Nuove nomine in Arcidiocesi. L’Arcivescovo le accompagna con una lettera

Il Cancelliere Arcivescovile rende noto che l’Arcivescovo Metropolita di Oristano, S.E.R. mons. Roberto Carboni, ha proceduto ai seguenti trasferimenti e nomine:

  1. don Ignazio Serra parroco delle parrocchie dell’Immacolata Concezione in Barumini e di santa Teresa di Gesù in Gesturi;
  2. don Nicola Pinna parroco delle parrocchie di san Giorgio martire in Ruinas, Sant’Antonio abate in Villa Sant’Antonio, san Lorenzo martire in Mogorella, e Amministratore parrocchiale della parrocchia di San Sebastiano martire in Assolo;
  3. don Adraka Stephen Ogua, Amministratore parrocchiale della parrocchia san Saturnino martire in Isili;
  4. p. Fabio Serra (OFM Capp.), Amministratore parrocchiale della parrocchia di San Giovanni Battista in Asuni; conserva l’incarico di parroco di Laconi;
  5. don Manolo Venturino, Amministratore parrocchiale della parrocchia Sant’Antioco martire in Palmas Arborea;
  6. don Giacomo Zichi, Amministratore parrocchiale della parrocchia Santa Sofia v. m. in San Vero Milis; conserva l’incarico di parroco di Bauladu e di Tramatza;
  7. don Alessandro Manunza, Amministratore parrocchiale della parrocchia sant’Antonio di Padova in Busachi, conserva l’incarico di parroco di Neoneli e di Ula Tirso;
  8. don Giovanni Marras, Amministratore parrocchiale della parrocchia dello Spirito Santo in Allai.

Tutti i provvedimenti arcivescovili dovranno essere resi esecutivi a partire dal 1° settembre, salvo eccezioni determinate dall’Ordinario diocesano, non prima che siano state espletate tutte le disposizioni in materia di trasferimento di parroci (passaggi di consegna e verifiche a cura dei competenti Uffici di Curia); il calendario degli ingressi sarà concordato con il Vicario Generale mons. Roberto Caria.

Oristano, 5 luglio 2025

mons. Antonino Zedda, Cancelliere Arcivescovile


L’Arcivescovo Roberto ha accompagnato i trasferimenti con una sua lettera personale. Ne riportiamo il testo integrale.


Cari presbiteri, e carissimi fratelli e sorelle della Nostra Chiesa Arborense: Pace e bene a tutti voi.

Desidero accompagnare con questa riflessione i trasferimenti dei parroci che in questi giorni sono stati resi noti, per aiutare tutti a vivere con atteggiamento di fede e maturità quelle decisioni che, talvolta, possono portare dispiacere per il distacco, smarrimento, timore per un futuro nuovo, che genera tante novità. Il desiderio è quello di valutare gli eventi con serenità e comprenderli meglio. Le decisioni, circa i trasferimenti e le nuove nomine, non sono mai facili, tanto meno sono prese in maniera superficiale. Esse sono precedute da riflessione, preghiera, incontri e dialoghi e, alla fine, da decisioni che è necessario prendere e che cercano di mettere insieme il bene della persona, della comunità e della diocesi, ma che possono talvolta creare fatica e resistenza. Altri fattori che intervengono in queste decisioni sono ben conosciuti: il numero ridotto di presbiteri, l’età che avanza per un numero sempre più alto di sacerdoti, lo scarsissimo numero delle vocazioni, il desiderio di assicurare alle comunità la celebrazione dei sacramenti, in modo particolare l’Eucaristia. Spero che la riflessione che segue aiuti tutti a una valutazione più serena.

La Chiesa non finisce in parrocchia

Sappiamo che la Chiesa non inizia e non termina nelle nostre parrocchie, che non possono essere vissute e concepite come realtà a sé stanti; le parrocchie non sono altro che articolazioni territoriali di una Chiesa che non è solo diocesana, ma universale. In Cristo siamo tutti uniti, in cammino verso la Gerusalemme celeste, insieme e non separati secondo quel principio di sinodalità che, a volte, fatichiamo ad attuare. Se, da una parte, è legittimo avere a cuore la propria comunità parrocchiale, questo sentimento non può però trasformarsi in un muro che ci rinchiude in noi stessi. Lo sforzo di creare collaborazione, condivisione di progetti e anche spesso di dover condividere lo stesso sacerdote con altre comunità, ci deve aiutare a pensarci come una Chiesa in cammino. Dobbiamo sentirci parte di una comunità più ampia dove le fatiche di uno solo sono percepite e vissute da tutti. Se tutti ci sentiamo membra dello stesso corpo, come dice San Paolo, non possiamo pensare che, se fa male il braccio il resto stia bene: se c’è un malessere, riguarderà tutte le parti, se c’è possibilità di bene, va condiviso con tutti.

