In occasione della festa della patrona dell’Arcidiocesi, Nostra Signora del Rimedio, l’Arcivescovo Roberto ha presentato la nuova Lettera alla Comunità, la sesta da quando è Guida e Pastore a Oristano.
Ne riportiamo il testo integrale.
Al Popolo di Dio che è nelle diocesi di Oristano e Ales-Terralba.
Uomini e donne di buona volontà, fedeli laici, consacrati e consacrate, diaconi e presbiteri. Il Signore vi dia pace!
Sorelle e fratelli, vi raggiungo ancora una volta con la Lettera alla Comunità, per coinvolgervi in un avvenimento importante che tocca specialmente l’Arcidiocesi di Oristano, ma in cui desidero coinvolgere anche la Chiesa di Ales-Terralba che, insieme alla Chiesa arborense percorre un cammino di collaborazione e dialogo: la prossima Visita pastorale. Si tratta di un’esperienza di grazia, di ascolto, di condivisione e di incontro fra i più significativi che il vescovo possa vivere insieme alla comunità a lui affidata.
La diocesi di Ales-Terralba ha avuto già modo di vivere, qualche anno fa, questa esperienza, seppure segnata e, in qualche modo limitata, dal periodo del Covid che ne ha reso, specialmente nei primi mesi del 2020, difficile l’attuazione. La Visita pastorale, dunque, oggi è rivolta specialmente alle comunità dell’Arcidiocesi di Oristano, ma non di meno il tema che propongo in questa occasione, l’incontro tra Gesù e Zaccheo, è un annuncio valido per tutte le comunità parrocchiali delle due diocesi, indipendentemente dalla Visita pastorale, ed è invito a ciascuno ad aprire il proprio cuore e la propria mente all’incontro personale con il Signore Gesù.
Oggi devo fermarmi a casa tua
La pagina del vangelo che accompagnerà la Visita pastorale, ma anche il percorso delle comunità per quest’anno, è l’incontro di Gesù con Zaccheo. Il Maestro rivolge un invito ancora valido anche per noi: Oggi devo fermarmi a casa tua (Lc 19,5). Gesù desidera entrare in relazione con Zaccheo, incontrarlo nella sua casa, con i suoi familiari, e oggi desidera farlo con ciascuno di noi. Dopo aver dato la luce al cieco, che sedeva lungo la strada (Lc 18,35-43), entra in città per realizzare in un modo ancor più clamoroso il suo compito di dare la vista ai ciechi, che hanno lo sguardo interiore offuscato, e sanare la loro incredulità. Non ha paura di incontrare le persone e di misurarsi con loro e con i loro problemi quotidiani. Così Egli vuole incontrare anche noi, nonostante le nostre fragilità e contraddizioni. La realtà che stiamo vivendo è contradditoria e spesso violenta. Come Chiesa siamo invitati a uscire e attraversare le nostre città, dove vivono e lavorano tanti uomini e donne, desiderosi di testimoniare la loro fede e di impegnarsi concretamente per il bene comune, nella costruzione di una nuova società, la civiltà dell’amore. Sentiamo più urgente questa necessità nel contesto attuale dove le parole e le immagini parlano di guerra, violenza e dolore. Sappiamo di non poter risolvere i gravi problemi che ci circondano in un modo magico o immediato; tuttavia, siamo chiamati a intrecciare il coinvolgimento personale con la fiducia nel Signore, per portare alle nostre comunità parrocchiali, piccole o grandi che siano generose e impegnate o stanche e affaticate, l’annuncio di pace che viene dal Vangelo, insieme alla consapevolezza della nostra responsabilità civile, che sfoci nella speranza che è ancora possibile, anche ai nostri giorni, vivere nell’accoglienza e nel rispetto reciproco. Lasciandomi guidare dall’esempio di Gesù, anche io desidero fermarmi idealmente nelle vostre case, per accogliere e celebrare insieme a voi il grande dono dell’amore di Dio.
