Breve cenno al Magistero di Papa Benedetto XVI

Ragione, diritto naturale e rivelazione sono il fondamento della teologia sociale.

Il contributo di Josef Ratzinger alla maturazione e all’applicazione della teologia morale è stato notevole anche nell’ambito sociale.

Non è ovviamente sintetizzabile in poche righe, per cui scelgo un punto essenziale per la dottrina sociale della Chiesa: il suo fondamento. Sono due i riferimenti testuali che ritengo illuminanti: il n. 28 dell’enciclica Deus Caritas est (2005) e il Discorso al Reichstag di Berlino del 22 settembre 2011.

La dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale, ricorda nel n. 28 della sua prima enciclica da papa che non è compito della Chiesa far valere i suoi principi nel campo laico della politica, tuttavia essa ha il dovere di servire la formazione della coscienza di ogni uomo affinché crescano la percezione delle vere esigenze della giustizia e l’impegno ad agire in base a esse. Ma come si riconosce ciò che è giusto?

A tale domanda, essenziale nell’epoca di pluralismo (o smarrimento?) morale che stiamo attraversando, offre una risposta nel discorso tenuto al Parlamento tedesco sei anni dopo. Dopo aver ricordato che gli ordinamenti giuridici nella storia delle civiltà sono nati sulla base del riferimento religioso alla divinità, afferma in modo chiaro che contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione: ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto.

Dunque, la teologia cattolica ha sempre richiamato l’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che presuppone che ambedue le sfere (natura e ragione) siano fondate nella Ragione creatrice di Dio. Tale principio fondante fu poi ribadito nell’enciclica sociale più importante pubblicata nel 2009 per commemorare la Populorum progressio di Paolo VI: Caritas in veritate. In modo magistrale ricorda, a un mondo annebbiato dal relativismo morale perché sopraffatto dagli strumenti tecnici, che natura e ragione sono la base su cui devono fondarsi le relazioni internazionali, compreso il ruolo sempre più invasivo della finanza.

Proprio per questo decise subito da Papa di riformare la gestione finanziaria della Santa Sede con una legge antiriciclaggio e con procedure di controllo trasparenti, che non piacquero ad alcuni ambienti internazionali. Non dimentichiamo, infatti, che le dimissioni arrivarono subito dopo che lo IOR (la banca vaticana) era stato escluso dalla rete SWIFT (Società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie), una sorta di camera di compensazione (clearing) mondiale, che unisce oltre diecimila banche in 215 paesi. Nei fatti è il più occulto e insindacabile centro del potere finanziario americano e fulcro della globalizzazione, strumento di ricatto su cui si basa l’egemonia internazionale del dollaro.

A causa di questa procedura tutti i pagamenti del Vaticano erano bloccati, e la Chiesa era trattata alla stregua di uno stato-terrorista. Come per magia, tutto tornò alla normalità dopo le sue dimissioni. Su La Verità del 2 gennaio scorso, Ettore Gotti Tedeschi mette in risalto il Benedetto XVI economista, che ha dato lezioni teoriche e pratiche sul vero fine della finanza (che deve rispondere ai veri bisogni dell’uomo e della comunità) e sulla deriva della società tecnocratica, schiavizzata dai suoi stessi strumenti. Questi ultimi non sono solo sfuggiti di mano all’uomo, ma sono divenuti fonti morali autonome, rispetto ai veri fini dell’uomo: la morale è dettata dal funzionamento degli strumenti prodotti (pensiamo agli algoritmi), non dall’uomo che con la ragione illuminata dalla fede scopre quotidianamente la profondità del vivere secondo giustizia nella carità. Il fondamento del discorso sociale, dunque, è secondo Benedetto XVI la ragione che interpreta il diritto naturale illuminata dalla carità, radice di ogni virtù. La carità, infatti, si realizza laddove c’è desiderio di verità sull’uomo, innanzitutto.

È un magistero che papa Francesco prosegue quando ricorda che anche la crisi ecologica è soprattutto una crisi antropologica, crisi dell’uomo che ha smarrito il fine autentico del suo fare tecnico e del suo agire morale. In un’epoca in cui la carità è spesso sbandierata e recitata come ipocrita filantropia (dei più ricchi per tenere in ostaggio i popoli, dopo averli impoveriti) Benedetto XVI ha fortemente richiamato l’esigenza di una carità fondata sulla giustizia. Di una carità che non abbia finzioni per apparire buoni, ma che nella sua autenticità manifesti Colui che solo è buono ed è la fonte dell’Amore: Deus Caritas est.

Mons. Roberto Caria, direttore ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro