Al Popolo di Dio che è nelle diocesi di Oristano e Ales-Terralba…
Carissimi presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, consacrati e consacrate, fedeli laici. A tutte le donne e gli uomini di buona volontà. La Pace sia con voi!
Con questa Lettera intendo offrire alcuni spunti di riflessione e alcune piste per riprendere il cammino di evangelizzazione e umanizzazione nelle nostre Chiese e nel nostro territorio, consapevole che ognuno di noi, ciascuno per la propria parte, deve sentirsi responsabile della comunità cristiana e deve lasciarsi ispirare e plasmare dallo Spirito che agisce nei cuori di ciascuno affinché venga edificato il regno di Dio.
Essere cristiani nel tempo dell’incertezza
Le statistiche non sono tutto. Ma certo creano preoccupazione i numeri che segnalano la diminuita partecipazione dei fedeli alle celebrazioni, specialmente all’Eucaristia domenicale, a cui si aggiunge la fatica nel coinvolgere i ragazzi e i giovani sia nella liturgia che in altre attività parrocchiali e la difficoltà, che talvolta appare insuperabile, nel trovare persone disponibili a impegnarsi come educatori e catechisti. Senza voler essere pessimisti né semplificare una situazione abbastanza complessa, si potrebbe definire questa stagione della Chiesa tempo dell’incertezza. Una delle conseguenze è che l’azione pastorale è spinta ad assumere la logica della provvisorietà, uscendo da quelle certezze che sino a ieri sembravano animarla e strutturarla. Qualcuno si è chiesto: cosa farebbe Gesù in quest’epoca di incertezza? Ciò che stiamo vivendo fa parte della nostra storia personale e comunitaria e non si tratta necessariamente di una sciagura o della fine del mondo; anzi c’è chi vi vede un’opportunità per un nuovo inizio. Altri vi scorgono l’occasione per una nuova creatività nel vivere e annunciare la fede, che spinge a ripensare il cammino già fatto, riconsiderare gli errori e rileggerli nell’oggi con lo sguardo al futuro. Questo è il nostro momento e probabilmente noi non ne avremo altri. Ci tocca dunque affrontare la realtà adesso, anche se l’incertezza su dove andare è presente e si fa insistente la domanda che interroga tutti: Che cosa dobbiamo fare? O meglio: Come dobbiamo essere? Infatti, non si tratta in primo luogo di progettare tante cose in più, quanto di rivedere il nostro modo di essere e vivere la fede cristiana oggi. La fatica che tutti facciamo, presbiteri e laici, è di non riuscire a fare la lettura sapientemente critica dei modelli pastorali ricevuti e delle prassi che ancora l’accompagnano. Per entrare in una nuova creatività (il vangelo è sempre lo stesso, Dio rimane fedele; siamo noi che cambiamo…) bisogna guardare altrove e in modo diverso. La realtà ci costringe a ritornare all’essenziale, senza lasciarci catturare da ciò che è contingente e passeggero.
La Pastorale come luogo di incontro e di relazioni
Nella Lettera alla Comunità dello scorso anno risuonava la domanda di Pietro a Gesù: Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita. A quella domanda, che mantiene ancora la sua validità, possiamo oggi aggiungerne un’altra, a prima vista troppo concreta ma che smuove anche le motivazioni profonde del nostro agire: a che cosa serve la pastorale? Chi vogliamo servire? La nostra vocazione cristiana, è quella di lasciarsi incontrare dal Signore e farlo incontrare. Non dobbiamo intralciare o rendere difficile questa relazione. Ecco, allora che la pastorale deve essere il luogo di incontro da favorire, cercare e sostenere: incontri con Gesù e tra di noi, incontri effettivi e affettivi, incontri che salvano, che ci motivano. Incontri veri. Oggi i nostri modelli pastorali non reggono alla frenesia della vita reale, alla dinamica veloce delle comunicazioni e delle relazioni virtuali. Incertezza e provvisorietà fanno parte del bagaglio che si porta dietro l’azione pastorale, segnandola in profondità; per questo motivo essa deve oggi aprirsi a una tensione di adattamento e discernimento continuo. Siamo interpellati dalla domanda su come essere cristiani oggi? Non si può dare una risposta definitiva ma è necessario un continuo discernimento. Il Signore invita ciascuno di noi a camminare a fianco dell’uomo d’oggi, ad offrire ospitalità, cioè spazi esistenziali di relazione e nuove vie e forme di annuncio del Vangelo. In un testo apparso lo scorso anno si metteva in evidenza come la pandemia è stata un banco di prova importante e difficile per la Chiesa italiana. Ciò che molti percepivano in questi ultimi anni come fatiche e criticità, sono adesso emerse in modo quasi violento. La distanza tra fedeli e pastori si è notata maggiormente e l’assenza e la fatica di dialogo con i giovani è ancor più bruciante. Il testo citato parla anche dell’irrilevanza della comunità cristiana nel pensiero sociale e politico, creando in molti sconcerto e forse smarrimento di fronte a temi importanti ma taciuti o presentati in modo frammentario. Gli autori del testo si auspicano che la Chiesa si interroghi, e riscopra il suo destino di voce che scuote le coscienze. In questa prospettiva i laici cristiani sono chiamati a riprendere il loro protagonismo, ad illuminare con il loro apporto la vita sociale. La riflessione che vi propongo in questa Lettera alla Comunità ha la sua origine nelle parole di Gesù. Si tratta delle due brevi parabole del granello di senape e del lievito nella pasta (Mt 13,31-33; cfr anche Lc 13,18-20; Mc 4, 30-32) che mi pare possono illuminare e guidare il nostro cammino.
