Esercizi spirituali del Clero: l’intervista a mons. Borgonovo

Si sono svolti a Laconi, all’Oasi Francescana, dal 7 all’11 novembre, gli esercizi spirituali rivolti sia al Clero arborense che a quello della diocesi di Ales – Terralba. Un corso inserito all’interno del programma formativo annuale, che ha visto la partecipazione dell’Arcivescovo e di una ventina di preti delle due diocesi e che aveva come tema Isaia: una storia, un libro, un profeta, un credente. A guidare il corso è stato chiamato mons. Gianantonio Borgonovo, Arciprete del Duomo di Milano, specializzato in Scienze Bibliche. Lo abbiamo raggiunto a Laconi per fargli alcune domande sul suo ruolo e, in particolare, sulla settimana vissuta con i nostri sacerdoti.


Ha studiato Scienze bibliche a Roma in un Istituto che è cuore dello studio biblico della Chiesa cattolica, e si è specializzato nell’Università ebraica di Gerusalemme. Come mai questa questo orientamento verso la Sacra Scrittura?

A dire il vero mi hanno chiamato a effettuare questi studi. Qualcuno propose che facessi il percorso di Diritto Canonico ma, durante i miei studi, il Consiglio dei professori optò per l’indirizzo biblico. Scelta che mi rese felice perché in sintonia con il mio desiderio. Indirizzo dei responsabili e mia sensibilità si sono incontrate.

Il profeta Isaia, tema del corso degli esercizi, non è solo persona, ma è anche una scuola. Qual è il cuore di questo messaggio profetico che ha voluto presentare al corso di esercizi spirituali?

Essendo una scuola, sono quattro secoli di storia che vanno ricordati: dall’VIII al V secolo compreso, periodo in cui sembra difficile trovare un baricentro. Sono 66 capitoli, è il libro più ampio, ma un baricentro c’è: Se non crederete non avrete la vostra salvezza, non troverete stabilità nella vita! L’affidamento al Dio vivo e vero è il fondamento che spiega tutto il resto. In effetti, tutte le decisioni prese dal profeta dell’VIII secolo, sono quelle prese nel momento dell’esilio da un discepolo che guarda a una situazione di consolazione. È un’interpretazione realistica di qualcuno che è stato ingiustamente fatto fuori e il profeta dice: Dio lo ha riabilitato. Ecco il centro: la fedeltà di Dio e la fiducia in un Dio fedele.

Una domanda personale: che tipo di servizio svolge un Arciprete di Milano? In che in che consiste il suo ruolo all’interno della Chiesa di Milano?

L’Arciprete di Milano è colui che custodisce la cattedrale presupponendo che l’Arcivescovo sia impegnato quasi sempre fuori sede. Quindi è colui che assicura una presenza ecclesiale continuativa, coordina tutti i 45 confessori e tutte le celebrazioni che si svolgono in Duomo. Per fortuna non sono da solo. Oltre a essere arciprete, sono anche il Prefetto del Capitolo. La nostra chiesa ha una caratteristica: il Duomo non è dell’Arcivescovo, non è del Comune, è dei milanesi. C’è la veneranda fabbrica che gestisce tutto: l’esteriorità, la manutenzione, tutti i vari problemi economici. Purtroppo io sono dentro, di diritto, anche nel Codice di amministrazione: è un impegno nei confronti anche di quest’altra anima, più mondana, che riguarda proprio l’edificio, il monumento in quanto tale. Non è, però, il nostro impegno primario. Sì, posso intervenire in qualche scelta, ci mancherebbe, perché siamo lì apposta per collaborare. Ma il nostro compito, e il mio in particolare, è quello di essere l’anima ministeriale del Duomo.

La Chiesa Ambrosiana da sempre ha svolto un ruolo importante nella Chiesa cattolica, soprattutto nell’offerta dei cardinali. Qual è il rapporto che oggi c’è tra rito romano e rito ambrosiano?

Il rito ambrosiano è un patrimonio della nostra Chiesa ma non è osservato dalla totalità della diocesi perché abbiamo alcune zone anche di rito romano. La cosa più importante è che questo patrimonio teologico liturgico rimanga nella nostra Chiesa come un patrimonio positivo, da valorizzare, non un arroccamento, nemmeno una differenziazione per il gusto del diverso, ma mantenga sempre questa tradizione. È importante ricordare che c’è sempre stata a seguito dell’isolamento del rito, l’attenzione a essere uniti a Roma, tanto è vero che c’è l’aforisma Ubi Petrus ibi Ambrosius che suggella il legame stretto con Roma. Noi non vogliamo essere contro la Chiesa di Roma.

Un pensiero sulla Chiesa Sarda che oggi vive l’accorpamento delle diocesi, la mancanza di sacerdoti e quindi le unità pastorali tra parrocchie. Una Chiesa che respira anche tanti problemi di natura sociale come lo spopolamento, la povertà, l’emigrazione, tanto per citarne alcuni. Che idea si è fatto, anche nei pochi giorni di incontro che ha avuto col clero diocesano, sulla nostra terra e sulla nostra Chiesa?

È un tocco troppo rapsodico, non oso dare un giudizio. Dico solo che in generale la fusione per mancanza di clero non è sufficiente, bisogna sfruttare questo momento delicato in senso positivo. Far capire e non vivere le nostre realtà parrocchiali o comunque le nostre comunità come recinti chiusi. Il momento ci spinge proprio a una collaborazione più ampia e quindi a cercare nuove forme di collaborazione e ministerialità che permetta al prete di essere prete e basta senza diventare l’ambulante dei Sacramenti e faccia solo solo Eucaristia, Battesimi, Cresime. Occorre distribuire bene i vari compiti, gestire nella comunione con orizzonti più ampi.

Quindi possiamo dire che sia anche questo un tempo profetico?

Certo, la parrocchia, è una realtà che ha voluto mettere in atto il dettame del Concilio di Trento per completare l’evangelizzazione del contado per cui ogni piccolo centro doveva deve avere una chiesa. Abbiamo avuto un periodo in cui era possibile fare questo con il clero e ora dobbiamo forse riprendere anche il senso più globale di una chiesa che sia più ampia del piccolo villaggio.

Ci abbiamo creduto troppo nel piccolo e bello, forse chiudendoci.

Ora siamo chiamati a riscoprire ciò, siamo divisi necessariamente per alcune cose ma per altre possiamo lavorare insieme e non parcellizzare tutto. È impossibile soprattutto in una cittadina fare tutto da soli: è una sfida possibile quella di dividere le cose facendo tutti tutto.

Pubblicata su L’Arborense n. 40 del 2022