I verbi della liturgia: adorare.

Eccoci ad approfondire un altro verbo liturgico: adorare! Già l’etimologia (dal latino ad os, portare alla bocca) ci offre il significato profondo del termine: non si tratta solo di piegare le ginocchia davanti all’Altissimo, riconoscendo così la nostra indegnità e umiltà davanti a Colui che è totalmente Altro, ma anzitutto adorare significa baciare, portare alla bocca, perciò amare una persona importante per noi: il nostro Dio, che è la pura sorgente dell’Amore, deve essere adorato, cioè amato; non c’è posto, nell’Amore, per la paura o la soggezione. Chiarito, con questa premessa, il significato del verbo, entriamo gradualmente nella comprensione dell’adorazione, specie nei vari contesti liturgici che viviamo nelle nostre assemblee.

Prima del Concilio Vaticano II tutta la vita liturgica, e perciò la spiritualità, della Chiesa era orientata a sottolineare la presenza del Mistero Eucaristico nel Tabernacolo, un luogo rituale centrale in tutte le chiese, cappelle e oratori. La presenza reale, custodita negli altari maggiori dove le Sacre specie consacrate catturava l’attenzione e la devozione di sacerdoti e fedeli. Luogo assolutamente centrale nelle chiese per l’adorazione solenne o personale, attorno a questo fuoco liturgico (il tabernacolo o ciborio) venivano erette, edificate e dedicate le chiese di tutto il mondo. L’adorazione eucaristica e la visita al Santissimo Sacramento erano come il faro della spiritualità cattolica. Con la Riforma Liturgica del Vat. II è stata data assoluta centralità a tutta la celebrazione Eucaristica: è dalla Messa che scaturisce tutta la vita della comunità ecclesiale, non ci può essere adorazione eucaristica senza l’Evento Pasquale, che si rinnova in ogni celebrazione eucaristica, specie in quella della domenica.

Dopo esserci radunati come popolo di Dio strutturato ministerialmente (dove ogni fedele compie tutto e solo quello che deve compiere, senza deleghe o allontanamenti) conclusa la celebrazione della Santa Messa, le particole consacrate rimaste devono essere conservate, nel Tabernacolo, per la Comunione dei fratelli malati e di altri fedeli fuori dalla celebrazione e per l’Adorazione comunitaria e personale. In tutte le Chiese del mondo, specie nelle parrocchie, è obbligatorio conservare il santissimo Sacramento. Bisogna alimentare e favorire nel popolo di Dio il culto eucaristico: è necessario che i pastori, specie i parroci, offrano giusti e necessari tempi per la preghiera personale e comunitaria. Il Tabernacolo (talvolta chiamato Custodia e, meno efficacemente, riserva) deve essere inviolabile e segnalato da una lampada a olio o a cera perennemente accesa, da un conopeo ed, eventualmente, da una tovaglia (se la custodia è inserita nel vecchio altare). Nella costruzione delle nuove chiese si preferisce alloggiare il tabernacolo in una cappella laterale, appositamente realizzata per la custodia e l’adorazione eucaristica personale. Se l’Adorazione eucaristica è comunitaria, l’esposizione del Santissimo Sacramento deve essere sempre fatta sempre sopra l’Altare dove viene celebrata la Messa. Purtroppo capita che in molte comunità parrocchiali l’adorazione sia una autentica rarità liturgica; talvolta capita di vedere il luogo della conservazione dell’Eucaristia non adorno, come dovrebbe essere, addirittura spoglio e trascurato. I segni liturgici dimostrano l’amore per il mistero della santissima Eucaristia, fonte e culmine della vita della comunità ecclesiale.