Granelli di senape e lievito nella pasta
«Espose loro un’altra parabola, dicendo: “Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami “.33Disse loro un’altra parabola: “Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata”» (Mt 13, 31-33)
Il vangelo è ricco di immagini agricole. Gesù, da acuto osservatore della realtà, ha usato l’immagine del seme, del seminatore, del grano e della zizzania, del piccolo seme che cresce, dell’albero che dà frutto e di quello sterile, della pazienza del contadino e della potenza del seme che cresce invisibilmente, per parlare di Dio, del Regno dei cieli e dell’esigenza della sequela del discepolo. Sono immagini immediate, ma non superficiali, comprensibili agli ascoltatori di allora e di oggi, ma che racchiudono una grande profondità. Ci permettono di rileggere la realtà e l’esperienza personale e comunitaria, stimolando le nostre domande interiori, sfidandoci ad andare oltre quello che si vede per interrogarci più profondamente su ciò che viviamo e sul cammino da prendere. È un invito a riconsiderare i nostri schemi e le nostre interpretazioni. È il modo che Dio ha di esigere la nostra partecipazione di ascoltatori attenti della Sua Parola. Nella parabola del granellino di senape tutta l’attenzione viene concentrata sullo sviluppo straordinario del piccolo seme. Siamo condotti a considerare con attenzione il momento iniziale (la piccolezza del seme) e il momento finale (diventa un albero e offre rifugio agli uccelli). Dunque, siamo invitati a riflettere sul rapporto tra il più piccolo e il più grande. Tutto questo accade perché il piccolo seme ha in sé una forza vitale. La potenza del seme è immagine della potenza della Parola di Dio che, come dice la lettera agli Ebrei è viva ed efficace (Eb 4,12). Il vangelo di Dio ha una forza interna, non è statico o rigido, ma pur essendo piccolo, è pieno di vita e di forza. Ha una grande qualità interiore che lo fa crescere. Gesù ci invita a guardare il nostro presente e renderci consapevoli della tentazione di scoraggiamento. Il credente deve fidarsi di questa Parola umile e non appariscente, che non vuole essere considerata secondo i criteri dell’apparire, dell’importanza e del peso sociale. Non bisogna lasciarsi prendere dal fascino della grandezza, ma dalla fiducia nella forza della Parola che ci conduce. Gesù ci ammonisce e ci ricorda che la piccolezza non contrasta con la vera potenza. Lui stesso ci ha detto che avere fede come un granellino di senape può spostare le montagne (Mt 17,20). Siamo consapevoli che la nostra vita è piccola e nascosta in Dio, ma dobbiamo anche aver la fiducia che la Parola di Dio lavora efficacemente in noi, spesso senza che noi sappiamo come (Mc 4,27).
Gesù è il lievito che fa fermentare la pasta del mondo
La parabola del lievito è parallela a quella del granello di senape. Poco lievito fa fermentare una grande massa di pasta; anzi Gesù esagera le proporzioni per far notare maggiormente il contrasto tra il poco e il molto (la donna impasta circa 40 kg di farina…). Sebbene nella mentalità popolare il lievito sia considerato negativo (cfr. 1Cor 5,7-8; 2Cor 5, 17; Gal 5, 7-10; Mt 16, 6-12), Gesù ne ribalta l’immagine di segno devastante del male, proponendolo come potere salvifico, rinnovatore del Regno dei cieli, operante nella storia. Forse ci vuole ricordare che anche noi, come discepoli, dobbiamo fare i conti con i nostri limiti e con quelli della nostra comunità. I discepoli, gente andata a male, come il lievito, sono capaci di fermentare tutta la pasta, sono capaci per la potenza di Dio, di fermentare tutto il mondo. Gesù stesso, il primo lievito, sarà messo sottoterra. E lieviterà l’universo. Gesù è impastato nella nostra vicenda personale. Gesù sceglie la via del cuore che deve essere cambiato, non un messianismo spettacolare. Egli è entrato nella storia come lievito, impastato nella massa, uomo tra gli uomini. Il lievito muore scomparendo nella massa, così anche Gesù è morto, ha dato la sua vita per molti. La potenza di fermento Gesù l’ha comunicata a un pugno di discepoli: Andate e fate discepole tutte le nazioni. Dicendo che la donna ha nascosto il lievito nella pasta, ci viene ricordato che spesso la presenza del Regno è nascosta, ma ha comunque una forza inaspettata. Viene ribadito che una realtà tanto piccola è capace di un grande cambiamento. L’accento anche qui cade sul fatto che il lievito è piccola cosa, ma capace di grandi trasformazioni. L’evento Gesù e la comunità dei suoi discepoli sono per i contemporanei piccola e povera cosa, sconosciuta agli storici del tempo. Ma la piccola comunità cristiana è cresciuta e si è fatta albero e lievito che fa fermentare la pasta.
La logica del piccolo seme e del lievito
Le parabole del piccolo seme e del lievito possono essere una chiave di lettura per le nostre comunità cristiane, per il nostro tempo di cambiamento?
Quando Gesù ha iniziato la sua predicazione, i suoi ascoltatori e anche i suoi discepoli si ponevano questi interrogativi: È Lui il messia? Ma non dovrebbe essere glorioso, trionfante? Gesù fa capire che l’inizio è umile, modesto, silenzioso… ma poi si arriverà all’albero che accoglie tra i suoi rami e alla grande massa fatta fermentare con poco lievito. Leggendo la storia della Chiesa si potrebbe convenire che abbiamo vissuto l’esperienza del grande albero che ha accolto molti popoli. Ma con il passare del tempo i tanti rami dell’albero sembrano divenuti un po’ rigidi, trasformati in strutture e sovrastrutture, non più così attraenti come luogo per ripararsi. Forse ci siamo installati nel grande albero cresciuto, ma che oggi sembra faticare a offrire asilo o lo permette solo a pochi e a certe condizioni. L’accoglienza, come dice il Papa, non può essere un passaggio di dogana, ma deve essere generosa e aperta, dato che noi stessi per primi siamo continuamente accolti, perdonati e ci viene usata misericordia. Il tempo della pandemia ha offerto l’occasione per riflettere sul cambiamento, sulle nuove prospettive, sulle delusioni, sul poco frutto rispetto a tante energie spese. Leggiamolo questa lezione della storia come un invito a riprendere uno stile più sobrio, umile, che manifesta meno la potenza mondana o l’importanza delle strutture, mettendo meglio in luce la potenza di Dio. È un rinnovato invito alla fiducia nella potenza del seme e del lievito. Fiducia nella Parola di Dio che agisce nella storia, che giudica, illumina, guida.
Dio usa la logica dell’incarnazione
Perché Dio usa con noi la logica del piccolo seme? Per guarirci dai deliri di onnipotenza, di grandezza, che sono il principio di tutti i mali, che ci impediscono di accogliere il fatto che siamo limitati. Ci guarisce anche dal desiderio di perfezione assoluta, che impedisce di gioire dei piccoli passi, della Grazia che si fa avanti silenziosa e umile, della santità nel quotidiano. Perciò Dio sceglie per noi la via della piccolezza e Lui stesso si è fatto piccolo, servo. Il bene è piccolo e non fa notizia; non è sempre esente, come vorremmo, da rughe e limiti, ma è un bene impastato nella nostra umanità. Questa considerazione deve disporci tutti, presbiteri e laici, a quella tolleranza divina che non significa disinteresse o mediocrità, ma piuttosto è pazienza evangelica, secondo quanto ci insegna la parabola della zizzania e del grano (Mt 13,24-30). Cercare la purezza a tutti i costi, esigere con rigidità una comunità composta di giusti, è pericoloso, perché è difficile per noi, a causa delle nostre debolezze e fragilità, stabilire con equità i confini tra bene e male, tra giustizia e ingiustizia, che non sempre sono così netti e precisi. Mi pare che il Signore ci chieda quella pazienza che sa rinviare anche un’azione legittima da parte di chi ne è competente, come i mietitori, e sottoporla a un discernimento più attento, meno affrettato. Infatti, a volte con il desiderio di bene si possono mescolare intolleranza e integralismi, separazione e divisioni, rigidità e preconcetti!