La parola di Gesù
Luca 19, 1-10: Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È andato ad alloggiare da un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
Vi invito a entrare nel contesto del brano di Luca, per raccogliere spunti di riflessione per la nostra vista personale e comunitaria:
Gesù visita la città di Gerico
Gesù si sta avviando con decisione verso Gerusalemme. In questo modo manifesta la sua fedeltà a Dio, suo Padre, e al progetto del dono di sé. Egli sa bene che non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme (Lc 13,33), per questo prende con risolutezza la sua decisione: sceglie di restare fedele fino alla fine al volto di Dio che lui ha manifestato lungo tutta la sua vita (cf. Gv 1,18), anche a costo di subire un’ingiusta condanna a morte. In tale cammino verso Gerusalemme Gesù entra a Gerico, città di confine della provincia romana della Giudea. Così realizza e fa sintesi del senso della sua vita, che è quello di andare a cercare le pecore perdute della casa di Israele.
Quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura.
Un uomo: una definizione semplice, eppure questa è la sua qualità primaria. L’evangelista la evidenzia subito, per chiarire ciò che Gesù vede in lui. Gesù sa andare oltre l’opinione comune, che vedeva in Zaccheo un uomo da evitare, da emarginare e condannare. Gesù invece è capace di sentire in grande, di vedere in profondità: vede la persona di Zaccheo la sua umanità, dove gli altri vedono solo un delinquente. Spesso nel vangelo vediamo il Maestro cogliere innanzitutto, in ogni suo interlocutore, la condizione di essere umano, senza nutrire alcun preconcetto.
Questo ci consola e aiuta, dato che sappiamo che il Signore, prima di vedere i nostri limiti, vede la bellezza della nostra umanità, quella che il Padre celeste ha creato.
Chiamato con il nome Zaccheo: non solo di nome Zaccheo, ma anche degno di essere chiamato, con il suo nome proprio, dagli altri. Chiamare qualcuno per nome significa riconoscergli dignità, dargli l’importanza di una relazione. Il termine ebraico Zakkaj, paradossalmente, significa puro, innocente: ironia del vangelo oppure un altro particolare che ci dice, tra le righe, ciò che solo Gesù sa vedere in lui? Il Signore conosce ciascuno di noi per nome, la nostra storia, le fatiche e i tradimenti ma anche il nostro desiderio di fedeltà e di felicità.
Capo dei pubblicani e ricco: come è noto, i pubblicani svolgevano una professione, considerata impura per gli Ebrei, un mestiere ingiusto e odiato, l’esattore delle tasse per conto dell’Impero Romano; era il simbolo del peccatore pubblico, riconosciuto tale da tutti. Nel nostro caso si tratta, per giunta, di un architelónes, un capo dei pubblicani. È dunque una situazione difficile, che non favorisce l’incontro, ma Gesù sa superarla puntando a una relazione personale e profonda.
Un incrocio di sguardi
Il Vangelo ci offre un gioco di sguardi: quello di Zaccheo che cerca Gesù e lo sguardo di Gesù che cerca Zaccheo. Il peccatore Zaccheo e il Signore della Misericordia fissano l’uno gli occhi dell’altro. Da un lato, Zaccheo ha uno sguardo di curiosità: chi sarà questo Gesù, un uomo così importante da radunare tanta folla? Zaccheo ha sete di curiosità. Dall’altro lo sguardo di Gesù: è uno sguardo di amore, occhi capaci di guardare alla bontà del cuore di Zaccheo e non all’aridità e al male che quel piccolo uomo si è lasciato alle spalle. Anche noi siamo cercati dagli occhi del Signore, il Misericordioso, che vuole farci superare il nostro male, per aprirci a una vita nuova.
Corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là. A volte le rappresentazioni pittoriche di questa scena evangelica, specialmente le icone, aggiungono particolari che oltrepassano il testo stesso; a esempio, mostrano il Signore che aiuta Zaccheo a scendere dall’albero. Quando si è in alto, tutto quanto ci sembra più piccolo. Il Signore viene a cercarci dovunque siamo, aiutandoci a scendere dall’albero della superbia. È lui che ci accompagna fin giù, in basso, nelle profondità del nostro animo, per scoprire le ferite che noi stessi abbiamo causato. Davanti a Gesù, però, Zaccheo non si vergogna e lascia che egli veda tutte le sue miserie, egoismi, mancanza di rispetto per i poveri. Non si vergogna perché sente che Gesù ha uno sguardo completamente diverso da quello della gente, che lo giudicava senza pietà. Sente che Gesù, invece, lo guarda con amore. Egli vede con chiarezza tutti i suoi peccati, ma non lo condanna. Lo ama, invece, e vuole che diventi migliore; vuol guarirgli il cuore, malato di tanti peccati e vizi. Zaccheo si affida a Gesù perché intuisce che, se avesse il cuore guarito, più capace di amare, sarebbe tanto più contento. Si affida a Gesù perché il suo sguardo di amore gli cambi il cuore. Ma il cammino di Zaccheo non è facile e immediato. Egli non riesce ancora ad abbandonarsi al Signore. Qualcosa, in lui, lo tiene lontano, abbracciato a quella superbia su cui era salito. Ha bisogno di tenere lo sguardo fisso in Gesù e sbarazzarsi del superfluo che lo trattiene. Dopo aver aperto a Gesù tutto il suo cuore malato, Zaccheo si trova guarito dallo sguardo di amore e di perdono del Signore. Il segno della guarigione è una gioia nuova che mai aveva sentito; sente la gioia di donare invece che di portare via agli altri. I poveri diventano i suoi amici, ai quali dona la metà dei suoi beni.
Gesù alzò lo sguardo e gli disse: Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua. Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Per commentare queste parole vorrei offrirvi un testo significativo di papa Francesco: Guardiamo Zaccheo, oggi, sull’albero: il suo è un gesto ridicolo, ma è un gesto di salvezza. E io dico a te: se tu hai un peso sulla tua coscienza, se tu hai vergogna di tante cose che hai commesso, fermati un po’, non spaventarti. Pensa che qualcuno ti aspetta perché mai ha smesso di ricordarti; e questo qualcuno è tuo Padre, è Dio che ti aspetta! Arrampicati, come ha fatto Zaccheo, sali sull’albero della voglia di essere perdonato; io ti assicuro che non sarai deluso. Gesù è misericordioso e mai si stanca di perdonare! Ricordatelo bene, così è Gesù. (…) Nonostante le mormorazioni della gente, Gesù sceglie di fermarsi a casa di quel pubblico peccatore. Anche noi saremmo rimasti scandalizzati da questo comportamento di Gesù. Ma il disprezzo e la chiusura verso il peccatore non fanno che isolarlo e indurirlo nel male che compie contro sé stesso e contro la comunità. Invece Dio condanna il peccato, ma cerca di salvare il peccatore, lo va a cercare per riportarlo sulla retta via. (…) L’accoglienza e l’attenzione di Gesù nei suoi confronti portano quell’uomo a un netto cambiamento di mentalità: in un attimo si rende conto di quanto è meschina una vita tutta presa dal denaro […]. Avere il Signore lì, a casa sua, gli fa vedere tutto con occhi diversi, anche con un po’ della tenerezza con cui Gesù ha guardato lui. E cambia anche il suo modo di vedere e di usare il denaro: al gesto dell’arraffare si sostituisce quello del donare. […] Incontrando l’Amore, scoprendo di essere amato nonostante i suoi peccati, diventa capace di amare gli altri, facendo del denaro un segno di solidarietà e di comunione (Papa Francesco, Angelus, Piazza San Pietro, 3 novembre 2013).
Oggi la salvezza è entrata in questa casa. La salvezza è venuta in questa casa. Salvezza, salvare, altre espressioni importanti che attraversano tutto il Vangelo di Luca; è una realtà che ha a che fare con la fede dell’uomo, come attesta una frase sovente rivolta da Gesù ai suoi interlocutori: La tua fede ti ha salvato. Come avviene la storia di salvezza? Nella salvezza delle storie personali e relazionali di coloro che Gesù incontra. Sì, l’accoglienza della salvezza è ormai direttamente accoglienza di Cristo stesso, è esperienza di chi incontra Gesù, mette in lui la sua fiducia e si lascia da lui salvare (Enzo Bianchi, Quaresimale, Milano, Basilica di S. Ambrogio, 15 marzo 2013). Il pubblicano Zaccheo è la figura del discepolo cristiano che non lascia tutto per seguire il Maestro, come invece altri faranno, ma rimane nella propria casa … testimone però di un nuovo modo di vivere: non più il guadagno al di sopra di tutto, ma la giustizia e la condivisione. C’è il discepolo che lascia tutto per farsi annunciatore itinerante del Regno, e c’è il discepolo che vive la medesima radicalità restando nel mondo a cui appartiene (Bruno Maggioni, Il racconto di Luca, Cittadella, Assisi 2001, p. 325).
