Ascensione del Signore: il commento al Vangelo

Il Vangelo 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio. Lc 24,46-53


Il commento

È la seconda volta, nel giro di poco tempo, che Gesù sparisce dagli occhi dei suoi. Perché, come nessuno voleva credere fino all’ultimo che egli sarebbe morto in croce, nonostante i suoi preavvisi, tantomeno ci si poteva aspettare che sarebbe salito al cielo. La prima volta fu molto dolorosa, ma anche molto umana. Il suo corpo rimase nel sepolcro e questo ha reso possibile il processo del lutto per chi lo amava. Ecco la causa del panico di chi, la mattina di Pasqua, non lo trova più nel sepolcro; ecco le lacrime di Maria Maddalena che cerca il suo corpo nel giardino.

La corporeità per noi è molto più importante di quanto possiamo pensare, anche nel momento finale della nostra esistenza o di quella dei nostri cari. La presenza fisica significa la possibilità di un contatto, essenziale per la sopravvivenza. Ci accorgiamo della mancanza di una persona, ed elaboriamo il vero lutto, quando non la possiamo più toccare, vedere, sentire.  Ed ecco ora davanti a noi lo stranissimo episodio della seconda uscita di Gesù dalla scena dal mondo. I discepoli sono preparati questa volta. Non l’hanno ancora sperimentato, ma almeno hanno visto che la morte fisica non ha più potere sulla vita.

E questa è una vera liberazione, se ci pensiamo. Ora il Signore scompare sul serio. Ma come mai non c’è più timore per la sua assenza? Sicuramente nella vita di ciascuno viene quel momento in cui la paura della morte non si configura solo come dubbio su quel che sarà dopo, ma anche come domanda su cosa lasciamo in questo mondo. Sappiamo che i beni materiali servono solo fino a un certo punto, a chi rimane. Passano infatti anch’essi. Ciò che può restare, e dare un significato alla vita di chi continua il suo pellegrinaggio terreno, è il bene che non passa. Non a caso, l’Ascensione di Gesù è un momento di luce e un invio per i suoi. Questi restano con la promessa dello Spirito, che muoverà la storia alla maniera di Dio.

Ecco dove sta anche per noi l’umana consolazione nella quasi inevitabile fragilità con cui affrontiamo il fatto di dover concludere la nostra esistenza fisica. Lasciare uno spirito, cioè un qualcosa che vivrà oltre a noi: proprio quello che Gesù promette salendo al cielo. Si gioca qui il non omnis moriar (non morirò interamente) del cristiano che, sebbene debba essere distaccato da ciò che è passeggero, resta attaccato alla vita. Ed è proprio questo attaccamento, che a volte noi giudichiamo negativamente, che poi permette di vivere una vita significativa, sacramento dell’eternità. Così nella nostra chiamata a essere donne e uomini della risurrezione, c’è anche la parte che riguarda l’ascensione: un distacco che lascia spazio alla gioia e alla lode.

A cura  di Agata Pinkosz, missionaria