Speranza e realismo cristiano
Ho voluto proporre le parabole del granello di senape e del lievito per illuminare il nostro presente, il cammino delle nostre chiese diocesane di Oristano e Ales-Terralba. Cosa dice a noi oggi questa Parola? Come ci guida? Quali sono le profonde domande che pone? Non si tratta certo di deformare la Parola di Dio per dimostrare una tesi di fondo, oppure fare una lettura rassicurante o consolatoria, dove i numeri ridotti di coloro che frequentano le chiese e una certa insignificanza della presenza dei cristiani, possono essere paragonati al piccolo seme, con la speranza che poi ritornerà un grande albero. Nessuno di noi conosce come il Signore guiderà la sua Chiesa nella storia futura, ma Egli conferma ancora una volta il criterio evangelico del regno di Dio che agisce dal di dentro, come ci ricorda la Lettera a Diogneto: I cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo, che dà sapore e luce, che stimola la riflessione del mondo senza per questo voler essere grandioso o importante o totalizzante, che deve essere accogliente come il grande arbusto della senape, pronto a ospitare tra i suoi rami gli uccelli del cielo. Le parabole svelano come il Signore agisce nella storia: nella piccolezza e assumendo i nostri limiti, lasciando poi intravvedere che la potenza di Dio saprà trasformare tante povertà in ricchezza per molti. Si tratta allora di accogliere anche la nostra piccolezza, non rammaricarci per aver perso visibilità e potenza, piuttosto comprendere che il Signore vuole ancora una volta manifestare la sua forza nella debolezza, così come diceva all’apostolo Paolo: Ti basta la mia grazia; la forza, infatti, si manifesta pienamente nella debolezza (2Cor 12,9). Ciò non significa avere un atteggiamento passivo o fatalista, ma piuttosto accogliere come un segno di questo tempo il ritorno a una logica evangelica che vuole meglio manifestare la potenza di Dio. La Chiesa parla di ottimismo cristiano, che non vuole dire pensare ingenuamente che tutto vada bene o che andrà bene; è un ottimismo che deve dialogare con il realismo cristiano: questo è il nostro tempo, la nostra storia e anche la storia della Chiesa con le sue fatiche, contraddizioni, peccati, ma anche con la presenza della Grazia di Dio. Siamo chiamati a evitare l’impazienza e lo scoraggiamento. Non coltiviamo un ottimismo ingenuo o un senso di autosufficienza umana, ma guardiamo al futuro, che sappiamo nelle mani di Dio, camminando accompagnati dalla speranza che nasce dalla fede in Cristo, che è capace di far germogliare fiori tra le rocce. Possono aiutarci le parole di Papa Francesco, pronunciate durante un’omelia a Santa Marta. In esse il Papa ha ricordato come la speranza cristiana non consista nell’avere buon umore o l’atteggiamento di chi si sa accontentare. Questo potrebbe essere ottimismo umano che dipende da tante cose. Invece, dice il Papa la speranza è un dono, è un regalo dello Spirito Santo e per questo Paolo dirà: Mai delude. San Paolo poi ci ricorda che la speranza ha un nome: Gesù. La nostra speranza è speranza in Lui, una persona viva, che si fa presente nella Sua Parola, nell’Eucaristia, nella comunità, nel mio cuore. Questa è la speranza che non delude, perché Lui è fedele! Tutto ciò, nella vita quotidiana diventa uno sguardo sulla realtà che sa riconoscere i segni di qualcosa di nuovo, che non si rassegna al male o ai segni negativi che sono presenti nel mondo, ma cerca di vincere il male con il bene.