La sintesi dell’incontro tra il Signore e Zaccheo è che il Signore vuole incontrare ciascuno di noi nella nostra casa, nella nostra vita, nella nostra piega esistenziale; egli ci chiede un cambio profondo di atteggiamento, per passare dalla chiusura alla generosità, dall’isolamento alla condivisione.
La Visita pastorale
La Visita pastorale che mi accingo a intraprendere nell’Arcidiocesi di Oristano, è uno dei modi per realizzare quell’incontro tra Gesù e ciascun discepolo che desidera rimettersi in cammino nella sua vita di fede. Al centro della Visita pastorale non c’è il vescovo, ma il Signore Gesù. È Lui che desidera incontrarci e portare la sua luce e il suo amore, attraverso la Chiesa e la persona del vescovo, in tutti gli ambienti della vita quotidiana. È Lui che dobbiamo cercare, attendere e accogliere. È a Lui che dobbiamo rivolgerci e aprire la porta del nostro cuore e delle nostre case, per ascoltarlo, per cambiare vita e per testimoniarlo a tutti.
Qual è lo scopo della Visita pastorale? Le finalità sono espresse nel documento Apostolorum successores al n. 220: La Visita pastorale è una delle forme, collaudate dall’esperienza dei secoli, con cui il vescovo mantiene contatti personali con il clero e con gli altri membri del Popolo di Dio. È occasione per ravvivare le energie degli operai evangelici, lodarli, incoraggiarli e consolarli, è anche l’occasione per richiamare tutti i fedeli al rinnovamento della propria vita cristiana e ad un’azione apostolica più intensa. La Visita consente al vescovo di valutare l’efficienza delle strutture e degli strumenti destinati al servizio pastorale, rendendosi conto delle circostanze e difficoltà del lavoro di evangelizzazione, per poter determinare meglio le priorità e i mezzi della pastorale organica. Come si può notare al centro di tutto stanno le relazioni, dove reciprocamente ci si aiuta a crescere nell’amore verso Dio e nell’impegno nella carità.
In sintesi, questi sono gli atteggiamenti che siamo chiamati a far emergere sia nella Visita pastorale ma anche nel cammino quotidiano della comunità:
Ascolto del Signore e ascolto del prossimo. Ancora una volta come comunità cristiana siamo chiamati ad ascoltarci tra noi: presbiteri e laici, vicini e quelli che si sentono ai margini. Ma questo ascolto non è solo circoscritto alla Visita pastorale, sarà un compito da realizzare nel cammino annuale delle nostre comunità: riprendere lo stile di ascolto reciproco, favorendo incontri, approfondimenti, condivisioni della Parola di Dio che aiuti tutti ad aprire il cuore e la mente. In una parola realizzare quello stile sinodale già avviato nella Chiesa italiana e che vuole coinvolgere tutti i cristiani nella riflessione e nel camminare insieme, per essere sempre più fedeli al vangelo.
Consolazione. La Visita pastorale è occasione per il vescovo di incontrare i cristiani per lodarli, incoraggiarli e consolarli. (Direttorio n.220) Tutti abbiamo bisogno di consolazione e incoraggiamento, perché il cammino di fedeltà al vangelo può essere talvolta faticoso e accidentato. La stima e la lode sono come un balsamo che scende sul volto e sul cuore di quanti le ricevono (Sal. 133). Ma esiste anche un ministero della consolazione più quotidiano e feriale, che dovrebbe far parte delle nostre relazioni comunitarie in parrocchia.
Presbiteri e laici siamo chiamati a sostenere le persone deboli, i fragili, coloro che per tanti motivi si sentono soli e abbandonati. Anche questo può essere un passo da realizzare nel cammino comunitario: accorgersi di coloro che vivono ai margini della comunità, non chiuderci in noi stessi ma aprire il cuore perché le persone si sentano accolte.
