha solo occhi per la realtà materiale. Nei voti religiosi tutto ciò che è più proprio, personale, profondo della persona umana, sembra messo in discussione. È vero che non si arriva a fare questa promessa a cuor leggero. È necessario un solido cammino di formazione e di preparazione, di discernimento, di preghiera e accompagnamento. Perché qui sono coinvolti i nodi centrali e profondi dell’esistenza di una persona: il desiderio di possedere, il desiderio di progettare e organizzare la propria vita, il desiderio di avere un affetto, una famiglia, una persona specifica da amare. Niente di tutto questo è rinnegato nella sua bellezza e importanza. Non si tratta di ripudiare o disprezzare quelle caratteristiche umane che fanno la persona e che esse stesse sono state messe da Dio. Si tratta di educarle come si educa un cuore ad amare con generosità, senza egoismo, senza pensare solo a sé stessi ma a coloro che si vuole amare. È la luce della carità di Dio che illumina questo dono di sé. Per questo si può fare voto di vivere in obbedienza, se essa è un modo di far crescere la propria autonomia, la capacità di progettare ma con lo sguardo più ampio, ecclesiale. Per questo si può vivere la povertà come uso giusto dei beni, senza farsi prendere dalla frenesia di accumulare, di avere di più, di ostentare, ma consapevoli della povertà di tanti uomini e donne, usare saggiamente i beni terreni, nella condivisione con i poveri, nella promozione delle persone. Ecco perché si può fare il voto di castità che non vuole dire rinnegare l’affettività o la corporeità, ma non esserne schiavi né schiavizzare gli altri, educando il desiderio a non appropriarsi dell’altra persona, ma a rispettarla, ad ascoltarla, a servirla.

Cosa chiede la comunità cristiana a queste sorelle, cosa si aspetta da loro? Che continuino la carità del loro servizio. La gioia del loro sorriso, l’entusiasmo di aver incontrato Gesù, il servizio generoso ai poveri. Abbiamo bisogno non di discorsi ma di esempi di vita, di donazione concreta e generosa. Abbiamo bisogno di cristiani e cristiane che testimonino il primato di Dio in un mondo sempre più incredulo, come con una religiosità incerta come recita il titolo di una recente indagine sulla religiosità degli italiani. I poveri a cui le figlie di San Giuseppe servono nella mensa della Carità, nella Casa-famiglia, in tante situazioni di attenzione, gioiscono oggi della professione perpetua di queste giovani sorelle. È ai poveri, infatti, che si apre con generosità il loro servizio: ai poveri e alla Chiesa in cui i poveri devono trovare spazio.

In questo aspetto la dimensione della femminilità, l’attenzione specifica dell’essere donna aiuta a costruire ponti, a fare attenzione alle persone, a prendersi cura, per esprimere attraverso la vocazione religiosa ma anche la vocazione umana quelle parole del Signore che ci ha detto: Quello che avete fatto a uno di questi piccoli lo avete fatto a me.

Celebriamo la professione perpetua di queste sei sorelle nel contesto della solennità dell’Immacolata Concezione di Maria: Sappiamo che queste feste mariane sono principalmente feste cristologiche, perché anche se ci parlano di Maria, del suo posto unico nella storia della salvezza al tempo stesso ci ricordano che Maria ha il suo posto nella storia della Salvezza per la sua speciale relazione con Gesù. La sua vocazione e grandezza è legata al suo ruolo di madre e discepola del suo Figlio; alla sua disponibilità totale verso Dio. D’altra parte, lei stessa lo ha detto nel Magnificat: Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente. Tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Anche noi stasera ci uniamo al coro ininterrotto di uomini e donne che in questi duemila anni del cammino della Chiesa hanno cantato il cantico di lode di Maria e riconosciuto insieme a lei la mano di Dio. Maria, che pure dall’angelo Gabriele è salutata come piena di grazie non ne trae motivo di vanto, anzi rimane turbata, sorpresa! Per lei è difficile entrare in questa profondità. Dunque, vive la sua esistenza terrena come ogni creatura che deve affrontare le fatiche di tutti i giorni, senza miracoli, senza prodigi che rendono la vita facile, neanche la vita di fede, anzi affrontando fatiche, dolore. Gesù, che venera e ama teneramente sua Madre e al tempo stesso vuole associarla alla sua vocazione di colui che è venuto per donare tutto sé stesso. Vuole che anche Maria doni tutto, si spogli di tutto.

Essere vicini a Gesù, essere della Sua famiglia, avere come patrono S. Giuseppe, non ci risparmia dal cammino della fede giornaliera, dalla durezza della vita, dal dover ogni giorno aprire il cuore a Dio e disporci a servire i fratelli. Ecco, care sorelle il progetto di vita che si apre dinanzi a voi. Il progetto di Maria di Nazareth. Vi affidiamo, oltre che all’Immacolata, a San Giuseppe vostro speciale patrono, il cui anno giubilare oggi si chiude, chiediamo a Dio Padre di far fruttificar quel seme che oggi mettete sotto la terra perché dia più frutto.

+ Roberto Carboni, arcivescovo