Cosa e come guardare? Cosa cercare?
Molti di noi, sia presbiteri che laici, sentono affiorare una preoccupazione legittima: come mai, dopo tanta catechesi, incontri, processioni, Eucaristie celebrate e partecipate, preghiere, novene…, il risultato – soprattutto in riferimento alla partecipazione attiva nella parrocchia, ma anche alla presenza alle celebrazioni, all’impegno nella vita della comunità -, è così piccolo, ambivalente, deludente per certi versi. Cosa e come e dove dobbiamo guardare? La nostra maggior preoccupazione non dovrebbe concentrarsi sul numero dei partecipanti alla messa, agli incontri di catechesi o ad altri incontri. Certo, come cristiani desideriamo, facendo eco alle parole di Gesù, che molti sentano l’annuncio del Vangelo, che amino Dio nostro Padre e il Signore Gesù suo Figlio, che siano conquistati da Lui, che partecipino all’Eucaristia, centro della vita cristiana. Ma se anche fossimo molti di numero, saremmo sempre piccoli di fronte a Dio. Non si tratta di contarci, ma di comprendere la fedeltà di quei pochi, la preghiera, la carità, la generosità che opera silenziosamente, come il lievito nella massa e il piccolo granello che cresce per poter ospitare molti uccelli tra i suoi rami. L’obiettivo finale non è portare molta gente agli incontri, ma far sì che i pochi o i molti siano generativi, audaci, generosi, sappiano contagiare al desiderio di conoscere Gesù e lasciarsi conoscere da Lui. Il Signore ci sta educando a fare nostra la pedagogia del piccolo seme. La poesia traduce in poche righe quello che si è cercato di dire:
Dio ama racchiudere il grande nel piccolo:
l’universo nell’atomo, l’albero nel seme,
l’uomo nell’embrione, la farfalla nel bruco,
l’eternità nell’attimo, l’amore in un cuore,
sé stesso in noi.
Parrocchia, luogo di comunità e comunione
L’esperienza della pandemia ha confermato quanto già si percepiva da tempo: la parrocchia sta cambiando. L’accelerazione data ad alcuni processi ecclesiali ha mostrato che ciò che prima era specifico come elemento strutturante la parrocchia, deve essere ripensato e cambiato in prospettiva di creare maggiore comunione, condivisione, partecipazione. Da più parti ci si lamenta che la parrocchia non può essere un’agenzia di servizi (che si occupa cioè solo di dare a richiesta sacramenti o celebrazioni o organizzare eventi o feste patronali). Come già la Chiesa italiana aveva segnalato diversi anni fa, ma anche recentemente, la parrocchia ha bisogno di conversione in tutte le sue componenti. Bisogna riconoscere che la parrocchia ancora oggi ha la sua importanza e il suo valore, ma per poter assolvere alla sua vocazione di lievito nella massa e di granello di senape deve essere ripensata. Il valore della parrocchia sta nel fatto che si pone come un luogo di equilibrio fra diverse spinte: quelle che tendono verso l’individualismo e altre che potremmo chiamare multicentriche e talvolta frammentarie. Essa può essere ancora luogo di incontro, dove è possibile sperimentare calore umano e accoglienza. Un passo necessario da compiere è quello di costruire nella parrocchia una comunità- comunione, dove diverse persone vengono coinvolte a partire dalla valorizzazione della loro specifica vocazione.
Che cosa può rendere attraente oggi la parrocchia per coloro che si dicono credenti ma non praticanti, se non lo sperimentare accoglienza e umanità? Infatti, anche chi è credente ma non praticante potrà sentire attrazione per questo luogo di incontro se sperimenterà l’accoglienza e non il giudizio, l’ascolto e non l’imposizione, la partecipazione e non la passività. Certo, bisogna tentare nuove vie di predicazione, suscitare interessi, coinvolgere i genitori, accompagnare la vita di coppia sin dall’inizio, evangelizzare la pietà popolare, creare momenti di festa e liturgie ben preparate e intense, riattivare gli Oratori e l’azione educativa a favore dei ragazzi e giovani. In questo cambio siamo tutti impegnati, presbiteri e laici. E sarà necessario lo sforzo di tutti per passare da uno stile pastorale personalistico e non di rado individualistico, a uno stile maggiormente comunionale.