Conversione. La Visita è occasione per richiamare tutti i fedeli al rinnovamento della propria vita cristiana e a un’azione apostolica più intensa. (Direttorio n. 2020) Si tratta di esortare a una sana conversione personale e pastorale, prendendo coscienza della reale situazione della comunità e di alcune scelte necessarie da mettere in atto. Il primato spetta alla Parola di Dio che possiede una forza educativa, spinge a una conversione permanente. Non si può rimanere bloccati sul Si è sempre fatto così (Evangelii Gaudium, 33). La conversione è da mettere al centro del progetto della comunità, anche al di là della Visita pastorale: un cammino di conversione uscendo da tanti atteggiamenti che possono rendere rigida la comunità: divisioni, pregiudizi e critiche, superficialità, mancanza di vero perdono reciproco, preoccupazione non dell’essenziale ma di ciò che è marginale.
Verifica. La Visita pastorale consente di valutare l’efficienza delle strutture e degli strumenti destinati al servizio pastorale (Direttorio n. 220). Non è inutile una verifica puntuale e approfondita sulla situazione amministrativa, l’uso delle risorse economiche, l’uso delle strutture parrocchiali, la custodia dei beni artistici che fanno parte della storia della comunità e sono al servizio dell’evangelizzazione. Trasparenza e senso di corresponsabilità guideranno anche questo momento, non come un controllo ma come un mettere a conoscenza di come si vive la responsabilità ricevuta. L’analisi svolta con cordialità e pazienza darà certamente esiti buoni, nella consapevolezza di essere accompagnati e di far parte di un cantiere più ampio, con il quale rimanere in comunione. Oltre agli aspetti sopra menzionati, la Visita pastorale ci offrirà l’opportunità per esaminare il cammino pastorale delle nostre comunità parrocchiali, per compiere il passaggio da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria (Evangelii Gaudium,15).
Se questo accadrà, la Visita pastorale non sarà un atto burocratico o l’adempimento di una norma giuridica, ma un evento di grazia e di gioia, una bella testimonianza, un contributo per una Chiesa in uscita, da accogliere con lo sguardo di fede, che rimanda alla cura che il Signore ha di tutto il gregge, del Buon Pastore che conosce le sue pecore e che va in cerca della pecora perduta (cfr. Giovanni 10, 1-18). La Visita è un evento di grazia che riflette in qualche misura quella specialissima visita con la quale il supremo pastore (1Pietro 5, 4) e guardiano delle nostre anime (cfr. 1 Pietro 2, 25), Gesù Cristo, ha visitato e redento il suo popolo (cfr. Luca 1,68). (Direttorio n. 220). La verifica non è solo riservata alla Visita pastorale. È opportuno che ogni comunità verifichi annualmente, parroco e laici, specialmente col coinvolgimento degli organismi di partecipazione (il Consiglio pastorale e quello per gli Affari economici) che devono essere presenti in ciascuna parrocchia, il cammino fatto, la programmazione decisa insieme, mettendone in evidenza i limiti e le luci, quello in cui si è cresciuti e quello che ancora deve maturare. La verifica aiuta a programmare con concretezza e progredire nel cammino di maturazione della comunità, nell’inclusione di tutti, uomini e donne, nella fattiva collaborazione e responsabilità. L’obiettivo della Visita pastorale, come pure di ogni cammino comunitario, è quello di sostenere e promuovere il percorso di fede dei singoli credenti e della comunità, per formare una comunità che cresce nella fedeltà al vangelo.
Spunti per impostare un programma pastorale comunitario seguendo le indicazioni di papa Leone XIV
Solo da pochi mesi papa Leone XIV ha iniziato il ministero di vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale. Già dalle sue prime parole, come pure da tanti suoi interventi puntuali, possiamo prendere spunto per il cammino pastorale delle nostre comunità. Di seguito riporto alcuni temi che il Santo Padre ha toccato e che mi sembrano importanti per il cammino delle nostre Chiese diocesane.
Al centro la persona di Gesù Cristo
Sin dalle prime parole, che papa Leone ha pronunciato dopo la sua elezione, è stata chiara la sua intenzione di riportare ancora una volta al centro della riflessione e dell’attenzione di tutti la persona di Gesù. Non che questo fosse mancato nel passato, ma papa Leone ha dato come un nuovo impulso a questa consapevolezza. Il suo progetto è quello di una Chiesa centrata su Gesù Cristo e aperta al mondo, in uscita, una Chiesa missionaria, che non ha altra proposta da offrire che il Vangelo di Gesù, su cui fondare la nostra identità di credenti e lo stile di vita per camminare nella storia, a cui si aggiunge la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana, la crescita nella collegialità e nella sinodalità, l’attenzione al sensus fidei, specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare, la cura amorevole degli ultimi, e degli scartati, il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà. Papa Leone e papa Francesco uniscono il loro invito alla Chiesa in questo mandato di missione che è vero per ogni cristiano: La sua gioia di comunicare Gesù Cristo si esprime tanto nella preoccupazione di annunciarlo in altri luoghi più bisognosi, quanto in una costante uscita verso le periferie del proprio territorio o verso i nuovi ambiti socio-culturali (Evangelii Gaudium, 30).
