Omelia per la Veglia Pasquale

Cattedrale di Oristano - 15 aprile 2017
15-04-2017

Cari fratelli e sorelle, questa notte di grazia è iniziata con la preparazione del cero pasquale e il canto solenne dell’annuncio della risurrezione. Le letture che abbiamo ascoltato ci hanno accompagnato nella rievocazione della storia della nostra salvezza. L’accensione delle candele dell’altare, il suono delle campane, il canto del “Gloria a Dio” hanno sottolineato il motivo della nostra gioia: Cristo, nostra Pasqua, è risorto.

Vogliamo lasciarci accompagnare nella nostra celebrazione solenne dalle parole del Papa sul senso della speranza che ci viene procurata dalla risurrezione di Gesù.  Il papa precisa anzitutto che la nostra speranza non è un concetto astratto, non è un sentimento dell’anima, non è neppure il possesso di molte risorse materiali e spirituali! La nostra speranza è una Persona, è il Signore Gesù, vivo e presente in noi e nei nostri fratelli. I popoli slavi quando si salutano, invece di dire “buongiorno”, “buonasera”, nei giorni di Pasqua, si salutano con l’invocazione: “Cristo è risorto!”

Di questa speranza, precisa il Papa, non si deve tanto rendere ragione a livello teorico, a parole, con discussioni animate, ma soprattutto con la testimonianza della vita, sia all’interno della comunità cristiana, sia al di fuori di essa. Se Cristo è vivo e abita in noi, nel nostro cuore, allora si deve rendere visibile nelle nostre azioni, nei nostri sentimenti, nelle nostre decisioni. Questo significa che il Signore Gesù deve diventare sempre di più il nostro modello di vita e che noi dobbiamo imparare a comportarci come Lui si è comportato. La speranza che abita in noi, quindi, non può rimanere nascosta dentro di noi, nel nostro cuore, perché, in questo caso, sarebbe una speranza debole, che non ha il coraggio di uscire fuori e farsi vedere. La nostra speranza deve necessariamente sprigionarsi al di fuori, prendendo la forma squisita e inconfondibile della dolcezza, del rispetto, e della benevolenza verso il prossimo, arrivando addirittura, secondo l’insegnamento di San Pietro, a perdonare chi ci fa del male: “è meglio, se così vuole Dio, soffrire operando il bene piuttosto che fare il male” (1Pt 3, 17). Una persona che non ha speranza non riesce a perdonare, dice il Papa, non riesce a dare la consolazione del perdono e ad avere la consolazione di perdonare. Sì, perché così ha fatto Gesù, e così continua a fare attraverso coloro che gli fanno spazio nel loro cuore e nella loro vita, nella consapevolezza che il male non lo si vince con il male, ma con l’umiltà, la misericordia e la mitezza.

Quando San Pietro, come abbiamo già visto, afferma che “è meglio soffrire operando il bene che facendo il male”, non vuol dire che è bene soffrire, ma che, quando soffriamo per il bene, siamo in comunione con il Signore, il quale ha accettato di patire e di essere messo in croce per la nostra salvezza. Quando allora anche noi, nelle situazioni più piccole o più grandi della nostra vita, accettiamo di soffrire per il bene, è come se spargessimo attorno a noi semi di risurrezione, semi di vita e facessimo risplendere nell’oscurità la luce della Pasqua. È per questo che l’Apostolo ci esorta a rispondere sempre “augurando il bene”: la benedizione non è una formalità, non è solo un segno di cortesia, ma è un dono grande che noi per primi abbiamo ricevuto e che abbiamo la possibilità di condividere con i fratelli. È l’annuncio dell’amore di Dio, un amore smisurato, che non si esaurisce, che non viene mai meno e che costituisce il vero fondamento della nostra speranza.

Cari fratelli e sorelle,

nella proclamazione del vangelo della risurrezione abbiamo sentito l’invito dell’angelo alle donne a non aver paura, perché Cristo è risorto; l’invito ad andare a portare l’annuncio della risurrezione ai discepoli. Questo invito è rivolto anche a noi, perché, pur vivendo nella società della paura e del rischio, abbiamo la forza di reagire, di non rassegnarci, di credere nella vittoria del bene sul male. Gesù risorto, ci ripete: “voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia, io ho vinto il mondo”(Gv 16, 33). Chiara Lubich aggiunge: “Quando il mondo con la sua superficialità ci toglie il respiro e la vita con i suoi pesi e le sue prove prende il sopravvento, ci prende la voglia di mollare. E’ lì che nasce la speranza in Colui nel quale “si può sperare contro ogni speranza.” Papa Benedetto ha scritto che “oggi la tentazione cui siamo soggetti noi cristiani non consiste tanto nel dubbio teoretico circa l’esistenza di Dio o in quello della sua unità e trinità, e neppure in quello della divinità e umanità di Cristo. Ciò che oggi veramente ci opprime e tenta è piuttosto la constatazione dell’inefficacia del cristianesimo. Dopo duemila anni di storia cristiana non vediamo nulla di ciò che dovrebbe costituire la nuova realtà del mondo, ma troviamo invece gli stessi orrori, angosce e speranze di prima e di sempre”.

Se questa è la situazione nella quale viviamo, dobbiamo fare di tutto per portare al mondo la novità del Vangelo. Se Cristo è risorto, dobbiamo vivere da risorti e seminare speranza. Se Cristo è nostra Pasqua, dobbiamo dargli il cuore per continuare ad amare, le mani per continuare a benedire, noi stessi per continuare a donarsi.

Amen.