Sarebbe però un errore pensare che tutto questo sia compito esclusivo di una sola persona. È piuttosto un compito condiviso, che coinvolge tutti e che, stimolati dal cammino sinodale in atto, deve valorizzare appieno lo stile di ascolto e condivisione. Fondamentali poi sono le relazioni, la possibilità di incontro. La gente si aspetta di poter incontrare un prete, di essere ascoltata, di poter aprire il proprio cuore e di essere guidata all’incontro con Gesù. Oggi i presbiteri vedono moltiplicarsi i propri compiti pastorali, dovendo occuparsi di più parrocchie. Invito tutti i cristiani a riconoscere e apprezzare la loro generosità e disponibilità. Coinvolgendo la comunità, attraverso gli organi di consultazione come il Consiglio Pastorale parrocchiale, sarà importante rivalutare insieme ciò che è necessario e ciò che passa in secondo piano; fare discernimento su quali celebrazioni, feste e ricorrenze mantenere e evangelizzare e quelle da semplificare o abbandonare. È quanto mai importante che si comprenda che il come si faceva prima passa oggi al vaglio di condizioni concrete e nuove prospettive di evangelizzazione. Un passo necessario per tutti è quello di mettere al primo posto le relazioni personali: con il Signore, tra i cristiani, tra presbiteri e fedeli. Un cristianesimo relazionale, dono di grazia, dono ricevuto, che illumina tutta la vita quotidiana e il cui l’aspetto celebrativo/liturgico rappresenta la sosta del cammino o il ricevere il dono da portare fuori della chiesa. Insomma, riprendere il cristianesimo del quotidiano: la parola del vangelo che guida la mia vita, le scelte, l’accoglienza, il perdono, l’ascolto, la condivisione, la gratitudine, il ringraziamento, l’onestà…
Il cammino sinodale continua
Nel mese di maggio, come diocesi di Oristano e Ales- Terralba, abbiamo inviato alla segreteria del Cammino Sinodale la sintesi del materiale di ascolto e condivisione ricevuto da un certo numero di parrocchie delle due diocesi (non molte, a dir la verità…). In esso sono stati anche offerti alcuni suggerimenti che dalle comunità sono emersi e che qui ripropongo in sintesi, in modo che siano utili a tutti per un’ulteriore riflessione, per continuare il cammino sinodale, ancora focalizzato sull’ascolto e sulla narrazione delle esperienze, coinvolgendo coloro che spesso si trovano ai margini della comunità. Il documento di lavoro, con il materiale offerto alle comunità per organizzare il prosieguo del cammino 2022-2023 si intitola I Cantieri di Betania. Esso è frutto, come ci viene ricordato nella presentazione, proprio della sinodalità. Nasce dalla consultazione del popolo di Dio, svoltasi nel primo anno di ascolto (la fase narrativa), strumento di riferimento per il prosieguo del Cammino che intende coinvolgere anche coloro che ne sono finora restati ai margini. Le parrocchie troveranno il materiale nel sito web di entrambe le Diocesi con le domande per aiutare e stimolare l’incontro in comunità. Nella sintesi inviata dalle nostre diocesi sono emersi alcuni suggerimenti pratici (SOTTO RIPORTATI). Invito i parroci e i loro Consigli Pastorali a utilizzarli come spunti di riflessione, approfondimento, progettazione per il cammino delle loro comunità.
Conclusione
Carissimi tutti, alla fine di questa lettera spero di essere riuscito a trasmettere alcune semplici idee che desideravo condividere con voi: la riflessione credente sulla situazione che stiamo vivendo come comunità cristiane e chiese diocesane, cioè un cambio di logica che ci riporta nuovamente alla fiducia in Dio che sa agire nel piccolo e sa trasformare la nostra povertà, attraverso la Sua Grazia e la necessità di valorizzare alcuni aspetti concreti emersi in seguito all’esperienza della pandemia e che ci spingono con determinazione a un ritorno all’essenziale. Adesso tocca a ciascuna comunità, ai presbiteri, ai laici uomini e donne, alle religiose e ai religiosi, incontrarsi, ascoltare, condividere, riflettere per assumere una consapevolezza interiore di queste dinamiche e in un secondo momento interrogarsi sul cosa fare.
Ringrazio tutti per la disponibilità e il servizio che state portando avanti. Prego per ciascuno di voi e chiedo la vostra preghiera perché possa servire le Diocesi che mi sono state affidate e insieme avanziamo, con fiducia in Dio e nel discernimento guidato dallo Spirito Santo.