Prima ancora di essere un rito o una celebrazione, l’adorazione è un atteggiamento spirituale personale. Diceva il santo curato d’Ars, Giovanni M. Vianney: Quando siamo davanti al Santissimo Sacramento, invece di guardarci attorno, chiudiamo gli occhi e la bocca; apriamo il cuore; il nostro buon Dio aprirà il suo; noi andremo a Lui, egli verrà a noi: l’uno chiede, l’altro riceve; sarà come un respiro che passa dall’uno all’altro. Ecco, l’adorazione (specie quella eucaristica) è stare dinanzi a Dio in atteggiamento di silenzio, con una potente espressione di fede: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta. Mi piace citare una bellissima espressione di Benedetto XVI che, partendo dal termine greco proskynesis (cioè prostrazione), sottolineava come l’adorazione sia il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire, e come ad–oratio cioè bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. Questa nostra presenza davanti a Dio ci trasforma. Nel libro dell’Esodo una cosa simile accade a Mose: quando Mosè scese dal monte Sinai con le due tavole della Testimonianza nelle mani, non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Yahweh. Ma Aronne e tutti gli israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui (Es. 34, 29-30). È come quando qualcuno si mette a fissare intensamente un tramonto, dopo un po’ di tempo, anche il suo volto assume il colore rossastro o dorato del tramonto.

Ricordo di aver letto, in un libro del vescovo americano Fulton Sheen, una bella definizione di adorazione: quando guardiamo all’Eucaristia con un atteggiamento di adorazione, di profonda riverenza e amore succede in noi qualcosa di molto simile a ciò che accadde ai discepoli di Emmaus. Il pomeriggio della domenica di Pasqua, quando il Signore si fece loro incontro, domandò perché fossero così tristi. Trascorse alcune ore alla sua presenza e ascoltando di nuovo il segreto della spiritualità, il Figlio dell’Uomo deve soffrire per entrare nella Sua gloria, finito il tempo di stare con Lui, sentirono ardere nel petto il loro cuore. L’Adorazione eucaristica è, quindi, un incontro profondamente personale ma allo stesso tempo è anche comunitario. L’atteggiamento di riverenza e umiltà non è dato da un senso di remissività, ma da un atteggiamento di fede profonda e dal grande desiderio di entrare in dialogo: l’adorazione crea il giusto spazio di fede e di amore tra il grande Dio e il piccolo Io. La dinamica spirituale è la stessa: quando Mosè guardava il roveto ardente questo, pur bruciando, non si consumava; così la nostra presenza davanti al Santissimo Sacramento, non diminuisce la Sua gloria: Dio entra in comunione con noi, ci parla, vuole dialogare con noi, si abbassa al nostro livello. Attraverso questa dinamica veniamo trasformati: non è Lui che cambia, ma noi. Questo dato di fede è sempre stato fondamentale nella vita della Chiesa.

Nella bimillenaria storia della Chiesa non sono mancati alcuni errori, anche curiosi, posizioni sbagliate e distanti dai principali dati di fede. Spesso i Concili ecumenici (e anche quelli provinciali) come pure Pontefici, vescovi e teologi, hanno dovuto riaffermare la dottrina cattolica sulla presenza reale del Signore Gesù Cristo. Le forme più antiche di obiezione all’adorazione eucaristica, sorsero nel contesto di una constatazione sulla non presenza fisica e reale del Cristo nelle specie consacrate del pane e del vino: fu l’arcidiacono della diocesi di Angers (Francia) Berengario, agli inizi dell’anno mille, a sostenere questa posizione osteggiata da papa Gregorio VII che ordinò a Berengario di firmare una vera ritrattazione. La Chiesa ha dato sempre impulso al culto eucaristico, istituendo solenni processioni eucaristiche, atti pubblici di adorazione e le cosiddette visite al Santissimo Sacramento.

Queste tradizioni sono diventate anche oggi espressioni della vera fede eucaristica. In seguito, presero corpo altre iniziative, quale l’istituzione della solennità del Corpus Domini da parte di Urbano IV. I miracoli eucaristici contribuirono alla crescita di tale fervore e rafforzò la fede della Chiesa sulle specie consacrate, che sono realmente e integralmente il Corpo e il Sangue di Cristo, fede creduta fermamente dagli apostoli e sempre professata come dottrina fondamentale della Chiesa. In effetti, è quanto il Signore stesso aveva affermato e voluto per la sua Chiesa, quando proclamò: Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue… fate questo in memoria di me (Lc 22,19). La fede eucaristica della Chiesa fu per sempre definita e solennemente riaffermata dal Concilio di Trento, sullo sfondo della contestazione luterana. Splendide e chiarissime le espressioni usate dai Padri conciliari di Trento, ancora oggi tra le espressioni più forti della fede cattolica: nel divino sacramento della santa Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, il nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente sotto l’apparenza di quelle cose sensibili (c. 719) e ancora poiché il Cristo, nostro Redentore, ha detto che ciò che offriva sotto la specie del pane era veramente il suo Corpo, nella Chiesa di Dio vi fu sempre la convinzione, e questo santo Concilio lo dichiara ora di nuovo, che con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo del Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del Suo sangue.