La parrocchia non finisce col parroco

Una parrocchia non inizia e non finisce col proprio parroco, per quanto la figura e il ministero di guida del presbitero sia fondamentale; ogni comunità parrocchiale, se è riuscita a crescere nella fede e nell’amore, al di là di una normale fase di assestamento dovuta al cambio di parroco, resterà in piedi. I parroci cambiano, la parrocchia in tutte le sue componenti invece resta e prosegue il suo cammino. In questo i laici hanno un ruolo importante che richiede tempo, pazienza, studio, buona volontà. Delegare tutto al parroco potrebbe sembrare più facile, in realtà potrebbe mortificare la vocazione di ciascuno. I presbiteri sono chiamati ancora di più a quella comunione presbiterale che si deve tradurre in concrete forme di collaborazione pastorale diocesana. La fatica e la resistenza, che vi può essere nel creare tale comunione, andrebbe a discapito non solo della dimensione sacramentale del ministero presbiterale, poiché la grazia sacramentale non è privata e non riguarda il singolo presbitero, ma è strutturalmente e ontologicamente comunionale e riguarda, essenzialmente, l’intero Presbiterio diocesano, che agisce sempre in comunione e collaborazione col Vescovo. Papa Leone XIV ci ricorda che: Il presbitero è chiamato a essere l’uomo della comunione, perché lui per primo la vive e continuamente la alimenta. Sappiamo che questa comunione oggi è ostacolata da un clima culturale che favorisce l’isolamento o l’autoreferenzialità (…) vi chiedo uno slancio nella fraternità presbiterale, che affonda le sue radici in una solida vita spirituale, nell’incontro con il Signore e nell’ascolto della sua Parola. Nutriti da questa linfa, riusciamo a vivere relazioni di amicizia, gareggiando nello stimarci a vicenda (cfr Rm 12,10); avvertiamo il bisogno dell’altro per crescere e per alimentare la stessa tensione ecclesiale (Papa Leone, Discorso al Clero di Roma, 12.06.2025). Rinunciare alla comunione impoverirebbe l’intero popolo di Dio, costituendo un vero e proprio ostacolo (scandalo) all’annuncio del Vangelo e all’avvento del Regno di Dio.

Rivalutare l’obbedienza

L’obbedienza non ha perso valore, certo andrebbe riscoperta da tutti. L’obbedienza, generata dall’ascolto e dal dialogo, è la disposizione d’animo per cui i presbiteri sono pronti a cercare non la soddisfazione dei propri desideri, ma il compimento della volontà di Dio (cfr. Gv 4, 34; 5, 30; 6, 38; PO 15; PDV 28). Si tratta di una virtù che va unita all’umiltà e che invita a riportare, sempre nuovamente, la propria esistenza a Cristo. L’obbedienza, unita all’umiltà, evidenzia che non siamo padroni, ma servi, amministratori dei misteri di Dio e strumenti di Cristo per la salvezza del mondo. Le donne e gli uomini del nostro tempo ci chiedono non tanto di parlare loro di Cristo, ma di mostrarglielo con la nostra vita. La credibilità del prete è soprattutto una questione di trasparenza. Il massimo della trasparenza non si ha quando il sacerdote vive isolato, ma quando si relaziona e vive in comunione con il proprio Vescovo e con l’intero Presbiterio. Occorre vivere il Presbiterio per vivere il presbiterato. Nessun presbitero è in condizione di realizzare a fondo la propria missione se agisce da solo e per proprio conto (PO 8). A questo si aggiunge la necessità di puntare sempre sulla corresponsabilità. Urge cambiare mentalità riguardo al modo di trattare i laici, passando dal considerarli collaboratori del clero a riconoscerli concretamente corresponsabili dell’essere e dell’agire della Chiesa, promuovendo un laicato maturo e impegnato.