Tutti vi benedico con affetto, + Roberto, Arcivescovo
14 settembre 2022, Esaltazione della Santa Croce
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1.Offrire con convinzione un itinerario di catechesi per gli adulti. Molti buoni cristiani hanno interiorizzato solo quegli elementi ricevuti nella loro formazione iniziale ai sacramenti, e adesso da adulti fanno fatica ad elaborare e poi a vivere una riflessione e una prassi più matura riguardo alla fede. Si tratta di aiutare tanti adulti a maturare una relazione personale con il Signore, uscendo da una fede rimasta un po’ infantile, che incida nel vissuto quotidiano. È importante creare occasioni di incontro e dialogo con coloro che non frequentano più o che non hanno mai frequentato, senza aspettare che sia la gente ad avvicinarsi. Questo va fatto anche in occasione della richiesta di sacramenti: non svendere la celebrazione con una formazione frettolosa e inadeguata o addirittura assente. Evitando ancora una volta la dogana pastorale, proporre però un percorso di fede per chi chiede il battesimo per i figli, il matrimonio sacramentale, per i genitori dei bambini che frequentano il catechismo.
2.Ripartire dai più piccoli per coinvolgere le famiglie nella vita della parrocchia. Accompagnare le famiglie, per esempio quelle formatesi negli ultimi tre anni, e seguirle nelle varie fasi della vita con momenti di incontro, condivisione, festa, catechesi e vita comunitaria per loro. Fondamentale sarà la collaborazione di coloro che già fanno esperienza di cammino di coppia e famiglia credente. Dobbiamo ricordare che il coinvolgimento dei bambini e dei ragazzi passa per l’attenzione alle loro famiglie. Se per molti parroci viene difficile portare avanti annualmente la benedizione delle famiglie casa per casa, si potrebbe pensare di visitare nel corso dell’anno le famiglie dei bambini che partecipano al catechismo: settimana per settimana, magari alla sera per poter trovare tutti, con una piccola organizzazione si saranno incontrate almeno le famiglie più vicine.
3.Scuola della Parola. Al di là dei nomi che si possono dare a questa proposta, si tratta di rinnovare l’offerta di un contatto diretto con la Parola di Dio, aiutando i cristiani a conoscerla, leggerla, meditarla, farla entrare nella vita vissuta e nelle scelte quotidiane. Si potranno trovare nuovi metodi e stile, forse favorendo una decentrazione a favore di incontri di quartiere, nelle case delle persone. Oggi non si può prescindere dall’uso dei social e della conoscenza del mondo digitale per raggiungere anche altre fasce di età e di interesse con il messaggio evangelico. Anzi, un canale privilegiato per una ripresa del dialogo con i ragazzi e giovani è la nostra capacità di entrare nel dialogo digitale, in questo nuovo modo di essere e relazionarsi. A questo proposito sarebbe sommamente necessario che in ogni parrocchia o unità pastorale si riprendesse settimanalmente un appuntamento con gli adulti di lectio divina sulla Parola della domenica. Non si tratta ancora una volta di avere grandi numeri, ma di stimolare e approfondire quel piccolo seme della Parola nel cuore dei credenti. Invito pertanto tutti i parroci e le parrocchie a pensare e calendarizzare tali incontri. Sia l’avvicinamento alla Parola, come la catechesi per gli adulti e l’attenzione alle giovani famiglie potrà giovarsi della collaborazione e delle proposte che gli Istituti di formazione teologica delle due diocesi offrono da tempo. La nuova programmazione, che intende affiancare le proposte del Cammino sinodale, sarà di grande utilità ai parroci che vogliono proporre e sollecitare la formazione dei laici delle loro comunità e il discernimento sui ministeri (catechisti, lettori e lettrici, accoliti, ministri straordinari della comunione etc.).
4.Tempo per l’ascolto e l’incontro. L’invito non è solo per i presbiteri, chiamati a questo dal loro ministero, ma anche per coloro che esercitano dei ministeri a favore della comunità: ministri della comunione, catechisti, animatori, lettori e lettrici, visitatori dei malati etc.., che sono invitati ad avvicinare le persone, dialogare, offrire tempo per l’ascolto, offrire suggerimenti per il cammino spirituale. Un luogo speciale per l’ascolto e l’incontro dei ragazzi e dei giovani è l’Oratorio, che dopo lo stop forzato a causa della pandemia, deve riprendere, seppure con qualche fatica, il proprio ruolo.