Questa conversione quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione (c. 722). Inoltre, confutò l’errore propagato soprattutto dalla riforma che protestava il fatto che la transustanziazione non fosse impossibile. Zwingli preferì interpretare la consacrazione nel senso di transignificazione: non questo è il mio Corpo, ma questo è come il mio corpo. Egli contesta che non può essere è, poiché se così fosse, noi mangeremmo letteralmente la carne e il Signore sarebbe lacerato dai nostri denti. E dato che ciò non avviene, la transustanziazione non può essere vera. Per questo il Concilio di Trento decretò che se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, sia anatema (can. 728).

La Chiesa nella sua storia bimillenaria ha sempre creduto che il pane e il vino consacrati, sono nella loro sostanza, veramente e integralmente il corpo e il sangue di Cristo. Un dato di fede che è stato continuamente riaffermato dai Concili e dai Pontefici. Come Pio XII, il quale dichiarò che per mezzo della transustanziazione del pane in corpo e del vino in sangue di Cristo, come si ha realmente presente il Suo corpo, così si ha il Suo sangue” (Mediator Dei, 70).  Lo stesso è stato ribadito da papa Paolo VI (Mysterium Fidei, 46), da papa Giovanni Paolo II (Ecclesia de Eucharistia, 15, e da papa Benedetto XVI (Sacramentum Caritatis 10, 11 e 66). San Paolo VI, da parte sua, era seriamente preoccupato riguardo a una certa tendenza nella Chiesa, successiva al Concilio Vaticano II, di attenuazione di fede sull’Eucaristia, in particolare sulla presenza permanente. Egli dichiarò: ben sappiamo che… ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione (Mysterium Fidei 10). E, continuava papa Montini: non possiamo approvare le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del grave pericolo di quelle opinioni per la retta fede (ibid 14).

Papa Benedetto XVI, nell’Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis, parla di un’opinione che si era diffusa mentre la riforma liturgica conciliare muoveva i primi passi, secondo cui l’intrinseco rapporto tra la santa Messa e l’adorazione del SS.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito. Dichiara il papa, un’obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato (Sacr. Car. 66). Una situazione scaturita probabilmente da qualche influsso della teologia protestante, dal momento che tracce di tale errore riflettono quanto avvenuto durante la riforma protestante.

Quasi tutti i riformatori contraddicevano la dottrina tridentina sulla presenza permanente e transustanziata di Cristo nel pane e vino consacrati, riducendolo a un mero fatto simbolico, affermando peraltro che l’Eucaristia era solo una cena conviviale, ma non un sacrificio riattualizzato, per cui veniva meno l’adorazione. Benché Lutero, Zwingli, Melantone e Giovanni Calvino avessero prospettive particolari tra loro a volte contraddittorie, in genere la loro interpretazione dell’Eucaristia era in contrasto con la teologia cattolica del tempo. Lutero sosteneva che la presenza reale si limitava alla ricezione della Santa Comunione (in usu, non extra). Infatti i luterani credono nella presenza reale solo tra la consacrazione e la Santa Comunione. Questa idea fu fermamente condannata dal Concilio di Trento, che decretò che se qualcuno dirà che, una volta terminata la consacrazione, nel mirabile sacramento dell’Eucaristia non vi sono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, ma che vi sono solo durante l’uso, mentre lo si riceve, ma né prima né dopo; e che nelle ostie o particole consacrate, che si conservano o avanzano dopo la comunione, non rimane il vero corpo del Signore: sia anatema” (canone 731). Per la Chiesa cattolica dunque la presenza di Cristo nelle specie consacrate dell’Eucaristia, non è limitata solo al momento della Comunione, ma permane. In altre parole, non è fatta solo per essere mangiata, ma anche per essere adorata.