La nostra radice è in Gesù

Ricordiamoci tutti che, per quanto ci possiamo affezionare ai parroci o ai fedeli delle comunità, la nostra radice è in Cristo: non andiamo a Messa per il parroco, ma per Gesù, come non celebriamo l’Eucarestia per far piacere a qualcuno; non svolgiamo un servizio per il parroco né guidiamo la parrocchia per cercare consensi, ma perché ci sentiamo chiamati dal Padre a un atto d’amore. I fedeli ricordino che il nuovo parroco, pur con l’impegnativo compito di guidare la comunità e di fare Eucaristia, è un uomo anche lui in cammino con i suoi limiti, la sua crescita, i suoi errori, le sue cadute e ha bisogno di sostegno e accompagnamento spirituale. Accogliere un nuovo parroco con animo aperto e disponibile è aiutarlo a vivere nel modo migliore e fruttuoso il suo ministero.

Il cambiamento ci rende vivi

La vita non è mai uguale, è un’esperienza che muta continuamente: si cresce, si cambia città, si cambiano gli amici, si cambia lavoro. A volte si tratta di cambiamenti piacevoli, altre volte di cambiamenti meno belli o talvolta dolorosi. La vita ci spinge a non rimanere fermi e la Scrittura ce lo conferma: Abramo è chiamato a lasciare tutto e partire, Mosè deve andare contro i faraoni che lo avevano salvato, i profeti dicono il loro eccomi anche a costo della vita, Maria pronuncia il suo Fiat affidandosi pienamente a Dio; gli Apostoli seguono Gesù imparando nel cammino chi è il Signore e qual è il suo progetto. Il cambiamento ci rende vivi, ci spinge a misurarci con i nostri limiti e a superarli, a fare i conti con le nostre certezze; a rimetterci in gioco e a crescere: lo stesso vale per una comunità e per un parroco che viene chiamato a rinnovarsi e iniziare un nuovo cammino.

Ma cambiare è facile?

No, cambiare è difficile: significa ricominciare da capo, essere pronti anche ad abbandonare alcune sicurezze, dover continuare a faticare. Però Dio ci chiama a questo perché anzitutto lo ha fatto lui: poteva rimanere beato nel suo essere totalmente altro e invece si è incarnato salvandoci con l’amore. Dio ci chiama al cambiamento, ma al tempo stesso ci accompagna e ci dà la forza di affrontarlo.

Le sfide del nostro tempo

Permettetemi di citare ancora papa Leone nel suo discorso al Clero di Roma: Dobbiamo avere uno sguardo alle sfide del nostro tempo in chiave profetica. Siamo preoccupati e addolorati per tutto quello che succede ogni giorno nel mondo: ci feriscono le violenze che generano morte, ci interpellano le disuguaglianze, le povertà, tante forme di emarginazione sociale, la sofferenza diffusa che assume i tratti di un disagio che ormai non risparmia più nessuno.

La gratitudine per coloro che sono coinvolti nei trasferimenti e per le comunità

A conclusione di questa mia riflessione, desidero esprimere la mia profonda gratitudine ai presbiteri coinvolti nei trasferimenti e nei nuovi incarichi, per la disponibilità dimostrata. Accogliere la nuova nomina come un dono, significa disporre il proprio cuore alla vera pace, per vivere il nuovo ministero come servizio e missione.  Come ha detto papa Leone XIV al Clero di Roma: Vi ringrazio per la vostra vita donata a servizio del Regno, per le vostre fatiche quotidiane, per tanta generosità nell’esercizio del ministero, per tutto ciò che vivete nel silenzio e che, a volte, è accompagnato da sofferenza o da incomprensione. Svolgete servizi diversi ma siete tutti preziosi agli occhi di Dio e nella realizzazione del suo progetto. Ciò che veramente conta nel ministero sacerdotale, infatti, non è tanto quello che si fa, ma quello che si è. Esprimo la mia gratitudine anche alle comunità e ai fedeli che si disporranno a collaborare, ad accogliere chi arriva, conservando nel cuore il bene ricevuto, che deve essere seminato e fatto fruttificare.

Vi accompagno con la preghiera, affidando ciascuno di voi alla Madre del Signore.

+ Roberto Carboni, Arcivescovo Metropolita di Oristano