III Domenica del Tempo Ordinario. Il commento al Vangelo

Il Vangelo 

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mt 4, 12-23


Il commento

L’arresto di Giovanni provoca qualcosa, provoca Gesù, lo induce al ritiro. Non è una reazione sentimentale o affettiva, ma piena di senso. La cattura di Giovanni anticipa la sua, richiama il grande mistero della cattura, passione, morte e risurrezione. Le gesta del cugino sembrano essere quelle anticipatorie della sua missione.

Luca costruisce il suo vangelo su questo binomio, Matteo si accontenta di offrire suggestioni varie e diverse ai propri lettori. Il ritiro di Gesù non è un gesto da eremita che si chiude al mondo per aprirsi a Dio, bensì è la scelta di abitare nella città più viva e frenetica della galilea del tempo, nella città che rappresenta il centro economico e produttivo di quella regione settentrionale così meticcia.

Quella pagina di Isaia è riletta dalla prima comunità cristiana come il grande annuncio di e su Gesù, che proprio in quella terra sospetta di idolatria, di commistione col peccato e col paganesimo, con l’impurità rituale e religiosa il rabbì di Nazareth sceglie di operare il primo annuncio. Ci si potrebbe interrogare se, dopo così abbondante predicazione profetica nei secoli, si può ancora parlare di primo annuncio di Gesù e delle prime comunità. Potremmo dire di sì, quando pensiamo che il primo annuncio è nuovo annuncio, è ulteriore possibilità, è attenzione rinnovata di Dio verso l’umanità. Dio non da niente per scontato, per formattato, per dedotto.

Dio induce, non deduce! Dio invoglia, chiama, smuove, provoca, anziché fare spesso come noi che crediamo di avere tutto già noto, computato e calcolato. Sa farsi meravigliare e riesce a vedere oltre le apparenze, gli stereotipi, gli schematismi. Ecco l’alveo in cui si situa il primissimo annuncio del Regno e la chiamata dei quattro: la novità giunge solo attraverso Gesù, in Gesù, nella persona di Gesù. È lui che chiama, è lui che incontra, è lui che insegna.

La comunità cristiana ha il compito dell’annuncio solo perché lo ha già fatto il suo Maestro e si riconosce in questa missione, che trova in lui la radice di ogni chiamata e condivisione della fede. La chiamata così ferma dei discepoli e la loro risposta sorprendentemente immediata rappresenta un monito per le comunità di ogni tempo: la risposta pronta è segno della disponibilità al Maestro, ma questo non preclude ciò che è capitato a profeti, a discepoli e ad altri credenti.

L’immediatezza di risposta è il programma discepolare e se questo non avviene, Gesù è capace di attendere, di richiamare, di riproporre la sua voce. Gesù percorre tutta la Galilea senza sosta, continuamente e con un ritmo incalzante dettato dall’annuncio del Regno, dall’insegnamento e dall’attenzione taumaturgica verso gli ultimi e i deboli. Matteo presenta questo aspetto di Gesù e della prima comunità come elemento fondante per una presenza significativa nella società. Come al tempo di Gesù erano tanti i santoni che promettevano mari e monti (ma non attuavano nulla), così oggi! Come annunciamo con e nella vita la salvezza operata da Cristo?

a cura di Michele Corona, biblista

Pubblicato su L’Arborense n. 2 del 2023