Testimoni. Santa Chiara

Ed io, Chiara, che sono, benché indegna, la serva di Cristo e delle Sorelle Povere del monastero di San Damiano e pianticella del padre santo…

Nel suo testamento spirituale Santa Chiara di Assisi, donna coraggiosa e ricca di fede (come l’ha definita papa Benedetto XVI), si definisce semplicemente serva e pianticella. Per capire meglio il calibro di questa pianticella vale la pena riportare le parole di un altro papa, Alessandro IV, che scrive: Gioisca, dunque, la Madre Chiesa, per aver generato ed educato una tale figlia, la quale, come madre feconda di tutte le virtù, generò alla religione, con la virtù dei suoi esempi, un gran numero di discepole (Bolla di canonizzazione del 1255). Non è riconoscimento da poco per una donna del XIII secolo.

Perché voglio parlarvi di Chiara, questo gigante della Chiesa Medievale, ascoltata e riverita anche dai papi? Per ricordare il forte rapporto che la nostra terra arborense ha stretto con la famiglia francescana a pochi anni dalla canonizzazione di Francesco e Chiara. L’Ordine Francescano giunge nel Giudicato di Arborea sotto la reggenza di Guglielmo di Capraia (1241-1264) e, sebbene la prima notizia certa risalga al 1343, anche l’Ordine delle Clarisse Urbaniane fa la sua comparsa a Oristano a distanza di poco tempo dalla canonizzazione della fondatrice.

Grazie alla presenza così antica della famiglia francescana, la figura di Chiara è entrata, a buon diritto, nella pietà popolare sarda e lì si è radicata. Diversi autori le hanno dedicato gosos. La versione che propongo qui è tratta da Goccius de Santus di don Josto Murgia. Sa torrada è un gioco di parole sulla luce che richiama il nome della santa: Brillante istella donosa de clara lughe dotada: siade nostra abogada Clara virgine gloriosa.

C’è un richiamo alle parole di papa Alessandro: O meravigliosa e beata chiarezza di Chiara! […] Ella veramente rifulse mentre viveva nel mondo, ma più vivida risplendette nella vita religiosa; brillò come raggio nella casa paterna, ma nel chiostro irradiò come un sole. L’autore, per indicare la grandezza di Chiara la paragona alle grandi figure femminili dell’Antico Testamento: Ermosa Rachel, pura Sara, Lia ermosa (s.1).

La chiave di lettura della vita di Chiara ci viene offerta sempre nella prima strofa in questi versi: de Gesus fistis serbida cale amiga et ispos’amada. È il rapporto con Cristo, infatti, che segna tutta la sua vita.

Dalla Leggenda di Santa Chiara Vergine (1256) sappiamo che dalla gioventù lei rimandava le nozze coi pretendenti, perché aveva scelto di consacrare la propria verginità a Cristo. Cantano a riguardo i gosos: De sa minoredd’edade in serafic’amore ardente ses Gesus offerende perpetua virginidade professande s’amistade de zelantissim’isposa (s.3). Questo desiderio, sicuramente nato e alimentato dallo spirito di preghiera che sua madre, donna Ortolana, le ha instillato, è riconosciuto e apprezzato da Francesco che desidera instillare nelle sue orecchie la dolcezza delle nozze con Cristo.

Chiara, conosciuta la proposta formativa francescana, decide la Domenica delle Palme del 1211 di fuggire dalla casa paterna per recarsi a Santa Maria della Porziuncola, dove i frati, che vegliavano in preghiera presso il piccolo altare di Dio, l’accolsero con torce accese. Forse in riferimento a questo fatto narrato dalla Leggenda il nostro poeta scrive: S’istitutu franciscanu abbrazzestis cun amore ti cunferit su Sennore donni donu soberanu poninde in sa tua manu sa lumbrera luminosa (s.5).

I gosos ci raccontano poi la sua vita monacale. Anche se lei è sa maistra, mama, tutora delle figlie della migliore nobiltà assisana che vengono a lei per consacrarsi al servizio di Cristo, e sa fundadora de sas fizzas franciscanas (s.9), conduce una vita dove le parole d’ordine sono poberesa, penitentes, rigorosas disciplinas, cilizios, donazione, soledade religiosa (s.6).

Chiara, pur con su baculu pastorale (s.10) simbolo della sua autorità di abadessa, è Piedosa riprendente sollicita in su guvernu firmu in su coro internu in orazione dd’accendet donni impreu occupande sa Marta premurosa (s.11). È il ritratto di come dev’essere l’abadessa, così infatti la stessa Chiara nella sua Regola:  […] una sorella tale che si distingua per virtù e presieda alle altre più per la santità della vita che per l’ufficio, e che osservi la vita comune in tutto, […] consoli le afflitte. Sia rifugio alle tribolate. […] Con umiltà e carità visiti e corregga le sue sorelle.

La tradizionale iconografia clariana ce la presenta con in mano un ostensorio. È in ricordo della liberazione di Assisi assediata da schiere di soldati e nugoli di arcieri saraceni, fitti come api, come scrive l’autore della Leggenda. In tale occasione Cun su sacramentu in manu magnanima ti cumpares pro chi attrudidu lasses su perversu mauritanu giachi s’isposu galanu zelante defendet s’isposa (s.13). La forza di quello spirito eucaristico continua a vivere oggi nelle monache clarisse che abitano ancora l’antico monastero giudicale. A questo magnifico esempio di vita cristiana, vissuta nel silenzio e nella preghiera, deve andare il nostro grazie, perché a loro viene chiesto: Portate sulle spalle i problemi della Chiesa, i dolori della Chiesa e anche – oserei dire – i peccati della Chiesa, i peccati nostri, dei vescovi, siamo vescovi peccatori, tutti; i peccati dei preti; i peccati delle anime consacrate… E portarle davanti al Signore: Sono peccatori, ma lascia perdere, perdonali, sempre con l’intercessione per la Chiesa (Papa Francesco, Discorso alle Clarisse del Monastero di Santa Chiara di Assisi, 12 novembre 2021).

A cura di Giovanni Licheri