2/2010 – INTERVENTO DELL’ARCIVESCOVO MONS. IGNAZIO SANNA SULLA DELIBERA DELLA GIUNTA DEL COMUNE DI ORISTANO CIRCA LA PRIVATIZZAZIONE DELLE CENERI DEL CARO ESTINTO.

A proposito della delibera della giunta comunale della città di Oristano, che consente che le ceneri del defunto possano essere conservate a casa, si ritiene opportuno ribadire quanto hanno precisato i Vescovi Italiani nella loro assemblea straordinaria tenutasi ad Assisi nel novembre scorso: “la prassi di spargere le ceneri in natura, oppure di conservarle in luoghi diversi dal cimitero, come, ad esempio, nelle abitazioni private, solleva non poche domande e perplessità. La Chiesa ha molti motivi per essere contraria a simili scelte, che possono sottintendere concezioni panteistiche o naturalistiche. Soprattutto nel caso di spargimento delle ceneri o di sepolture anonime si impedisce la possibilità di esprimere con riferimento a un luogo preciso il dolore personale e comunitario. Inoltre si rende più difficile il ricordo dei morti, estinguendolo anzitempo. Per le generazioni successive la vita di coloro che le hanno precedute scompare senza lasciare tracce”.
La privatizzazione delle ceneri è di fatto un abbandono di quella dimensione comunitaria che nella tomba del cimitero trova il suo luogo di memoria e di pietà collettiva. Così, infatti, ha sempre pensato l’umanità di sé fin dalle sue origini quando, rifiutandosi di arrendersi all’insignificanza biologica, ha costruito sulla terra quei recinti sepolcrali e poi quei monumenti alla morte, che, dalle piramidi d’Egitto alle tombe greche, romane ed etrusche, sono a testimoniare la differenza che l’uomo ha sempre percepito tra sé e l’animale. Può il singolo individuo gestire la morte che è stata sempre gestita in modo comunitario, con riti a cui si partecipa collettivamente per diluire il dolore con il conforto? La morte è un evento ineluttabile che neppure l’amore più grande di questa terra sa reggere e contenere. Per questo gli uomini, tra i viventi gli unici che sanno di dover morire, hanno fatto comunità e hanno lasciato nelle necropoli non i loro resti storici ma memoria perenne della condizione umana. Questa memoria rischia di essere abolita, anche se ciò avviene per amore. Perché non sembra sia vero amore, ma possesso, voler trattenere in qualche modo chi, precedendoci, ci ha ricordato la nostra ineluttabile condizione. Il cimitero è e rimane “la città della memoria”, un luogo dello spirito, dove semplici lapidi legano nomi a storie di gioia e di dolore, tanti fiori colorano il ricordo delle persone amate, miriadi di lumicini illuminano il buio del giorno e della notte, dove la poesia, quella vera, non privilegio dei poeti, sa trovare parole giuste per sentimenti profondi.