Concludiamo le nostre riflessioni intorno al verbo adorare. Un primo elemento utile per le nostre comunità è aver evidenziato il nesso indissolubile tra adorazione e comunione. Direbbe sant’Agostino: Nessuno riceve il Sacramento se prima non lo adora. Perciò Comunione e Adorazione sono intrinsecamente unite, per cui non è possibile ricevere in modo degno e fruttuoso il santissimo Sacramento se prima non lo si adora convenientemente. Per comprendere adeguatamente questo rapporto indissolubile, si deve considerare ciò che, nel linguaggio liturgico ma anche teologico, si realizza nella santa Eucaristia. Se nella presentazione dei doni abbiamo offerto cose (il pane e il vino), al momento della Comunione riceviamo apparentemente le stesse cose, ma in realtà ci viene offerta una persona viva: il Corpo glorioso e il Sangue prezioso di Nostro Signore Gesù Cristo, velato nelle apparenze sacramentali (sub specie Sacramenti).

La Comunione (non finiremo mai dirlo) è un incontro e, ancor più, una fusione profonda con la persona viva del Verbo incarnato. Questa mirabile conversione (delle ostie di pane azzimo e del calice col vino e poche gocce d’acqua) nel Corpo e Sangue di Cristo è l’evento intermedio tra l’Offertorio e la Comunione, che si compie con le parole consacratorie pronunziate dal presbitero presidente e da tutti i concelebranti, per la potenza dello Spirito Santo. Non è possibile una comunione sacramentale fruttuosa, in ordine alla nostra santificazione, senza l’adorazione della presenza vera, reale e sostanziale di Cristo Signore. Senza adorazione la stessa Comunione diventa superficiale, infruttuosa e anche indegna, se non si riconosce la verità del Corpo di Cristo: la prima adorazione avviene, quindi, già dentro la celebrazione eucaristica. Ecco perché il sacerdote che presiede fa la genuflessione dopo aver pronunciato le parole della consacrazione del pane e del vino, ed ecco perché tutta l’assemblea è invitata a sostare in ginocchio.

Durante la consacrazione nasce l’adorazione del misterium fidei. Potrei adesso porre una domanda e tentare di offrire anche la mia risposta: l’Adorazione deve essere interiore o anche esteriore? Dal momento che l’uomo è composto di anima e di corpo, è necessario che l’adorazione verso il Santissimo Sacramento sia al contempo interiore ed esteriore. Si deve adorare nostro Signore con tutto il nostro cuore, ma anche con i nostri gesti esteriori. Come non è autentica una virtù che non si esprime visibilmente, così non c’è vera adorazione che non si manifesti nei gesti liturgici. Vi è anzi una mutua corrispondenza e un mutuo sostegno tra i sentimenti interiori dell’anima e i gesti esteriori del corpo, in modo che i primi ricevono energia e tono dai secondi e i secondi hanno nei primi la loro verità e autenticità. I gesti dell’adorazione sono la genuflessione e lo stare in ginocchio.

Mentre le immagini sacre (croce, statue, etc) si venerano con l’inchino del corpo o del capo, soltanto il Ss. Sacramento dell’Eucaristia si adora mediante la genuflessione: tale gesto, quindi, non si deve mai omettere davanti al tabernacolo e davanti all’Eucaristia esposta all’adorazione. Purtroppo, per ignoranza (e qui grande responsabilità ha la mancata formazione catechistica), capita spesso di notare che molti fedeli, entrando in chiesa, subito si mettano seduti e non facciano né la genuflessione né l’adorazione in ginocchio. Riscoprire questi gesti e farli apprezzare, già da quando si è piccoli, sarebbe un primo prezioso passo verso una formazione più genuinamente cristiana.

A cura di mons. Tonino Zedda


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