Fratelli e sorelle…
Ancora una volta ci ritroviamo in questo luogo, dove si cammina solo a piedi, adagio, lasciandoci il tempo per guardarci intorno, per leggere qualche nome e qualche data, per apprezzare la bellezza di un monumento o la sua stranezza. Ci richiamano all’attenzione le tombe dimenticate, di tanti anni fa: sono uno stimolo a farci domande sulla precarietà della vita umana, sul senso della vita e della gloria, sulle cose a cui diamo importanza o che trascuriamo.
In questo luogo ciascuno di noi può intavolare un dialogo anche senza usare parole. Un dialogo interiore fatto di incontri passati, di speranze condivise, di dispiaceri e ferite. Qui ricordiamo il bene fatto e che c’è stato fatto, ma anche il male ricevuto e fatto.
In questo luogo non si può evitare il pensiero della morte, di qualcosa che inizia e finisce. Tutti dobbiamo piegarci a questa legge, il ricco e il povero, chi vanta gloria e chi è insignificante, chi ha dato scandalo e chi è stato virtuoso.
In questo luogo dove non si può evitare il pensiero della morte, alcuni si rassegnano, altri cercano di esorcizzarlo non pensandoci seriamente, altri invece illuminano questo pensiero con la fede. Sul finire della sua vita, San Francesco d’Assisi, sentendo avvicinarsi il giorno del suo incontro con il Signore, fece aggiungere al Cantico di frate Sole un’altra strofa, sorprendente per noi: Laudato Si, mi Signore, per nostra sorella morte corporale, dalla quale nessun uomo può scappare. Ci sconcertano queste parole del Santo di Assisi, perché ci chiediamo: come può chiamare sorella la morte, dalla quale tutti noi fuggiamo, di cui abbiamo paura, che spesso nascondiamo a noi stessi?
San Francesco arriva a esprimersi così, perché queste parole descrivono una realtà interiore che è frutto di un lungo cammino di spogliazione di sé stesso. Egli infatti dopo la sua conversione ha cercato con l’aiuto di Dio in tutti i modi di togliere da sé quella tendenza ad appropriarsi di ogni cosa che ciascuno di noi ha profondamente insito nella propria natura e che, a causa della quale, nutre il timore della morte: la tendenza ad appropriarsi delle cose, degli altri e anche di Dio. Francesco si spoglia di sé, questa è la sua profonda povertà, e si mette completamente nelle mani del Signore. Per questo motivo può chiamare fratello e sorella le creature, gli uomini e anche le situazioni della sua vita, compresa la morte.
L’espressione di San Francesco ci ricorda in modo speciale la nostra creaturalità e mortalità. Non siamo eterni, siamo limitati, soggetti alla caducità. Ma al tempo stesso sentiamo in noi, in profondità, che possiamo andare oltre i nostri limiti perché abbiamo una promessa di immortalità, una scintilla divina, una parola che dice eternità.
Siamo in questo luogo di silenzio. Qualcuno pensa che i cimiteri siano ingombranti… si dice che sarebbe meglio disperdere le ceneri in un non luogo e dimenticare. Ma credo che la presenza del cimitero sia istruttiva per tutti, per ricordarci la nostra fragilità, che il tempo che abbiamo non è eterno, per fare bene e ringraziare chi ci fa del bene. La presenza dei resti dei morti che si raccolgono in un luogo comune invita la città, i paesi, i cittadini a riconoscere una vocazione alla comunità: non siamo fatti per la solitudine ma nasciamo in una comunità e andiamo a finire in uno spazio comunitario. La presenza dei cimiteri tiene viva la domanda sul senso del tutto e invoca la risposta. Il Vangelo risponde con l’annuncio della speranza, con la promessa di un approdo che sconfigge la morte e fa risplendere la beatitudine.
In questa celebrazione la nostra preghiera è per i nostri cari ma anche per noi, per ricevere il dono della saggezza e dare il senso alla nostra vita.
La Scrittura, nel salmo 89 ci ricorda: Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore (Salmo 89, 12). Pensare alla nostra fragilità e caducità, alla nostra condizione di mortali, non è dunque per il credente motivo di angoscia o un pensiero morboso, quanto piuttosto fonte di sapienza e invito a valorizzare il tempo di vita che ci è concesso, a non sprecarlo, a seminare il bene.
Dunque l’affermazione della Speranza di una vita con Dio e nella Resurrezione deve oggi affiancarsi al ricordo dei nostri cari defunti.
Fratelli e sorelle, la Chiesa ci invita a pregare per i nostri defunti perché in questa comunione tra una Chiesa che ancora cammina e l’altra che ha già raggiunto la Casa del Padre si senta la comunione della fede in un unico Padre.
La nostra Eucaristia di questa sera sia invocazione a Dio perché accolga i nostri fratelli e sorelle defunti. Nel nostro cuore la gratitudine per ciascuno di loro per il bene che hanno portato nella nostra vita e la speranza di incontrarli nel Signore. Amen.
Roberto, Arcivescovo