5.Catechesi e catechisti. Specialmente durante e dopo il momento più grave della pandemia, da più parti si lamenta la fatica a trovare catechisti disponibili ad assumere questo servizio e ministero. Si avverte necessaria una riflessione più ampia sull’iniziazione cristiana, sui suoi metodi e stili. Si tratta di un tema importante su cui la Chiesa italiana deve riflettere con attenzione, per offrire, pur nella complessità delle varie situazioni diocesane, indicazioni unitarie. I Consigli pastorali possono affrontare questo tema mettendo in evidenza non solo le criticità ma anche le potenzialità di quanto vissuto in comunità sino ad ora, per offrire suggerimenti e proposte in vista della riflessione più ampia e condivisa (es. Consiglio pastorale diocesano), e per la progettazione unitaria. È quanto mai urgente coinvolgere i ragazzi e giovani, con proposte concrete e itinerari specifici dopo la confermazione. L’Ufficio Catechistico Diocesano è chiamato a offrire indicazioni e piste di riflessione e di un possibile cammino.
6.Vita consacrata. Nelle due diocesi abbiamo il dono della presenza di religiose e religiosi, sebbene la crisi vocazionale abbia toccato tante comunità con la diminuzione dei membri e abbia talvolta spinto a chiudere alcune attività che avevano caratterizzato la vita delle Congregazioni per anni. La Vita Consacrata dà e può dare ancora molto al cammino delle chiese diocesane, con la propria testimonianza, la presenza attiva in tanti ministeri di attenzione alle persone (guide spirituali, disponibilità per il sacramento della riconciliazione, catechesi, impegni educativi con i bambini, ragazzi e giovani, accompagnamento degli anziani etc.). Care Consacrate e Consacrati, a voi viene chiesto di continuare a testimoniare il vostro carisma e al tempo stesso stimolare le comunità parrocchiali dove siete inseriti per favorire il cammino sinodale, il discernimento, le relazioni.
7.Gruppi Ecclesiali. Sono una ricchezza per la vita della comunità cristiana. Vanno coinvolti e devono lasciarsi coinvolgere nel cammino delle parrocchie dove sono presenti, perché offrano il loro contributo fattivo alla crescita di tutti. Bisogna superare la tentazione di autoreferenzialità, per mettersi in ascolto della comunità e al servizio di tutti. Ringrazio gli appartenenti ai vari gruppi ecclesiali per la loro presenza e i tanti modi in cui manifestano la ricchezza dello Spirito di Dio, la carità concreta verso tante persone bisognose.
8.La carità. In questi anni di pandemia in entrambe le diocesi la comunità cristiana ha dato testimonianza della carità evangelica cercando di andare incontro alle necessità dei fratelli sofferenti. Volontari e operatori delle Caritas Diocesane e parrocchiali non si sono risparmiati nell’offrire sostegno morale e materiale a chiunque fosse in difficoltà. È necessario che le comunità cristiane riscoprano la propria vocazione ad amare, perché il lievito della carità divina possa far fermentare la pasta dell’umanità. Le Caritas Diocesane si adopereranno per favorire questa consapevolezza con creatività evangelica in stretta collaborazione con i parroci.
9.Uffici diocesani. È in atto un percorso di lavoro comune tra tutti gli uffici pastorali delle due diocesi. Sarà opportuno muovere i primi passi di una conoscenza e collaborazione tra i direttori e le équipe di lavoro degli Uffici omologhi di entrambe le diocesi, non escludendo la condivisione di momenti formativi e anche attività comuni.
10.Pastorale vocazionale e giovanile. Una Chiesa che non ha a cuore i giovani e il loro destino è una Chiesa destinata a morire. Chiediamo al Padrone della messe che mandi operai nella sua messe, ma impegniamoci anche nell’accompagnare e stimolare i giovani alla ricerca della propria vocazione, a partire dalle nostre parrocchie. Gli uffici di pastorale giovanile e vocazionale di entrambe le diocesi, di concerto con il Seminario arcivescovile, elaborino un percorso per riattivare la pastorale giovanile e la pastorale vocazionale, anche attraverso la formazione dei ministranti che abitualmente partecipano alle celebrazioni, dei giovani che frequentano le parrocchie e di tutti coloro che si rendono sensibili a pensare la propria vita al servizio di Dio e della Chiesa.