Suggerimenti pastorali
- Si coordinino iniziative per l’ascolto e l’approfondimento comunitario della Parola di Dio, anche in contesti domestici, dove la qualità delle relazioni interpersonali è importante per l’accoglienza e la risonanza della Parola.
- In tutte le comunità si curino la preparazione e la qualità delle celebrazioni liturgiche, specialmente della domenica come giorno della comunità, e degli altri momenti di preghiera, il decoro e l’accessibilità agli spazi ecclesiali.
Per una Chiesa sinodale e corresponsabile
Seppure con fatica tentiamo di realizzare nel territorio delle nostre diocesi un nuovo stile: quello delle comunità pastorali.
In questo modo pare maggiormente possibile una piena valorizzazione dei laici e degli organismi di partecipazione per una autentica pastorale integrata, dove le varie parrocchie, abbandonando la pretesa di autosufficienza, si collegheranno tra loro per formare ed essere una Chiesa di comunione e missionaria. I laici sono l’immensa maggioranza del popolo di Dio. Al loro servizio c’è una minoranza: i ministri ordinati. È cresciuta la coscienza dell’identità e della missione del laico nella Chiesa. Disponiamo di un numeroso laicato, benché non sufficiente, con un radicato senso comunitario e una grande fedeltà all’impegno della carità, della catechesi, della celebrazione della fede (EG 102).
E papa Leone ribadisce: I laici sono chiamati a lasciarsi coinvolgere in tale missione, divenendo, accanto ai Ministri ordinati, pescatori di coppie, di giovani, di bambini, di donne e uomini di ogni età e condizione, affinché tutti possano incontrare Colui che solo può salvare. Ciascuno di noi, infatti, nel Battesimo, è costituito Sacerdote, Re e Profeta per i fratelli, ed è reso pietra viva (cfr 1Pt 2,4-5) per la costruzione dell’edificio di Dio nella comunione fraterna, nell’armonia dello Spirito, nella convivenza delle diversità (Papa Leone XIV, Messaggio ai partecipanti al Seminario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, 02.06.2025). Le nostre Chiese diocesane di Oristano e Ales-Terralba vivono già un cammino di collaborazione tra diverse comunità, affidate a uno o più sacerdoti, che cercano di coinvolgere i laici, non solo nella collaborazione ma nella corresponsabilità e nella crescita della comunità. Si tratta di un cammino non sempre facile e agevole, che richiede tempo e buona volontà da parte di tutti. Si tratta di armonizzare itinerari comuni di formazione e crescita nella fede, insieme alla conservazione di quei tratti caratterizzanti le comunità e che non possono essere cancellati a favore di una uniformità generica. Sarà il compito del parroco e dei suoi collaboratori trovare percorsi di ascolto, equilibrio, stimolo verso nuove forme ecclesiali.
Suggerimenti pastorali
- Si offrano opportunità per una formazione pastorale sistematica e condivisa, capace di far maturare lo stile sinodale fra le diverse componenti della comunità parrocchiale, per crescere nella pratica del discernimento ecclesiale.
- Si promuova la scelta di uomini e donne (laici, laiche, consacrati e consacrate) per i Ministeri istituiti e di fatto, senza dimenticare le vocazioni verso il diaconato permanente, per ruoli di responsabilità nella vita della comunità parrocchiale, riconoscendo il loro apporto specifico.
- Le parrocchie collaborino attivamente nel sostenere i progetti diocesani della pastorale giovanile e vocazionale. Le vocazioni alla vita matrimoniale, religiosa, presbiterale nascono nella comunità parrocchiale che si impegna a essere grembo di ogni cammino vocazionale.
Le famiglie, soggetto dell’azione pastorale
Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire.
