Omelia del Card. Mauro Gambetti per i 70 anni dell’Incoronazione di N.S. del Rimedio

Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo, cioè: si rivela la gloria di Dio, il soprannaturale agli occhi e alle orecchie dei discepoli.

E apparve nel tempio l’arca della sua alleanza. L’arca che Davide aveva fatto collocare al centro della tenda, simbolo della presenza di Dio in mezzo al popolo e luogo ‘del convegno’, ritorna ad essere visibile al popolo.

Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole… Laddove emerge più forte il divino, è presente Maria Santissima, la donna che è a un tempo simbolo e Madre della Chiesa chiamata a cooperare al mistero della Redenzione.

Lei è il segno grandioso, stupefacente: Dio discende nel suo grembo per farsi ‘Figlio dell’uomo’, capace di morire, mentre la Vergine Madre, ‘figlia del suo Figlio’, riceve la gloria che appartiene a Dio. Il popolo arborense da secoli la acclama: Nave mistica divina / chi de su Chel’has portadu su Pane sacramentadu / verdadera meighina…

Lei è la vera arca dell’alleanza, posta nello spartiacque della storia per rendere corporalmente Dio prossimo all’uomo, nella Sua umanità divina. E, anche oggi, Dio discende sull’altare nelle mani del sacerdote, per farsi ‘Pane sacramentato’ per noi. Dio si è fatto uomo, dicono i Padri, perché l’uomo potesse diventare Dio.

Egli prende dimora presso gli uomini, negli uomini che lo accolgono, affinché tutta la terra di cui siamo impastati diventi cielo. Anche noi abbiamo il Suo stesso desiderio, a volte sopito, a volte negato, talaltra espresso con forza – come si vede nei santi: desideriamo divenire cielo, il cielo trasparente di un amore che tutto rinnova, che rende fecondo ogni momento dell’esistenza, ogni silenzio e ogni parola, ogni gesto e ogni riposo, ogni pensiero e ogni sentimento… perché tutto divenga sorgente di vita, vita piena e senza fine.

Talora ci accade nella nostra esistenza quotidiana quando, in qualche episodio, in qualche incontro, in qualche parola ascoltata emerge più forte il divino, sperimentato ora come consolazione e dolcezza, ora come forza e immensità, ora come misteriosa profondità e incommensurabile umiltà, ora come luce dell’anima o intelligenza della realtà, ora come ragione di senso o compito di una vita, e così via. Quando tutta la nostra umanità vivrà l’amore nella sua verità e in pienezza?

Tesorera celestiale, divina dispensadora. Ci rivolgiamo fiduciosi a te, Nostra Signora del Rimedio, che cooperi con il Figlio tuo Gesù per riparare, restaurare, ‘rimediare’ l’immagine deturpata della nostra umanità e generare in noi l’umanità divina del Verbo. Nelle parole di Elisabetta è condensato il tuo mistero: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.

Tu, Madre, ci insegni che la vita cristiana è estremamente semplice, lieta e bella. Comincia con il credere alla Parola di Dio che ci viene rivolta da qualche suo inviato e si sviluppa se si accetta la sua dinamica di compimento. Ascoltare e osservare la Parola non è soltanto un mettere in pratica quello che Dio dice. È assai di più. Significa permettere alla promessa di Dio, racchiusa nella sua parola, di accadere dentro di noi e rivelarsi al cuore e al mondo. Significa credere nell’adempimento, nel compimento operato da Dio in noi.

Nostra Signora del Rimedio, aiutaci ad abbassare le nostre difese, a fidarci totalmente di Dio e ad accogliere lo Spirito che desidera occupare pienamente la nostra vita per renderci padri e madri, figli e figlie, fratelli e sorelle di Gesù. Scorgo in te tre atteggiamenti, che possono educare la fede e vorrei fare miei.

Tu non ti sei lamentata per il giogo dell’impero romano, per le condizioni di povertà, per le malattie o per le incomprensioni o le offese dei vicini – come pare si debba fare oggi davanti ai problemi –, ma hai portato il dolore dentro di te e hai fatto altro: hai pregato e hai atteso con tutta te stessa il Messia.

Tu non sei rimasta chiusa in casa e non ti sei nascosta, non ti sei occupata delle tue cose e del tuo futuro, non ti sei organizzata in modo da essere autosufficiente – come la cultura individualista ci spinge a fare –, ma sei uscita, ti sei messa in viaggio per andare a far visita a tua cugina ed aiutarla, vivendo una estroversione del cuore, dell’anima, della mente.

Tu non sei andata da Nazareth fino ad Ein Karem per utilità, o per soddisfare qualche bisogno materiale, o per cercare qualche gratificazione sentimentale – come l’utilitarismo, il consumismo e il libertinismo ci inducono a fare –, ma sei stata mossa dalla gratitudine e dalla gratuità. Volevi incontrare Elisabetta e hai vissuto la logica del dono, che consente di accedere all’esperienza della gioia.

Dal tuo cuore è così sgorgato un canto, che ci rivela il tuo segreto: «L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46). Come ha detto Papa Francesco: “Magnificare letteralmente significa ‘fare grande’, ingrandire.” Tu, Maria ‘hai ingrandito il Signore’: non i problemi, non le difficoltà, non le paure, ma hai messo “Dio come prima grandezza della vita. Da qui scaturisce il Magnificat, da qui nasce la gioia: non dall’assenza dei problemi, che prima o poi arrivano, ma la gioia nasce dalla presenza di Dio che ci aiuta, che è vicino a noi. Perché Dio è grande. E soprattutto, Dio guarda ai piccoli. Noi siamo la sua debolezza di amore: Dio guarda e ama i piccoli.”

Alcanzàdenos, Segnora, Remediu pro dogni male. Tu hai avuto l’ardire di non ricercare altro nel tuo vivere che l’amore di benevolenza di Dio e che tale amore si riversasse sul mondo intero come su di te. Il bell’amore è il rimedio di ogni male, che perde il suo potere di morte per far posto alla vita che deriva da Dio incontenibile, fluente, potente… eterna.

Alcanzàdenos, Segnora, / Remediu alla paura, affinché ci fidiamo totalmente di Dio e lasciamo che l’Amore occupi pienamente la nostra vita, per ripetere con te: “l’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore”.     

Amen