La fede e la croce in Siria e Libano
Nella maggior parte del territorio siriano il conflitto è terminato, anche se non mancano attacchi, sporadici ma letali, come quello che lo scorso gennaio ha visto i jihadisti dell’ISIS protagonisti di un attacco a una prigione nel nordest del Paese, con un bilancio di circa 500 vittime. Nonostante la guerra sia sostanzialmente conclusa le piaghe siriane sono tuttavia ancora profonde e doloranti.
La crisi economica ha fatto precipitare il Paese a un livello di povertà che non si era visto neppure nei periodi peggiori del conflitto armato. Tale crisi è esacerbata dalle sanzioni economiche che hanno di fatto reso più difficile il lavoro nel Paese anche per coloro che hanno legittimi scopi commerciali o umanitari. Le sanzioni, secondo la Chiesa siriana, affliggono anzitutto coloro che sono già poveri, mentre colpiscono molto meno quanti sono vicini al governo. Per questo recentemente il Vescovo latino di Aleppo, mons. Georges Abu Khazen, sostiene che esse sono una condanna a morte per il popolo.
Se in passato la Siria utilizzava il Libano per aggirare tali misure, ed essere quindi almeno parzialmente integrata nell’economia internazionale, il grave malfunzionamento delle istituzioni finanziarie libanesi ha ora interrotto la linea di liquidità. In tutto il territorio della Siria continuano a verificarsi gravi violazioni dei diritti umani fondamentali come detenzioni illegittime, torture e maltrattamenti, inoltre le condizioni nei campi profughi del Paese sono sempre più drammatiche, soprattutto per migliaia di bambini, e gli attacchi indiscriminati contro i civili causano innumerevoli vittime. A ciò si aggiunge quanto viene segnalato da diverse Agenzie umanitarie delle Nazioni Unite: la prima epidemia di colera in Siria dopo anni.
Il contagio, concentrato in particolare nelle province di Aleppo e Deir al-Zour, ha avuto probabilmente origine da coloro che hanno bevuto l’acqua contaminata del fiume Eufrate, evento attribuibile alla grave carenza idrica in tutta la nazione. Sempre fonti ONU riferiscono che nel Paese mediorientale più di un individuo su quattro (28%) di età pari o superiore ai 2 anni è affetto da disabilità, tasso superiore di 10 punti percentuali rispetto alla media del 18% riscontrata nei Paesi a basso reddito e significativamente superiore alla media globale del 15%. Ma in Medio Oriente vi è un’altra nazione gravemente oppressa: il Libano.
Una delegazione della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) ha recentemente visitato il Paese dei Cedri per esprimere solidarietà e vicinanza alla comunità cristiana locale e per fare il punto sulle molteplici necessità cui far urgentemente fronte. La delegazione ha incontrato il Cardinale Béchara Boutros Raï, Patriarca di Antiochia dei Maroniti, il quale ha raccontato amaramente che questo non è il popolo libanese di prima. I libanesi vivevano con dignità, non erano di peso per alcuno, e mi dispiace che i nostri politici in Libano abbiano reso il nostro popolo povero, mendicante. Questa, ha proseguito il Patriarca, non è la dignità del nostro popolo, infatti i libanesi hanno accolto, non hanno chiuso le frontiere a scapito dei libanesi che vivono nella povertà. Ora ci sono due milioni di profughi. Noi stiamo perdendo il nostro popolo con un’emorragia migratoria. Un dollaro valeva, un anno e mezzo fa, 1.500 lire libanesi, adesso [ne vale] 25.000, e per questi motivi quelli che possono emigrare emigrano, ha concluso il Card. Raï. In queste nazioni le comunità cristiane, sempre più povere, sono particolarmente vulnerabili e hanno bisogno delle nostre preghiere e della nostra compassionevole carità. Sta anche alla comunità cattolica italiana raccogliere il loro drammatico grido di aiuto.
Massimiliano Tubani