Certo, non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro (Amoris Laetitia, 35).
Analisi infinite sui dissesti delle famiglie nel mondo occidentale non sono sufficienti, e nemmeno una denuncia profetica su tutto ciò che la deprime e la aggredisce. Tenendo ferma la dottrina biblica e teologica sulla famiglia, urge una riproposta vocazionale, un’offerta appassionata e gioiosa del suo progetto vocazionale. Sarà la bellezza del disegno familiare di Dio ad attrarre i giovani e a mobilitare energie per la promozione della cellula fondamentale della società e della Chiesa. Sempre sul tema della famiglia, papa Leone XIV ci dice: È particolarmente urgente, in questo sforzo, rivolgere un’attenzione speciale a quelle famiglie che, per vari motivi, sono spiritualmente più lontane: a quelle che non si sentono coinvolte, che si dicono non interessate, oppure che si sentono escluse dai percorsi comuni, ma nondimeno vorrebbero essere in qualche modo parte di una comunità, in cui crescere e con cui camminare. Quante persone, oggi, ignorano l’invito all’incontro con Dio! (Papa Leone XIV, Messaggio ai partecipanti del Seminario del Dicastero per i laici, o.c.)
Suggerimenti pastorali
- In collaborazione con gli Uffici diocesani di pastorale giovanile e familiare, di associazioni e gruppi, si offrano percorsi di sostegno alla genitorialità e di accompagnamento pastorale agli sposi e alle famiglie nei primi anni di vita coniugale.
I poveri
Riguardo all’attenzione da avere nei confronti dei poveri, sono ancora valide e ispiratrici le parole di papa Francesco: Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro la sua prima misericordia. Questa preferenza divina ha conseguenze nella vita di fede di tutti i cristiani, chiamati ad avere gli stessi sentimenti di Gesù (Fil 2,5). Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa. Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro (EG 198).
Anche papa Leone, nel suo messaggio per la Giornata dei Poveri ci dice: I poveri non sono un diversivo per la Chiesa, bensì i fratelli e le sorelle più amati, perché ognuno di loro, con la sua esistenza e anche con le parole e la sapienza di cui è portatore, provoca a toccare con mano la verità del Vangelo.
Perciò la Giornata Mondiale dei Poveri intende ricordare alle nostre comunità che i poveri sono al centro dell’intera opera pastorale. Non solo del suo aspetto caritativo, ma ugualmente di ciò che la Chiesa celebra e annuncia. Dio ha assunto la loro povertà per renderci ricchi attraverso le loro voci, le loro storie, i loro volti. Tutte le forme di povertà, nessuna esclusa, sono una chiamata a vivere con concretezza il Vangelo e a offrire segni efficaci di speranza (Messaggio del Santo Padre Leone XIV per la IX Giornata mondiale dei poveri. XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, 17 novembre 2025).
La prossimità e la solidarietà con gli svantaggiati diviene prolungamento dell’azione del Buon Pastore, il quale va a cercare le pecore perdute e malate, rigettate e scartate, per curarle e recuperarle (cfr. Ezechiele 34). La vicinanza con i dimenticati è segnale di coerenza con lo spirito delle beatitudini, rinforzo della credibilità della Chiesa, motivo di speranza per un futuro dove trovano spazio inclusione, giustizia e misericordia.
Suggerimenti pastorali
- La comunità, attraverso la Caritas parrocchiale e diocesana, promuova la testimonianza della carità, favorendo anche la rete di sinergie con altri soggetti ecclesiali. Si faccia attenzione alle tante povertà nascoste nelle nostre comunità, sia materiali che spirituali.
- Si creino contesti dove le persone più fragili possano esprimere la propria voce, portare la propria esperienza, partecipare a pieno titolo alla vita della comunità.
I giovani
Come ha sottolineato papa Leone a Roma nell’agosto scorso: Carissimi giovani, la nostra speranza è Gesù. È Lui, come diceva San Giovanni Paolo II, che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande […], per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna. Teniamoci uniti a Lui, rimaniamo nella sua amicizia, sempre, coltivandola con la preghiera, l’adorazione, la Comunione eucaristica, la Confessione frequente, la carità generosa, come ci hanno insegnato i beati Piergiorgio Frassati e Carlo Acutis, che presto saranno proclamati Santi. Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno. Allora vedrete crescere ogni giorno, in voi e attorno a voi, la luce del Vangelo (Omelia di papa Leone XIV a Tor Vergata per il Giubileo dei Giovani 2025).
La fragilità non è un tabù, è parte della meraviglia che siamo. È l’immagine scelta dal Papa per l’omelia della Messa a Tor Vergata, momento conclusivo del Giubileo 2025 dei giovani, in cui partendo dall’episodio dei discepoli di Emmaus si è soffermato sull’incontro con il Risorto che cambia la nostra esistenza, che illumina i nostri affetti, desideri, pensieri. Pensiamo al simbolo dell’erba: non è bellissimo un prato in fiore? Ha così chiesto Leone XIV dialogando indirettamente con la platea di oltre un milione di giovani che riempiva la spianata: Certo, è delicato, fatto di steli esili, vulnerabili, soggetti a seccarsi, piegarsi, spezzarsi, sono però al tempo stesso subito rimpiazzati da altri che spuntano dopo di loro, e di cui generosamente i primi si fanno nutrimento e concime, con il loro consumarsi sul terreno. È così che vive il campo, rinnovandosi continuamente, e anche durante i mesi gelidi dell’inverno, quando tutto sembra tacere, la sua energia freme sottoterra e si prepara ad esplodere, a primavera, in mille colori.
Noi pure, cari amici, siamo fatti così: siamo fatti per questo. Non per una vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un’esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell’amore.
Suggerimenti pastorali
- La comunità parrocchiale si impegni a creare spazi in cui i giovani non solo possano sentirsi a casa, attraverso esperienze di vita condivisa, corresponsabilità e servizio, ma in cui venga loro riconosciuta la capacità di dare un apporto fattivo alla vita della comunità, alle decisioni e scelte.
- Si sviluppino quando possibile, percorsi formativi ed esperienze di cammino non solo per, ma con i giovani, che li abilitino a una cittadinanza attiva e li riconoscano come protagonisti della vita della Chiesa.
Conclusioni
Carissimi fratelli e sorelle,
la Lettera alla Comunità di quest’anno desidera offrire, sia all’Arcidiocesi di Oristano che vivrà la Visita pastorale, sia alla diocesi di Ales-Terralba, spunti di riflessione per riprendere, con nuovo entusiasmo, il cammino di vita cristiana e lasciarsi incontrare e convertire da Gesù, così come è successo a Zaccheo. Adesso tocca a noi far sì che, per ispirazione dello Spirito Santo, una parola, un’idea, una suggestione di quanto scritto possa generare il desiderio di approfondire la vita di fede, di fare meglio, di impegnarci, di stimolare nuove strategie e progetti.
Chiudendo questa Lettera alla Comunità desidero incoraggiare tutti a non lasciarsi prendere dallo sconforto a causa del momento difficile che viviamo a livello mondiale, ma anche per le fatiche che sono presenti nelle nostre realtà ecclesiali e nel cammino personale. Ancora una volta esprimo gratitudine per il dono che ciascuno di voi rappresenta per me e per le Chiese diocesane.
Ringrazio i presbiteri, i religiosi e le religiose, le catechiste, i catechisti, i ministranti, gli operatori della carità, tutti coloro che si impegnano in modi differenti e in differenti servizi a favore delle proprie comunità parrocchiali e della comunità diocesana, per il loro impegno e il loro ministero pastorale portato avanti con dedizione e spesso con sacrificio, compresi i sacerdoti anziani che collaborano e quelli che offrono le loro sofferenze e la preghiera per la nostra Chiesa. Ringrazio tutti i fedeli, uomini e donne, che con la loro vita quotidiana e la fedeltà alla loro vocazione collaborano con generosità e impegno per rendere sempre più evangelica la vita delle comunità a cui appartengono.
Affido tutti voi, carissimi, alla Vergine Maria, Madre del Signore, che veneriamo con i titoli di Nostra Signora del Rimedio e di Santa Mariaquas. Sia Lei a guidarci all’incontro con il Suo Figlio Gesù.
Oristano – Ales, 15 agosto 2025 Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria
+ Roberto Carboni
Arcivescovo Metropolita di Oristano e Vescovo di Ales-Terralba
Scarica la Lettera in formato PDF ⇒ Lettera alla Comunità 2025